Carceri disumane: sciopero della messa di Pasqua

Carmelo Musumeci (carcere di Padova)
www.cronachelaiche.it

Don Oreste,

nonostante le numerose iniziative, gli appelli, le lettere, le firme raccolte e le numerose adesioni di persone importanti, come Margherita Hack, Umberto Veronesi, Agnese Moro e Bianca Berlinguer, ma anche di tanti uomini e donne di Chiesa, contro l’esistenza in Italia della “Pena di Morte Viva”, l’ergastolo senza benefici, nulla è cambiato. E “i buoni”, nonostante siano trascorsi dalle nostre condanne venti, trenta e più anni, non sono ancora sazi e continuano a torturarci l’anima, il cuore e la mente.

In questi giorni mi sono domandato che altro possiamo fare per attirare l’attenzione, sensibilizzare l’opinione pubblica, per fare capire ai buoni che ricambiare male con altro male (murare viva una persona senza neppure la compassione di ucciderla) fa sentire innocente qualsiasi criminale. Don Oreste, ognuno combatte con le armi che ha ed ho pensato di proporre a tutti gli uomini ombra, sparsi nelle nostre patrie galere, lo sciopero della messa di Pasqua, perché per noi, almeno su questa terra, non ci sarà mai resurrezione. Che cosa abbiamo noi da spartire con questa festa? Tanto vale non festeggiarla, è una presa in giro per noi.

Lo so, non sarai sicuramente d’accordo, e non lo è neppure il mio compagno Ignazio, che è di fronte alla mia cella, che non si perde mai una messa, ma che altro possiamo fare per tentare di cambiare il cuore della società civile, dei giudici, dei politici e degli uomini di chiesa, che spesso si occupano solo delle nostre anime e non dei nostri sogni e speranze? Don Oreste, è da pazzi giudicare un uomo o una donna colpevole per il resto della sua vita e, a parte l’errore, è un orrore. Molti di noi sono diventati uomini nuovi, perché continuano a punirci? Che c’entriamo noi con quelli che eravamo prima?

Don Oreste, dall’ultima volta che ti ho visto nel carcere di Spoleto, quando ti schierasti dalla parte dei più cattivi (prima di te lo aveva fatto solo Gesù), mi manchi. perché te ne sei andato così presto in cielo? Potevi rimanere ancora un poco su questa terra per darci una mano ad abolire la “Pena di Morte Viva” in Italia. Ora ci sentiamo più soli. Diglielo tu a Dio, io non ho il coraggio (e poi sono anche ateo) che gli uomini ombra per Pasqua non andranno a messa. Don Oreste, guarda cosa puoi fare da lassù perché stiamo invecchiando e non abbiamo più tempo. Siamo disperati, molti di noi (siamo già quasi in 300 che hanno aderito) a settembre sono pronti anche per uno sciopero della fame: non ci resta che la nostra vita per cercare di ritornare nel mondo dei vivi e lotteremo con quella. Don Oreste, è dura vivere nell’ombra ed è per questo che gli uomini ombra non festeggeranno la Pasqua. Perdonaci almeno tu, se puoi. Il mio cuore ti manda un abbraccio fra le sbarre.

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Per avere un quadro completo del dramma-carcere, con tabelle e considerazioni varie, si legga Pianeta Carcere: un sistema vicino al collasso totale di Antonio Antonuccio, apparso on line in due parti nei numeri 33-34/2012 di Excursus.
Anche la redazione di LucidaMente se ne è occupata in numerose circostanze, a partire dalla pubblicazione di un vero e proprio dossier e di uno spunto satirico del nostro direttore. Ne I giornalisti emiliano-romagnoli dietro le sbarre, compare inoltre l’inchiesta compiuta dal numero 83 di Giornalisti. Inoltre Lucidamente ha più volte ospitato testimonianze di detenuti come Vincenzo Andraous e Mario Trudu. E, soprattutto, dell’ergastolano-scrittore Carmelo Musumeci, il suo tragico appello, un’intervista, un suo intervento-lettera aperta al ministro della Giustizia, l’articolo Sesso e galera. Ci sono poi le iniziative e manifestazioni dei Radicali italiani, il gruppo politico più attivo sulla questione con la sua proposta di Amnistia per la Repubblica, così come su quelle dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII (Trasferiti ergastolani di Spoleto) e altre (Detenuti senza diritto alle cure). Né è stata dimenticata la condizione della polizia penitenziaria, in sofferenza come quella dei detenuti, trattata in Quegli altri uomini dentro le prigioni.

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Suicidi, la strage silenziosa

Stefano Pasta
www.famigliacristiana.it

Domenico Antonio Pagano, 46 anni, si è impiccato il 17 marzo nella casa di reclusione di Opera (Milano). Da inizio mese, è il sesto suicidio nelle carceri italiane e altri 3 detenuti sono deceduti per cause in corso di accertamento. 

Il 4 febbraio, aveva fatto discutere il caso di Natale Coniglio, operaio 42enne originario di Stilo (RC), impiccatosi nella sua cella di Noto (SR). Era stato condannato per furto e ricettazione e la sua famiglia aveva più volte fatto presente agli organi giudiziari la fragilità psicologica di Natale, chiedendo la detenzione domiciliare in una clinica specializzata per scontare il resto della pena. Il rigetto dell’istanza e il trasferimento dal carcere di Locri a quello di Noto sono stati la goccia che ha fatto traboccare il vaso. 

Nello scorso anno, sono stati i mesi estivi quelli più drammatici. Un quarantenne italiano, che soffriva di disturbi psichici, si è suicidato il 30 agosto, impiccandosi con la cintura del suo compagno di cella, nel carcere di Udine.

Il 5 agosto, invece, Valentino Di Nunzio, 29 anni, è morto, dopo sei mesi di agonia, per essersi buttato “di testa” dal letto a castello della sua cella. È stato il quarto detenuto morto suicida nel carcere di Teramo in otto mesi. Il 1 agosto, nella casa circondariale di Alba, un cinquantenne albanese si è ucciso con una rudimentale corda ottenuta annodando le lenzuola. “Io là dentro non ci torno”, ha detto anche Emanuele Grisanti, padre di un bambino di 4 anni, recluso a Roma, prima di impiccarsi ad un albero nel cortile dell’ospedale in cui doveva essere operato di calcoli.

In tutto, secondo l’Osservatorio permanente sulle morti in carcere, nel 2012 sono stati 60 i detenuti che si sono tolti la vita e 154 i morti dietro le sbarre, mentre per il 2013 siamo già a 44 “morti di carcere”, di cui 14 per suicidio Nell’Italia delle celle, si muore da Nord a Sud, senza differenze di età e di reati commessi. Ma anche senza distinzione di ruoli: 9 agenti di polizia penitenziaria si sono uccisi lo scorso anno. 

Numeri che parlano di un forte malessere “al di là del muro”, dove vivono 100mila persone, tra carcerati e carcerieri. Un mondo in cui dovrebbero farsi strada la rieducazione, la legalità, il rispetto della dignità, per restituire alla società persone libere e responsabili. Per produrre, in definitiva, più sicurezza. Questo è il senso della pena detentiva, il significato imposto dalla Costituzione e dalle successive scelte riformatrici. Eppure, la realtà è lontana anni luce. Il Ministro Severino ha tempo fa usato l’espressione “gironi infernali”, mentre Lucia Castellano, ex direttrice del carcere modello di Bollate, ha parlato di “cimitero dei vivi”. Sicuramente, ed è un paradosso, “fuorilegge”. Un anno fa, la Corte Europea dei Diritti umani ha condannato l’Italia per aver detenuto persone in meno di tre metri quadri. Tortura e trattamento inumano e degradante secondo l’articolo 3 della Convenzione Europea.

Dal 1990 ad oggi, infatti, la popolazione carceraria è più che raddoppiata, passando da 25mila a oltre 66mila persone. Il 36% è detenuto per violazione della legge Fini-Giovanardi sulle droghe. Ma nelle 206 carceri italiane non c’è abbastanza spazio: ci sono 145 persone ogni 100 letti disponibili, 21mila detenuti in più. Siamo il Paese più sovraffollato d’Europa. La situazione è drammatica da Nord a Sud: alla Puglia, con il 188,8%, spetta la maglia nera del sovraffollamento, seguita dalla Lombardia e dalla Liguria.

Nel mese di agosto, l’associazione Antigone, che dal 1991 tutela i diritti dei detenuti, ha lanciato l’iniziativa “in carcere nella calda estate italiana”: i volontari sono andati a monitorare la condizione di vita interna, gli spazi a disposizione, lo stato delle strutture, e hanno diffuso un report dopo la visita. Una delle situazioni più critiche è a Messina; qui, con un sovraffollamento del 200%, alcuni detenuti vivono in uno spazio inferiore ai 2 metri quadri a testa, “per stare in piedi – rilevano da Antigone – bisogna fare i turni”. Nella sezione femminile, dove vive anche una bambina di due anni e mezzo, “le celle e i corridoi presentano crepe sui muri, intonaco scrostato, gelosie di vetro alle finestre, muffa e umidità nei bagni.

Le  docce sono in comune e l’acqua calda nelle celle non è disponibile: le detenute lamentano di doversi lavare con le bottiglie”.