«Bene i segni. Finisce la papolatria, ora la riforma». Intervista a Frei Betto

Roberto Monteforte
www.unita.it

«Nello scegliere il nome di Francesco, il cardinale Bergoglio, solleva grande speranza per le sorti
del papato. Mai un Papa aveva scelto questo nome». Non nasconde la sua sorpresa e anche le sue
speranza per l’apertura di una pagina nuova nella vita della Chiesa, il padre domenicano brasiliano
Frei Betto, una delle voci più significative della Teologia della Liberazione.

Perché lo ritiene così positivo?
«Perché il nome di Francesco d’Assisi simbolizza quattro orizzonti importanti. Francesco è stato il
santo che ha messo in discussione le origini del capitalismo. Pensiamo alla ribellione verso suo
padre Bernardone che grazie al pionierismo della produzione manifatturiera e l’introduzione dei
primi telai meccanici aveva provocato il fallimento di diversi artigiani che lavoravano i tessuti. Per
la prima volta, nel XIII secolo, in Italia si vedono “i miserabili” non perché vittime delle guerre,
delle epidemie, quali la peste o delle avversità naturali, ma a causa delle attività produttive. Il nome
di Francesco simbolizza l’opzione per i poveri, che è alla base della teologia della liberazione.
Francesco rompe con Bernardone, si spoglia nella piazza di Assisi e assume la condizione delle
vittime del sistema».

E poi?
«Non dimentichiamo che Francesco è il santo patrono dell’ecologia. Amico degli animali, colui che
canta “fratello sole sorella luna”. Il quarto punto riguarda il rapporto del santo d’Assisi con la
Chiesa. Francesco sente Gesù chiedergli di ricostruire la Chiesa. E lo fa interpretando alla lettera la
parola di Gesù, ricostruendo la chiesa della Porziuncola. Poi comprende che vi è un significato
molto più ampio, ossia di ricostruire l’intera Chiesa cattolica. È quello che chiede Papa Benedetto
XVI alla vigilia della sua rinuncia».

Quanto questa scelta potrà aprire una fase nuova?
«Nel rinunciare al pontificato Benedetto XVI ha fatto un atto di grande umiltà. Non avveniva nella
storia della Chiesa da quasi seicento anni. Così ha messo un punto alla papolatria, che purtroppo è
molto comune nella chiesa cattolica. E ha relativizzato il papato».

Cosa intende?
«D’ora in avanti, qualunque Papa che si dovesse ammalare gravemente, o che dovesse arrivare a
un’età piuttosto avanzata, potrà rinunciare. Non ci sarà alcun motivo perché continui a essere
pontefice come un monarca assoluto che deve obbligatoriamente morire seduto sul trono di Pietro».
Questo aiuterà l’ecumenismo, il dialogo con le altre Chiese cristiane?
«Anche questo è molto importante. Perché papa Francesco, è gesuita, e avrà sicuramente pensato
anche a Francesco Saverio, uno dei fondatori della compagnia di Gesù che è andato a evangelizzare
il Giappone, l’India e l’Oriente. Dal pontificato di Giovanni Paolo II la Chiesa si è chiusa al dialogo
interreligioso, come pure all’ecumenismo. La scelta di Bergoglio per un nome come quello di
Francesco Saverio, apre alla speranza che riprenda il dialogo con le altre religioni e anche con le
scienze, con gli atei. Senza alcun preconcetto, come Gesù. Aperto alle persone seriamente
interessate. Vedo segnali estremamente positivi nelle prime scelte di Papa Francesco».

Si è definito solo vescovo di Roma…
«Anche questo è molto importante. Nel definirsi vescovo di Roma, senza usare l’espressione di
vescovo universale, torna alle origini: quando il vescovo di Roma non aveva autorità sugli altri
vescovi, ma era solo riferimento dell’unità della fede cattolica. Un riferimento necessario affinché si
sappia chi sta comunicando la fede considerata dal consenso dei vescovi, quella di contenuto più
vicino al Vangelo. Per questo all’inizio della cristianità era stato scelto il papa di Roma che non
aveva alcuna autorità sugli altri vescovi. Speriamo che ora il Papa chiuda le nunziature. Perché il
Vaticano non deve essere per forza uno Stato. Basta che sia la sede della Chiesa cattolica, e che il
Papa valuti le sue scelte assieme a un collegio delle conferenze episcopali nazionali e anche con i
sinodi dei vescovi. La mia speranza è che convochi anche un sinodo permanente dei laici che
possano aiutarlo nel governo della Chiesa».

Far vivere e sviluppare il Concilio Vaticano II?
«Metterlo in atto. Paolo VI non ha avuto tempo sufficiente per farlo. Mentre Giovanni Paolo II e
Benedetto XVI non ne avevano l’interesse. Dagli atti del Concilio sappiamo che Papa Wojtyla,
allora vescovo di Cracovia, aveva votato insieme ai più conservatori, a chi non voleva la riforma
della Chiesa. È quindi molto importante che ora Francesco riesca a mettere in pratica il Concilio,
che non lo lasci solo sulla carta».

Papa Francesco ha raccontato che in Conclave è stato il brasiliano cardinale Hummes a
ricordagli i poveri…

«Ho lavorato 15 anni direttamente con il cardinal Hummes , quando era vescovo della regione
metallurgica di San Paolo, è la regione di Lula, dove è nato il Pt (il Partito dei lavoratori) e la Cut
(la Centrale unicadei lavoratori). Carlos Hummes è un uomo con una spiccata sensibilità verso i
poveri. Ed essendo francescano, e trovandosi accanto al cardinale Bergoglio, non solo gli ha
suggerito che da pontefice non si dimenticasse mai dei poveri, ma gli ha anche suggerito il nome di
Francesco. Pochi giorni fa, il cardinal Hummes ha dichiarato in pubblico che ci sarà una riforma
della curia. Conoscendolo bene, e sapendo quanto sia attento e ponderato, sono certo che mai
avrebbe fatto quelle dichiarazioni senza avere avuto una autorizzazione da papa Francesco. Questo
ci porta a sperare che vi sia una vera riforma nella Curia romana, perché ha macchiato
profondamente l’immagine della Chiesa cattolica».

Qualcosa è già iniziato. Papa Francesco ha rifiutato i simboli del potere: la croce d’oro, l’uso
della mozzetta…

«Spero che non si fermi ai gesti dell’inizio del pontificato. È chiaro che si rendono necessari gesti
più profondi. La cosa più importante è cambiare la struttura di governo della Chiesa. Affinché il
Papa non sia più un monarca assolutista come accade oggi solo in Arabia Saudita. Bisogna che il
Papa non solo si spogli dell’oro, o che si avvicini al popolo, ma che abbandoni anche titoli quali
Sommo Pontefice e tutto quello che favorisce la papolatria. Ma soprattutto che il Papa sia la voce
dei poveri. In questo mondo così iniquo, con disuguaglianze che si accentuano a causa del
neoliberismo. Abbiamo di fronte una situazione drammatica. Si parla tanto del fallimento del
socialismo nei paesi dell’Est europeo ma si dimentica di parlare del fallimento del capitalismo per
ben 4 miliardi di abitanti del pianeta su 7 miliardi. Sono 4 miliardi gli esclusi dai beni essenziali
della vita. Che vivono in una condizione di sopravvivenza animale. Che devono garantirsi da
mangiare, un posto dove dormire, l’educazione dei figli. È molto importante che lo faccia, perché
non sia interpretato come un demagogo».

Un Papa proveniente dall’America Latina, la Chiesa cambierà il suo punto di vista sul
mondo?

«Sì, è latinoamericano. Viene da un paese che vive la crisi economica e conosce molto bene questa
realtà. Spero quindi che mantenga quel principio pedagogico secondo cui la testa deve pensare dove
i piedi calpestano. Ossia benché i piedi siano oggi a Roma, ci auguriamo che mantenga la testa in
America Latina. Che venga a favorire tutto il processo politico, di grande speranza, promettente,
che l’America Latina vive oggi con i governo democratici e popolari, con grande sostegno popolare.
Dei popoli che alle urne hanno scelto capi di Stato progressisti. Spero che il Papa si aggiunga a
questo processo».

Ma Bergoglio è un progressista o un moderato, un conservatore?
«Preferisco non dare risposta alla domanda. Ritengo sia troppo presto per rispondere a questa
domanda. Bisogna aspettare per vedere come si pone. Non è un uomo che si è distinto, nella sua
traiettoria personale, come un progressista. Ma neanche come un grande conservatore.
È un uomo moderato. Ma ricordo che Giovanni XXIII era un conservatore e ha sorpreso il mondo
con i suoi atteggiamenti progressisti. Aspettiamo quindi un po’, per valutare meglio. Ricordiamoci
di Romero che celebreremo il 24 marzo, giorno del suo assassinio. Era un conservatore che è
cambiato dopo essere diventato vescovo di San Salvador. Spero che lo stesso avvenga con il nuovo
Papa».

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I teologi della liberazione dell’America Latina ripongono grandi speranze in papa Francesco

www.cath.ch traduzione: www.finesettimana.org

All’epoca della dittatura argentina, Mons. Jorge Mario Bergoglio “non è stato un Romero” –
allusione all’arcivescovo di San Salvador assassinato dagli “squadroni della morte” -, ritiene
padre Jon Sobrino. Il gesuita salvadoregno vede però un “piccolo segno” nel suo atteggiamento
fatto di “semplicità e di umiltà”.

Il gesuita di origine basca ha dichiarato all’agenzia di stampa cattolica austriaca “Kathpress” che
questi “piccoli segni” devono crescere per diventare “grandi segni”. Molti compagni di strada si
ricordano di Mons. Bergoglio come di una persona dalle profonde convinzioni e di un uomo pieno
di temperamento. Era il tipo del combattente instancabile, rileva Sobrino.

Il teologo salvadoregno sottolinea che lui stesso, fino ad oggi, non conosceva ancora bene il nuovo
papa, ma si basa sulle informazioni pervenute dall’Argentina. “Se diventa papa, si diceva già di lui
con humor, farà pulizia nella curia!”. Jon Sobrino sottolinea anche un altro aspetto del carattere del
nuovo papa: è stato l’unico arcivescovo di Buenos Aires che frequentemente si è offerto di sostituire
personalmente dei preti nelle parrocchie, quando era necessario.

La frugalità e la modestia del cardinal Bergoglio sono impregnati di un interesse reale per i poveri,
gli indigenti, i sindacalisti perseguitati, per i quali era un difensore tenace nei confronti del governo,
assicura padre Sobrino. Il suo modo di attuare “l’opzione preferenziale per i poveri” era molto
apprezzata.

Il gesuita salvadoregno ricorda il suo intervento pubblico affinché fosse fatta giustizia per le vittime
di un grande incendio che aveva distrutto una discoteca nel 2004. Apprezza il suo linguaggio
“profetico” per denunciare gli abusi come la tratta degli esseri umani, il lavoro forzato, la
prostituzione e il traffico di droga.

A proposito dell’atteggiamento del nuovo papa durante la dittatura militare argentina che ha
insanguinato il paese dal 1976 al 1983, Jon Sobrino si basa sulle dichiarazioni del giovane teologo
argentino Francisco Herman Bosch. Questi ritiene che non sia giustificato parlare di “complicità” di
Mons. Bergoglio, anche se quest’ultimo che era allora provinciale dei gesuiti in Argentina si era
tenuto lontano dalla Chiesa popolare impegnata con i poveri.

Il confratello gesuita ritiene che padre Bergoglio non aveva la personalità di un Mons. Enrique
Angelelli, vescovo di La Rioja, assassinato per ordine della dittatura militare argentina, o di altri
responsabili religiosi che si sono confrontati direttamente con i militari. “Non è certamente un
Romero”, ritiene padre Sobrino, pur riconoscendo di non avere sufficienti informazioni per
esprimere un giudizio perentorio in merito.

“Molti papi sono stati eletti, e tra questi ce ne sono stati di buoni. Questo papa fa parte dei buoni!”,
ha confidato il teologo della liberazione argentino Antonio Reiser al giornale cattolico austriaco
“Linzer Kirchenzeitung”. Reiser stesso era, nel 1977, nella lista delle persone da eliminare stesa
dalla giunta militare argentina. Il vecchio prete aveva dovuto fuggire. Padre Bergoglio non si è mai
dichiarato politicamente a favore della teologia della liberazione, ma in incontri personali, gli ha
manifestato della simpatia, dichiara il teologo oggi ottantunenne. “È falso dire che il papa ha tradito
delle persone all’epoca della dittatura militare”, insiste Antonio Reiser.

“A quell’epoca tutti avevano paura, e non si poteva fare granché. Ma la Chiesa si è veramente
impegnata per i due gesuiti, cosicché sono stati espulsi e non assassinati”. Antonio Reiser osserva
con entusiasmo l’attenzione di Mons. Bergoglio per i poveri. Papa Francesco non è un uomo “di
sinistra”, ma ha consapevolezza sociale e si impegna “dalla parte dei poveri”. A riprova, afferma
che l’ex arcivescovo di Buenos Aires non esitava a recarsi spesso da solo e senza protezione di
polizia nelle bidonvilles della capitale argentina.

In Brasile il teologo della liberazione Leonardo Boff, che ha anche militato contro il regime militare
del suo paese, ha definito “infondate” le accuse rivolte contro padre Bergoglio sul suo passato
durante la dittatura argentina. Come Mons. Pedro Casaldaliga, vescovo emerito della prelatura di
Sao Felix do Aragauaia, Boff sottolinea l’impegno di padre Bergoglio durante quell’epoca oscura per
l’America Latina.

Mons. Casaldaliga, 85 anni, all’inizio di dicembre dello scorso anno aveva dovuto nascondersi a
causa delle minacce proferite da grandi proprietari terrieri locali. Il prelato di origine catalana
accoglie con gioia la semplicità del nuovo papa e il suo dinamismo evangelizzatore. Ripone grandi
speranze in papa Francesco, in particolare per introdurre cambiamenti che permettano una riforma
profonda della curia romana.