Il pastorale Francesco saprà essere un papa dell’incontro?
Matteo De Fazio
www.vociprotestanti.it
Un primo commento sull’elezione di Jorge Mario Bergoglio come nuovo papa, insieme al professore Enrico Benedetto, docente di Teologia pratica alla Facoltà Valdese di Teologia di Roma.
Un primo commento….
Parlo a titolo personale, sono pastore, sono professore, ma questo non rappresenta il pensiero della Facoltà e ancor meno della Chiesa sul nuovo pontificato. La cosa che mi ha sorpreso di più è stato il tono, il timbro con cui il pontefice si è presentato. Il tono, quando la tenda e la tendina del famoso balcone si sono aperti, era un tono di buonomia, non senza humor. Devo dire che i precedenti con queste caratteristiche non sono estremamente numerosi, nel pontificato. Lasciamo stare Pio XI e XII; papa Giovanni XXIII ha portato il sorriso in chiesa, papa Luciani per un brevissimo momento ha portato un sorriso d’altro genere. Papa Francesco porta un sorriso un po’ disarmante: da intellettuale. Il sorriso del gesuita, non è esattamente il sorriso del francescano, nonostante il nome. Elementi di autoironia ci sono, di humor piuttosto, quando si è rivolto a piazza San Pietro chiedendo “un piacere”, espressione insolita di un romano pontefice, nientemeno che per pregare per lui, benedirlo prima che lui a sua volta benedicesse. «Sembra che i miei fratelli siano andati a prendere il vescovo di Roma quasi alla fine del mondo» ha detto: in capo al mondo, un modo molto allusivo di presentarsi, già in quel “sembra” c’era un sorriso. Ci sono papati che passano molto più per il tono che per i contenuti propri. Qui non lo sappiamo, ma il tono ha sicuramente colpito. Se il buongiorno si vede dal mattino, sembra ci sia un plus di naturalezza in questo pontificato. Questo non esclude che la teologia e la condotta possano essere di natura conservatrice, o ultra-conservatrice. Ma l’empatia era palpabile, è come se il balcone fosse sceso a livello della piazza.
Cambieranno gli equilibri all’interno della Chiesa Cattolica. Possiamo già immaginare come?
Questo è molto difficile da dire per ora, non lo nascondo, non sono uno specialista. È importante notare, però, che questo è un papa americano, ancorché latino-americano, il primo transoceanico, ispanofono, soprattutto che ha conosciuto nel suo percorso una transumanza dal Monferrato alle Ande, che ha dunque un percorso di migrazione, di adattamento, di viaggio. Questo è importante: in Italia infatti, la chiesa non è Cattolica Apostolica Romana, ma Romana, Cattolica, Apostolica. Questa distanza, che è grande, sarà critica aldilà del suo atteggiamento, sarebbe strano sposasse immediatamente la logica curiale che contraddistingue il cattolicesimo della nostra penisola.
La chiesa cattolica è in crisi in Sud America: come conterà questo?
Questo è un bonus del papato, se si fosse eletto un papa Statunitense sicuramente il paesaggio di riferimento e l’antropologia sarebbero stata pesantemente condizionate dalla storia e dalla fede protestante, come ad esempio era per Benedetto XVI, che proveniva da un paese anche Luterano. La fede evangelica è essenzialmente una questione di presente e di futuro. A Santiago del Cile, dove parte del neo-pontefice si è svolta, pochissimi anni fa è stata introdotta una statua di Martin Lutero. Molte evoluzioni si compiono in questa società, anche religiose e di fede. Il silenzio assordante di Benedetto sulla nuova frontiera del cristianesimo, vale a dire chiese e movimenti carismatici spesso di origine e connotazione pentecostale; non mi immagino che tutto questo possa essere rimosso. Immagino che il pontefice possa essere critico e offrire elementi di chiusura, ma incorporando e citando. La cosa che più mi ha colpito ieri, in fondo, e che in una brevissima allocuzione (che non si è risolta con il segno di croce, come avrebbe potuto), il papa abbia insistito sulla città di Roma e sui romani: è stata la citazione del tema di evangelizzare Roma, caro anche al suo predecessore. Si è presentato come un papa pastorale, anche se sembra un ovvietà. Ma arriviamo da un papa dottore, intellettuale, che dopo aver scritto encicliche altrui scriveva libri propri e ci teneva a scriverli. In fondo si è disinteressato un poco della curia ma senza scavalcarla, come Giovanni Paolo II. Condivido, a titolo personale la tesi di Hans Küng, che dice che il papa non deve scrivere libri, ma governare la chiesa. Benedetto XVI, con le sue dimissioni ha dato l’impressione che per questo governo servisse una figura dinamica e autorevole. La preoccupazione è che sia un buon papa per i cattolici.
Francesco d’Assisi o Francesco Saverio, uno dei primi gesuiti?
L’importante è che non sia il terzo uomo: Francesco I di Valois, che è un personaggio importante nella storia della Riforma e molto controverso. Senza escludere che ci sia un richiamo ai gesuiti, la semplicità con cui si è presentato, la sua sobrietà di vita, ci può far dire che resta gesuita, ma con una strizzatina d’occhio ai francescani, facendo coincidere le due autorità.
Il primo papa gesuita. Quali potrebbero essere le prospettive ecumeniche?
Essendo un uomo che ha studiato e insegnato la psicologia e dunque un uomo che nella sua formazione sacerdotale ha seguito un percorso più lungo rispetto a quello degli altri, darà prova di senso psicologico, che è molto importante: nelle relazioni internazionali, nelle relazioni ecumeniche e inter religiose, perché anche su questo cantiere è atteso. Non venendo da un paese connotato in modo protestante, probabilmente non sarà in un regolamento di conti retroattivo, così come appariva particolarmente vistoso in Benedetto XVI. Inoltre sembrava che Benedetto volesse recuperare a est quello che Giovanni Paolo II aveva recuperato a ovest perché non poteva, in quanto polacco, rivolgersi all’universo dell’ortodossia. Questo papato sarà caratterizzato, forse, un maggiore equilibrio, forse da una maggiore disponibilità all’esperienza dell’incontro: un papa non solo della cancelleria, non solo della curia, ma dell’incontro. E nell’incontro tutto può succedere.
Ma di tutte queste teatralità in quel di Londra, New York o Francoforte non gliene fa un baffo a nessuno. Interessano a noi per riflessi condizionati del carrozzone mediatico e per concretissimi interessi presenti nel nostro Paese; che domicilia un buon 50% del patrimonio immobiliare vaticano.
Al di là di commozioni d’ordinanza e varie smancerie precotte, quello che davvero può interessarci è appurare se un papa come questo significherà un certo distacco delle gerarchie ecclesiastiche dalle faccende italiane. Anche se è facile prevedere che la tassa sugli immobili ubicati da questa parte del Tevere continuerà a non essere pagata dall’altra parte del Tevere.
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“È la migliore scelta possibile ora non accetti compromessi”
Andrea Tarquini
Repubblica, 14 marzo 2013
«Sono felice, è la migliore scelta possibile, conosce e ama la vita semplice, umile, reale, è esterno al sistema romano della Curia. Spero che vari le riforme necessarie, e in un radicale rimpasto ai vertici come primo segnale». Il professor Hans Küng, massimo teologo cattolico critico oggi, esulta, sembra parlare di una possibile perestrojka vaticana.
Professor Küng, che ne dice? «Sono felice. La scelta di quest’uomo, proprio lui, a sorpresa, è una vera scelta di qualità».
Cioè anche meglio dei previsti papabili riformatori? «Sì, insisto, è la scelta migliore. Primo, è un latinoamericano, e di questo sono molto felice. Non solo: è anche un latinoamericano dalle vedute aperte. È un gesuita, che sicuramente dispone di una formazione e preparazione teologica molto solida. È un uomo che ha sempre condotto una vita semplice, non in grandi e sontuosi palazzi di potere. Un uomo abituato ad andare tra i fedeli anche a piedi scalzi, col bastone di pastore. Già con i primi gesti ha dato consigli e segnali: non ha chiesto né cercato applausi trionfali né parole pompose, bensì preghiera in silenzio».
Cioè anche un buon esordio?
«Sì, appunto, un esordio ben riuscito con segnali giusti. E infine, ma non ultimo, trovo significativa la scelta del nome: Francesco ».
Ecco, lei come la interpreta?
«Un cardinale che nel mondo d’oggi e sullo sfondo della grave crisi della Chiesa sceglie non nomi che richiamino suoi predecessori recenti, bensì proprio questo nome, sa esattamente di richiamarsi e riferirsi a San Francesco d’Assisi.
Francesco d’Assisi fu l’alternativa al programma della Chiesa vista e vissuta come potere. Fu l’antitesi del più grande e importante Papa di potere del Medioevo, Innocenzo III, il quale incarnava la Chiesa del potere: Francesco visse e testimoniò la Chiesa degli uomini semplici, dei poveri, dei modesti. Spero solo che Francesco possa veramente realizzare nella Chiesa e nel rapporto tra la Chiesa e il mondo tutto quanto sicuramente si propone di fare».
Dunque non è il candidato della Curia?
«Sicuramente no, bensì candidato delle voci progressiste nella Chiesa, inclusi i progressisti tra i cardinali tedeschi».
Che significa per la Chiesa nella sua profonda crisi?
«È la domanda decisiva. La risposta dipende da se e come potrà riuscire a lanciare le riforme. Se e come le riforme necessarie e mancate, accumulatesi nella Chiesa d’oggi, verranno realizzate e s’imporranno, o se invece tutto continuerà come fino ad ora. Se il nuovo Papa le realizzerà, troverà un grande appoggio, ben oltre l’ambito della Chiesa cattolica e dei fedeli. Altrimenti, il grido “indignatevi!” si diffonderà anche all’interno della Chiesa e imporrà riforme dal basso. Io sono per riforme guidate dall’alto, ma ora la scelta è davvero nelle sue mani. La comunità della Chiesa non si accontenterà più di belle parole, la pazienza di molti cattolici è alla fine».
Che cosa lascia prevedere la sua biografia?
«Lascia spazi di speranza. Non nascondo che ha vissuto ai tempi della dittatura militare argentina. Certo non fu facile, come non lo fu vivere degnamente da fedeli in Germania sotto il nazismo. È stato a volte criticato, ma certo si spiegherà. Il punto non è questo, la domanda-chiave è cosa farà per la Chiesa e per il mondo. Se ha davvero lo spirito ecumenico e coinvolgerà le altre Chiese. Se riaprirà le finestre che il suo predecessore ha chiuso, se tornerà alla linea di Giovanni XXIII, allora sarà davvero Francesco I».
Quali potrebbero essere i suoi migliori primi segnali?
«Come segretario di Stato, quale primo segnale, potrebbe scegliere non un rappresentante del sistema romano, bensì una persona pronta alle riforme e dallo spirito ecumenico: non deve per forza essere un cardinale, ma deve essere pronta a realizzare la riforma della Curia. Spero che non vengano fatti compromessi col partito della Curia del tipo “tu sei il Papa ma la Curia resta in mano nostra”».
Vista anche la velocità dell’elezione, quanto è grande questo pericolo?
«Non faccio speculazioni. Indico cinque punti. Primo, il segretario di Stato appunto. Secondo, il nuovo Papa dovrebbe sostituire e non confermare i responsabili dei dicasteri vaticani. E scegliere personalità competenti, anche esterne al Collegio dei cardinali. Terzo, dovrebbe introdurre la collegialità nella Curia, costituire un Gabinetto responsabile di scelte collettive. Quarto, dovrebbe introdurre la collegialità con i vescovi, riattivare il Consiglio dei vescovi come organo decisionale e non solo consultivo. Quinto, dovrebbe vigilare che diocesi, comunità, singoli fedeli, abbiano riconosciuto un diritto di resistenza e critica. È conforme con il Vangelo. E i cattolici in tutto il mondo sono insoddisfatti di questo ritardo delle riforme».
È il punto più difficile?
«Vedremo se avrà la forza necessaria. Le riforme necessarie sono note: ruolo della donna, l’enciclica Humanae Vitae quindi la contraccezione, l’ordinazione di donne, l’ecumenismo con le altre Chiese, l’apertura della Chiesa ai drammi del mondo, dalla morale sessuale in Africa al resto».
Il primo Papa non europeo rafforzerà o indebolirà la Chiesa europea in crisi?
«Può solo aiutarla. I problemi della Chiesa, dal celibato alla crisi delle vocazioni, sono problemi mondiali. Cerchiamo di essere felici che un Papa extraeuropeo apra nuove prospettive».
Cercherà dialogo e incontro con lui?
«Non è la cosa più importante, deve occuparsi della Chiesa».