Tanta delusione, poche speranze, qualche proposta. La base cattolica sulle elezioni

Giampaolo Petrucci
Adista n. 9/2013

Pochi i commenti dell’associazionismo cattolico e della base ecclesiale sull’esito dell’ultima tornata elettorale che, lo scorso 25 febbraio ha consegnato il Parlamento – con i noti problemi di governabilità – a ben tre visioni della politica e della società radicalmente diverse, quelle del Pd-Sel, del Pdl e del Movimento 5 Stelle. Senza nulla togliere al ridimensionamento subìto da Pier Luigi Bersani o all’inatteso balzo avanti dell’evergreen Silvio Berlusconi, a catalizzare il dibattito politico – anche nel mondo ecclesiale – è quel 25% di voti circa incassato dai giovani capitanati da Beppe Grillo. Le amare letture prodotte dal mondo cattolico di base tra il 26 e 27 febbraio offrono un quadro a tinte fosche dell’inedita situazione politica italiana. Interessante l’analisi del voto cattolico: forse per il momento di scarsa credibilità dei vertici ecclesiastici, forse per l’incapacità delle gerarchie cattoliche italiane di “adottare” e spingere un preciso referente politico, il voto dei “fedeli” sembra ormai definitivamente dissolto nel nulla.

Miracolo cercasi

«Non era un profeta di sventura chi chiedeva, in tempi non sospetti, la riforma della legge elettorale e un drastico rinnovamento, all’insegna della trasparenza e della moralità, della politica. Tante realtà della società civile, compresa l’Azione cattolica, si sono spese con forza per lanciare, su questi temi, messaggi chiarissimi a tutti i partiti. Ma nulla è stato cambiato». Ecco spiegato – sostiene Franco Miano (presidente nazionale dell’Azione Cattolica) in una dichiarazione sull’esito elettorale – quel «senso d’inquietudine misto a frustrazione e protesta» che ha portato molti elettori alla «ricerca di una nuova offerta politica più vicina alle esigenze dei territori e delle persone». Esigenza che però non è stata raccolta dai partiti tradizionali. Alcuni di questi, tra l’altro, hanno preferito raccogliere consensi «più intorno a promesse, miraggi o aneliti distruttivi che intorno alla reale situazione del Paese». L’Italia è a un bivio, dice Miano; ora tocca alla formazione uscita “vittoriosa” dalle urne e al M5S la responsabilità di governo, e l’irrevocabilità di alcuni provvedimenti, tra cui la legge elettorale, «vergogna democratica di cui portiamo lo stigma ovunque nel mondo»; una riforma istituzionale che snellisca lo Stato; il taglio netto ai costi della politica; il mantenimento dell’immagine e della credibilità italiana all’estero e sui mercati; «il rilancio dell’economia attraverso la creazione di lavoro per i giovani e il sostegno alla famiglia». «In un momento in cui l’Italia ha gli occhi sgranati dinanzi ad uno spettacolo disarmante – si legge in chiusura – l’Azione Cattolica vuole ancora credere in un miracolo di corresponsabilità».

Mission impossible?

«Dal voto esce un quadro preoccupante, ma emergono anche delle chiare indicazioni», dice il presidente nazionale delle Acli Giovanni Bottalico, in un comunicato del 26 febbraio. L’invito delle Acli è alla «responsabilità per tutte le forze politiche, vecchie e nuove». E la prima responsabilità è proprio quella della coalizione Pd-Sel, che si vede “costretta” a governare in dialogo con tutte le altre forze in campo. «Un’impresa non impossibile», se «sapranno mettere al centro dell’attenzione e dell’azione di governo quei chiari messaggi che vengono dall’elettorato». Tra questi, Bottalico rintraccia alcune emergenze inderogabili: serietà e morale politica, con evidenti «segni tangibili di riduzione dei costi»; aggredire la crisi economica ripartendo dal lavoro; rivedere le politiche di austerità «per eliminarne gli effetti recessivi sull’economia»; lavorare per la coesione sociale e contro le disuguaglianze; infine, cambiare legge elettorale.

Correva l’anno 2013

«Il risultato ha scompaginato attese e frustrato speranze», ammette anche Domenico Rosati, già presidente delle Acli, su l’Unità del 27 febbraio. Nel 1976, ricorda nel tentativo di trovare una via d’uscita all’attuale situazione di ipotetica ingovernabilità, «il confronto “bipolare” tra Dc e Pci si concluse in parità». Allora «Moro escogitò il “governo della non sfiducia”, cioè una formazione monocolore democristiana che non ebbe in Parlamento il sostegno dichiarato delle altre principali forze politiche, il Pci e il Psi, che tuttavia, astenendosi, consentirono che il Paese fosse governato pur in una situazione che, in astratto, non consentiva la nascita di una maggioranza definita». La soluzione prospettata da Moro combinò la responsabilità a governare della maggioranza (sebbene minima) e la non ostilità dell’opposizione, che al contempo «non rinunciava a coltivare una propria autonoma prospettiva». Proposta valida ed efficace, quella di Moro, ma che comunque non ebbe eredi nel corso degli anni a venire. Eppure, «nelle situazioni complesse – come quella che viviamo oggi, ribadisce Rosati – non è mai anacronistico richiamare l’esperienza di un uomo politico che prima e più di altri esplorò con passione lo spirito dei “tempi nuovi” della sua stagione, cercando di decifrarne i fermenti e le energie per un disegno di partecipazione e di sviluppo aperto in ogni direzione. Che è quel che occorre anche oggi».

La sinistra e il forcipe

«L’irruzione del Movimento 5 stelle ha senza dubbio posto al sistema l’esigenza di un nuovo pensiero politico e di un nuovo modo di fare politica», è l’analisi di Raniero La Valle (il manifesto, 1/3). «Era da tempo che ciò veniva chiesto, ma c’è voluto il forcipe per imporlo. Ma ora, tirato fuori il forcipe, bisogna che il bambino nasca. La novità non consiste nel fatto qualunquistico che non ci sia né destra né sinistra, ma nel fatto che nessuno pensi più alla politica come il luogo dell’affermazione di sé, ma come strumento per il bene di tutti. Per la sinistra – prosegue La Valle – questo non vuol dire avere la maggioranza, che è molto difficile ottenere in un Paese di destra, educato, istruito, informato come un Paese di destra. Per la sinistra questo vuol dire egemonia: cioè pensare le cose giuste, persuadere i cittadini e mobilitarli per realizzarle. Ciò che di buono la sinistra ha fatto in Italia dalla Costituente in poi, l’ha fatto così. Quando la sinistra si organizza solo “per tornare in Parlamento”, solo perché, pur residuale, si possa dire che c’è, perde, e soprattutto non serve, neppure a se stessa. Bersani, motivato dalla sofferenza del Paese, è in grado oggi di esercitare questa egemonia. I “grillini” potrebbero concorrervi, mettendo in campo i loro programmi, le loro motivazioni e i loro sogni».

Teniamoci forte!

È lunga la lista dei “purtroppo” che Giancarla Codrignani enumera in un articolo pubblicato sul sito delle Comunità di base italiane (www.cdbitalia.it): una sinistra che «non ha “visione”» di fronte a un futuro in continuo mutamento; lo scollamento definitivo tra politica tradizionale e cittadinanza, con la progressiva perdita di fiducia nel “sistema”; l’evanescenza del senso di rappresentanza pensato dai padri costituenti, che imporrebbe ai cittadini di seguire e controllare i propri rappresentanti. È su questa lista di “purtroppo” che si innesta la decisione del popolo di accordare ampio consenso al Movimento 5 Stelle, la paura dei mercati e dell’Europa in merito alla situazione italiana senza via d’uscita; la difficoltà di procedere all’elezione delle cariche istituzionali, ecc. «Un sacco di guai?», domanda Codrignani. «Il Paese vedrà realisticamente i risultati delle proprie scelte». Nel frattempo, conclude, «teniamoci forte: si apre, temo, un nuovo genere di “resistenza”…».

Grandi magazzini

Amaro il commento di Tonio Dell’Olio, affidato alla rubrica “Mosaico dei giorni” che cura sul sito di Mosaico di pace, mensile promosso da Pax Christi. «Ha perso la democrazia con una legge che castra di netto ogni barlume di partecipazione e non permette di scegliere le competenze, la serietà e l’onestà». «Ha vinto chi ha parlato alla pancia dell’Italia, alla sua rabbia e alla sua insoddisfazione, al disagio e alla protesta». La grande sfida per il Paese, aggiunge, non era sui numeri, piuttosto «la capacità di tracciare un disegno per il futuro, pensare e scrivere un altro modello di sviluppo, la provocazione di un sogno». Ed è proprio la progettazione a lungo termine forse la più grande sconfitta. «Hanno vinto i saldi di fine stagione e le televendite. Ha vinto anche chi ha giocato la partita online e ha coniato parole e pensieri differenti. La massa dei cassintegrati e dei disoccupati, dei senza reddito e dei senza crediti, dei senza ordini in azienda e del conto in rosso al 16 del mese, tutti quelli esclusi dal campionato della serenità e gli abitanti in pianta stabile del tunnel… ancora si chiedono cosa è successo».

Bandiera bianca

L’Italia «fa scelte in controtendenza, dei cui effetti pochi sembrano essere consapevoli». Ne è certo Appunti alessandrini (http://appuntialessandrini.wordpress.com), il periodico fondato da don Walter Fiocchi, che pubblica un articolo di Marco Ciani, scritto durante lo spoglio, quando già i risultati erano chiari. «Evidentemente gli italiani pensano che i debiti si possano non pagare, che si possa abbandonarsi ai sogni anche nei momenti più drammatici e che con qualche ricetta magica le cose si possano mettere a posto così, come per incanto», si legge. E la conclusione è ancora più amara: «Purtroppo il sonno della ragione, come insegna la storia, genera mostri». Comunque vada a finire, ipotizza l’autore proiettandosi nei futuri 5 anni e recuperando ironicamente parole che furono di Benito Mussolini, «dopo il voto di ieri, è difficile non essere d’accordo con chi, molti anni fa, sostenne che governare gli italiani non è difficile. È inutile».

Chi è causa del suo mal…

Si concentra sul successo del M5S anche don Paolo Farinella, in un post sul sito di MicroMega. «Tutti pensavano che fosse un bluff» e, invece, nessuno si è accorto che il movimento di Beppe Grillo era un fenomeno sempre più «inevitabile» nel Paese, preparato anche da «chi si è gingillato, credendo che bastassero battute sceme come “smacchiare il giaguaro” o “pettinare le bambole” per esorcizzare una valanga che si abbatteva sul sistema consunto e corrotto». Alla Camera, chiarisce Farinella, nonostante l’inaccettabile retorica del “destra e sinistra tutti uguali”, «ho votato Movimento 5 Stelle e non sono pentito. Ci mancherebbe altro. O si cambia o si muore. Non si può “campicchiare”. Qualsiasi altro voto sarebbe stato una rassegnazione all’inciucio, all’imbecillità e al vuoto».
La lunga analisi di Farinella scandaglia poi un dato che ha colpito molti, ovvero la dissoluzione del voto cattolico, ormai sciolto dalle indicazioni e dalle simpatie ecclesiastiche. «I vescovi italiani meditino e riflettano: il loro impegno e le loro manovre hanno fallito su tutta la linea, come ha fallito il pontificato che finisce in concomitanza. Fallimento totale, irreversibile. Sarebbe ora che dessero tutti le dimissioni per incompetenza profetica e inadeguatezza pastorale».

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Chi troppo vuole nulla stringe. E ora la gerarchia cattolica è preoccupata per l’esito del voto

Valerio Gigante
Adista n. 9/2013

Non è un bel quadro, nemmeno per la Chiesa istituzionale, quello che esce dalle elezioni: alla magra consolazione di vedere la sinistra radicale (ma non è una novità) uscire a pezzi dal confronto elettorale e di nuovo in gran parte fuori dalle aule parlamentari, fa da contraltare – in negativo – la forte affermazione del PdL, che i vertici ecclesiastici avevano scaricato poco più di un anno fa dandolo ormai per defunto; ma, soprattutto, la clamorosa débâcle della lista guidata da Mario Monti, che in questi mesi aveva intensamente flirtato, ricambiato, con il papa e i vertici di Cei e Vaticano. Come se non bastasse, il Movimento 5 Stelle, difficile da inquadrare, ma comunque piuttosto critico con l’establishment della Chiesa, ha raggiunto un risultato imprevedibile. Ed è stato votato anche da molti cattolici.

Insomma, la realtà è che per ora i vertici ecclesiastici restano senza sponde parlamentari, e con alleanze tutte da ricostruire. Uno sgomento che si legge bene tra le righe delle dichiarazioni e dei commenti di parte ecclesiastica apparsi subito dopo il voto. Per l’Osservatore Romano si è materializzato «il risultato peggiore che molti paventavano dalle elezioni politiche italiane», ovvero un Paese in cui il Parlamento al momento «non è in grado di esprimere una maggioranza politica». Il giornale mette sotto accusa anzitutto «la legge elettorale, perfetta per rendere il Paese ingovernabile». Un ritorno alle urne, tuttavia, per il quotidiano vaticano è «impensabile».

Piuttosto guardingo ed attento a non sbilanciarsi l’arcivescovo di Genova e presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco che, parlando a margine di una messa celebrata negli stabilimenti di Ansaldo Energia, ha detto che dal voto arriva un messaggio «grande, serio per il mondo della politica», «su cui bisognerà che i responsabili, quindi gli interessati più diretti, riflettano seriamente». «Mi pare – ha aggiunto riferendosi ai risultati usciti dalle urne – che si esprima una grande voglia di partecipazione da parte della gente».

Per il direttore di Avvenire Marco Tarquinio (26/2), il Parlamento uscito dalle elezioni è «claudicante e come sospeso tra passato e futuro», ma «è adesso che bisogna riuscire a dare un governo» pensando al «superiore interesse del Paese». Secondo Tarquinio il voto ha un «sapore greco». E ci sono «tanti sconfitti». Tutti, tranne uno: «Il Movimento 5 Stelle del tonante caudillo dell’onestà». Onore delle armi all’«area civica del “risanatore” Mario Monti, che esiste e resiste con i suoi 3 milioni di consensi ma non è stata riconosciuta come il riferimento per i moderati e i riformisti che non si riconoscono più nei vecchi schieramenti».

L’agenzia dei vescovi, il Sir, in un editoriale di Francesco Bonini (26/2), rileva che il voto fotografa «con crudo realismo la situazione del Paese e i sentimenti dei cittadini, tra vecchie appartenenze, smarrimento, crisi economica e istanze di forte cambiamento, prima di tutto nei modi e nelle risorse della politica». «Ora tutte le forze politiche hanno il dovere di agire con responsabilità» e «generosità». A partire da «tre emergenze che sono sotto gli occhi di tutti, quella del lavoro, quella istituzionale e quella del rafforzamento del tessuto etico e della famiglia».

Drastico invece il giudizio di Famiglia Cristiana, secondo cui l’Italia uscita dalle elezioni è «senza maggioranza», «senza programmi», «senza stabilità», ma anche «senza cattolici», o quanto meno «con i cattolici relegati ancora in un ruolo marginale». «Molti esponenti di questo mondo – è l’analisi condotta sul sito internet del settimanale dei paolini (25/2) – avevano abbandonato le proprie responsabilità per aderire al progetto dell’ex rettore della Bocconi», secondo cui «doveva essere la continuazione con altri mezzi dello “spirito di Todi”». Ma i risultati elettorali dimostrano che non siamo «di fronte a una nuova stagione dei cattolici in politica. Anzi». Colpa del sistema elettorale. E di quello bipolare che, con la sua logica antagonista, ricorda il settimanale, «non ha mai favorito i parlamentari cattolici», la cui presenza non sarà certo massiccia.

Ora per la Chiesa istituzionale si aprono due prospettive. Attendere un possibile (per alcuni probabile) ritorno alle urne entro pochi mesi, per riorganizzarsi, magari con una “Todi4” e trovare finalmente un nuovo “cavallo vincente”. Oppure puntare su quei parlamentari cattolici eletti nelle diverse liste, da utilizzare come “testa di ponte” per ricostruire alleanze e capacità di fare lobbying. E di cattolici doc, nel nuovo Parlamento, nonostante l’addio di vecchi capisaldi del rapporto tra Chiesa e politica come Rocco Buttiglione, Paola Binetti, Lorenzo Cesa, Ferdinando Adornato, Francesco Storace, ce ne sono parecchi. I tanti ciellini, atei devoti, ex radicali, ex sindacalisti “convertiti” di sinistra, rieletti nelle liste del PdL come Roberto Formigoni, Maurizio Lupi, Maurizio Sacconi, Gaetano Quagliariello, Eugenia Roccella. O i nuovi eletti.

Come gli esponenti di Sant’Egidio, il potente movimento ecclesiale guidato da Andrea Riccardi, oggi braccio destro di Monti e regista di tutta l’operazione che ha portato l’ex rettore della Bocconi a “salire” in politica. Sant’Egidio piazza infatti in Parlamento tre dei suoi. Al Senato, nel Veneto, è stato eletto Gianpiero Dalla Zuanna, inserito in lista su segnalazione diretta di Riccardi. Alla Camera, il collegio Lombardia 2 regala a Riccardi la deputata romana Milena Santerini, docente di Pedagogia alla Cattolica di Milano ed impegnata nella Comunità fin dagli anni ‘70. Dal collegio Lazio 1 arriva invece Mario Marazziti, dirigente Rai e portavoce della Comunità, nonché braccio destro di Riccardi.

La lista Monti elegge anche un altro deputato cattolico: il ciellino Mario Mauro, eurodeputato PdL, recentemente convertitosi alla sobrietà montiana ed eletto al Senato in Lombardia. E un senatore, l’ex presidente delle Acli Andrea Olivero. Altro ex presidente Acli (di sicura fede ruiniana) rieletto nelle liste del Pd è Luigi Bobba. Tra i democratici sono stati eletti diversi esponenti cattolici, inseriti da Bersani per fare concorrenza al pedigree cattolico della lista Monti: al Senato ce l’ha fatta la storica Emma Fattorini; alla Camera Flavia Nardelli Piccoli, figlia del notabile Dc Flaminio e segretaria dell’Istituto Sturzo; Ernesto Preziosi, ex vicepresidente dell’Azione Cattolica e direttore delle pubbliche relazioni dell’Istituto Toniolo di Studi Superiori (l’ente morale che controlla l’Università Cattolica); Edo Patriarca, presidente del Centro nazionale per il volontariato