Un Papa di nome Francesco

Tonio Dell’Olio
Mosaico dei giorni – 14 marzo 2013

I segni sono importanti. Quelli posti dal nuovo Pontefice ieri sera non avevano bisogno di alcuna didascalia. Dalla scelta del nome al saluto laico e semplice della buonasera, dalla benedizione richiesta al popolo davanti al quale cui si è inchinato devotamente al riferimento al semplice titolo di “vescovo di Roma”… siamo sicuramente difronte alla promessa di un cambiamento. Forse non si tratta di una svolta che rientra nei parametri cui siamo abituati e si sottrae alle categorie di progressismo e conservazione con cui siamo soliti valutare e questo rende sdrucciolevole il terreno dei commenti degli esperti di cose vaticane. Ma è certo che ci troviamo davanti a un cambio che attende ancora di essere compreso.

Ho conosciuto personalmente il Card. Bergoglio. Un colloquio lungo e appassionato. Avevo chiesto di incontrarlo perché con Libera Internazionale ponevamo i primi passi in Argentina e mi premeva ascoltare e tener conto anche delle sue valutazioni. Restai impressionato della sua conoscenza profonda della società argentina, dei suoi mali e delle sue potenzialità. Mi colpì la sua forza nella denuncia di fenomeni tanto intollerabili quanto diffusi come la corruzione. Ma sopra ogni cosa era il suo tratto umano, la sua capacità di ascolto e di accoglienza ad attirarmi. La sua semplicità. Arrivò a parlarmi in dialetto piemontese… Poi mi è successo tantissime volte di sentir parlare di lui dalle organizzazioni con cui Libera ha scelto di accompagnarsi in Argentina.

Alameda è un’organizzazione laica e aconfessionale che opera contro il lavoro schiavo, denuncia il fenomeno della tratta e della corruzione e ha dato vita nel tempo a un’ampia offerta di iniziative al servizio delle donne recuperate alla tratta e di giovani strappati al lavoro forzato. Bergoglio si è reso spessissimo presente per aiutare, sostenere e accompagnare. Senza mai chiedere nulla in cambio. Con grande umiltà. Al di là di ogni altra e pur legittima considerazione, penso che la comunità dei credenti e il mondo globalizzato in cui viviamo abbia bisogno, anzi urgenza, di questo genere di concime per far crescere il bene.

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La voce del silenzio

Massimo Gramellini
www.lastampa.it

È timido, è semplice, è piemontese, anche se parla come Maradona. Chissà se gli basterà essersi chiamato Francesco per seppellire la pompa della Chiesa e la società dei consumi, entrambe degenerate a livelli insostenibili. Di sicuro uno che al suo primo affaccio dal balcone si mette in ginocchio e riesce a fare tacere per quasi mezzo minuto la folla di Roma può essere capace di qualsiasi impresa. Mezzo minuto di silenzio, cioè di spiritualità, qualcosa di molto più ampio della religiosità. Le parole trasmettono emozioni e pensieri. Il silenzio, sentimenti. Erano anni che lo aspettavamo. Anni orribili di applausi ai funerali e di minuti di silenzio inquinati da coretti da stadio non solo negli stadi. Questo terrore di entrare in contatto con se stessi, contrabbandato per empatia ed espansività. Questo bisogno di buttare sempre tutto fuori, per paura di sentire che cosa c’è dentro, fra la pancia e la testa. Il cuore.

Il gesuita Francesco ha mandato nel mondo il suono dimenticato del silenzio. Per trentadue secondi: in televisione un’eternità. Sarebbe bastato che dalla piazza partisse un «viva» o un «daje» per rovinare tutto. E invece una Roma improvvisamente e miracolosamente afona non gli ha sporcato il primo e fondamentale discorso a bocca chiusa. Ora il suo cammino può cominciare, nonostante le difficoltà del caso. Lui è abituato a girare in metropolitana, ma muoversi coi mezzi a Roma risulta piuttosto complicato. Le strade sono piene di buche, in Curia anche di burroni.

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Habemus papam. Embé?

Pierfranco Pellizzetti
www.micromega.net

Indubbiamente c’è uno scotto da pagare ai diktat del carrozzone mediatico, ma in mezzo al coro estatico innanzi al nuovo papa venuto da Baires c’è spazio anche per una voce che esprime la più assoluta indifferenza per l’avvenimento? La voce di chi trova fastidiosa tutta questa grancassa per il fatto che il nuovo vescovo di Roma indossa la stola e i paramenti sfarzosi con moderazione; l’entusiasmo perché saluta la folla dalla finestra su San Pietro con un informale “buonasera” (e che doveva dire, alle 19,06: “buondì”? “estate todos marchiones”? il più alla moda “vaffa”?). Un po’ poco, se non si tratta di applausometro a contratto.

Certo, ha ragione l’amico Paolo Farinella a dire che Jorge Mario Bergoglio ci ha salvato dall’ascesa al soglio pontificio di Angelo Scola. Ossia, l’uomo venuto dal Rio della Plata ha l’indubbio merito di aver tagliato la strada a quello di Malgrate sotto Lecco: il più in vista della nidiata di Don Giussani, già arruolatore di viscidi anfibi maneggioni a cui apprese le tecnologie a rete delle cricche e delle cordate; con cui gli allievi hanno tessuto la ragnatela che ormai copre la Padania lombarda, in particolare la sua sanità. Ma il benemerito e santo killeraggio dell’arcivescovo di Milano, tornato all’ombra della Madonnina grazie alla sponsorship di Comunione e Liberazione, è solo un aspetto indiretto (probabilmente inintenzionale, nei suoi effetti sul pollaio politico italiano) di un evento narrato come epocale e planetario.

Ma è proprio così? Intanto segnala l’abbandono da parte di Santa Romana Chiesa dei vasti territori del mondo avanzato, dove la cristianizzazione è data come irreversibile, per trincerarsi in aree del mondo in ritardo sulla via della secolarizzazione. Ad esempio il Latinoamerica, dove proprio i gesuiti come Bergoglio hanno fatto in passato una buona quantità di disastri chiamandoli cristianizzazione. Tipo il disarmo materiale e psicologico delle popolazioni indigene, consegnate inermi ai conquistadores iberici o confinate nelle reducciones tra il Paraguay e il Corrientes (falansteri ierocratici con rigida divisione per sessi; comprese le coppie sposate). E hanno continuato a farli. Magari negoziando le reciproche aree di influenza con tiranni e tirannelli delle locali giunte militari. Ad esempio quella del generale Jorge Rafael Videla, sui rapporti del quale con l’allora vescovo Bergoglio iniziano a giungere boatos dall’altra parte del mondo.

Quel Bergoglio che certamente conferma con le sue prese di posizioni la tradizione omofoba nelle gerarchie ecclesiastiche (del resto a consistente orientamento omosessuale, in quanto a tendenze personali). Un dato a cui prestare un po’ di attenzione, prima di abbandonarsi alle stesse apoteosi che accompagnarono l’avvento di papa Karol Wojtyla, che poi si rivelò pontefice da anno Mille, più interessato alla sua personale lotta contro il regime sovietico e al finanziamento di Solidarnosc (con traffici per cui un banchiere italiano ci lasciò pure le penne sotto un ponte di Londra) che non ad attualizzare un messaggio di amore universale. Sempre se si fa riferimento alle frequentazioni (magari dei Pinochet) più che alle teatralità cerimoniali; tipo il lavaggio delle estremità a malati di AIDS e baraccati (che sono tali anche per le connivenze ecclesiastiche: dal supporto a certi regimi plutocratici alla repressione pregiudiziale di certe profilassi, tipo uso del preservativo).