Un cammino ancora incompiuto

Rocco Cerrato

La Chiesa di Roma ha conosciuto l’ esperienza delle dimissioni del proprio vescovo. Evento raro nella storia del papato, ma che dovrebbe diventare normale nell’esperienza di ogni pontefice. Per il ruolo universale che il ministero del vescovo di Roma ha nella Chiesa cattolica, questa rinuncia comporta una serie di problemi relativi alla funzione del Papa, alla sua successione, al modo di concepire il rapporto fra episcopato e comunità dei credenti nella Chiesa cattolica.

Dopo questa esperienza si può sperare che nulla sia più come prima, anche nella storia dei vescovi di Roma. È bene sperarlo, anche se la politica controriformista che da secoli prevale nella cultura della Curia romana, si adopererà con impegno affinchè le soluzioni adottate siano sempre espressione di una impostazione di tipo conservatore. Le dimissioni del Papa sollevano varie questioni. Sono anzitutto l’occasione per una valutazione più evangelica della relazione fra vescovo e comunità, questione centrale nella prospettiva di riforma che agita la vita delle chiese.

Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha rinnovato l’ idea di Chiesa definendo Popolo di Dio la comunità che vuole vivere l’esperienza salvifica di Gesù di Nazareth. Per adeguarsi a questa prospettiva la Chiesa cattolica ha bisogno di intraprendere un deciso processo di riforma di se stessa. Un rinnovamento che deve riguardare la stessa concezione della Chiesa, la natura e il ruolo del ministero sacerdotale, il significato del servizio episcopale e di quello papale. A base del processo di riforma occorre porre la visione conciliare della Chiesa, intesa come comunità di credenti, come Popolo di Dio.

Il ruolo del vescovo non è originario nelle prime comunità cristiane e neppure la successione apostolica indicata nella Lumen gentium del Concilio Ecumenico Vaticano II, è storicamente dimostrabile e credibile. La Chiesa in quanto Popolo di Dio esige una relazione fra il popolo dei credenti e il servizio episcopale. Ne consegue la richiesta della partecipazione dei fedeli anche per la scelta dei vescovi. I servizi del ministero sacerdotale e di quello episcopale sono interni alla vita del Popolo di Dio. Il vescovo non deve essere un funzionario, un amministratore o un burocrate, ma colui che, padre e fratello, si fa garante e segno dell’unità del suo Popolo in mezzo al quale è stato designato. Compito del Popolo di Dio, laici e sacerdoti insieme, è quello di designare al proprio interno colui che dovrà svolgere questo servizio e questo ministero in mezzo ai fratelli.

La consacrazione sacramentale renderà il nuovo vescovo partecipe del Collegio Episcopale. Le chiese locali inoltre devono essere comunità libere, fraterne, povere, senza potere. Solo se vivono queste scelte evangeliche costituiranno il luogo dell’incontro e del confronto con l’esperienza di Gesù di Nazareth. Il servizio episcopale deve essere corredato da una pratica che non esercita potere. L’Assemblea del Popolo di Dio nella sua complessità di laici e sacerdoti deve essere proposta e diventare il luogo all’interno del quale si eserciterà anche il servizio della collegialità episcopale. I Concili, esemplati sull’Assemblea ecumenica, saranno i luoghi nei quali si eserciterà anche la collegialità episcopale e il servizio pontificio.

Questo cammino è tutto da percorrere e dimostra la grave urgenza della riforma nella Chiesa cattolica. Il Conclave così com’è strutturato ora è un’ istituzione romana che non ha giustificazione teologica. La crisi del ministero sacerdotale, la discordia e l’indisciplina di molti prelati, i diffusi episodi di pedofilia, l’urgenza dei temi relativi alla bioetica, la richiesta di un ruolo attivo delle donne, l’esistenza dello Ior e la sua discussa gestione, sono le questioni che agitano l’attuale crisi ecclesiale. Solo una riforma che renda più autentiche le attuali strutture ecclesiali permetterà esperienze del Popolo di Dio, capaci di intrecciare proficuamente il vissuto cristiano e le trasformazione che la crisi attuale richiede.