Il Papa che paga il conto di L.Boff

Leonardo Boff, Teologo/Filosofo
Ricevuto dall’autore e tradotto da Romano Baraglia

È la pratica, non la predica a convincere la gente. Le idee possono illuminare, ma sono gli esempi che attirano e ci mettono in cammino. Questi sono capiti da tutti. Le molte spiegazioni più che chiarire, confondono. Le azioni pratiche parlano da sé.
Ciò che ha definito il nuovo Papa Francesco come quello “che viene dalla fine del mondo”, cioè da fuori dei quadri europei così carichi di tradizioni, palazzi, spettacoli principeschi e dispute interne di potere, sono gesti semplici, popolari, ovvi per chi dà valore al buon senso comune della vita. Lui sta stracciando i protocolli e mostrando che il potere è sempre una maschera e un teatro ben puntualizzato dal sociologo Peter Berger, anche trattandosi di un potere che pretende avere origine divina.

Il Papa Francesco semplicemente ubbidisce al mandato di Gesù che esplicitamente disse che i grandi di questo mondo comandano e dominano: “Ma tra voi non deve essere così; se qualcuno vuol essere grande, che sia servitore; chi vuole essere il primo sia il servo di tutti; perché il figlio dell’uomo non è venuto per essere servito ma per servire” (Marco, 10-43.45).
Bene se Gesù ha detto questo, come può il garante del suo messaggio, il Papa, dire qualcosa di diverso?

In verità, con la costituzione della monarchia assoluta dei Papi, specialmente a partire dal secondo millennio, l’istituzione ecclesiastica ha ereditato i simboli del potere imperiale romano e della nobiltà feudale: vesti vistose (come quelle dei cardinali), orpelli, croci e anelli di oro e d’argento e abiti da palazzo. Nei grandi conventi religiosi che vengono dal medioevo si viveva in spazi tipici dei palazzi. Come studente, nella stanza che mi ospitava nel convento francescano di Monaco che risale al tempo di Guilherme Ockham (sec. XIVº) un solo quadro del rinascimento alle pareti valeva alcune migliaia di euro. Come accostare la povertà del Nazzareno, che non aveva dove posare il capo con mitrie, e pastorali dorati, e stole, e vesti principesche degli attuali prelati? Onestamente, non è possibile. E il popolo che non è ignorante ma fine osservatore nota questa contraddizione. Tale apparato non ha niente a che vedere con la tradizione di Gesù e degli apostoli.

Secondo alcuni giornali, quando il segretario del conclave ha voluto mettere sulle spalle di Papa Francesco la “mozzetta”, quella mantellina, riccamente adornata, simbolo del potere papale, semplicemente ha voluto dire: “Il carnevale è finito, metti da parte questa roba”. Si è fatto vedere con la sua veste bianca, come era solito vestirsi anche Dom Helder Câmara che, lasciato il palazzo coloniale di Olinda era andato a vivere al pianterreno di un un palazzo, nella Chiesa das Candeias, in periferia; come ha fatto anche il Cardinale Don Evaristo Arns, per non parlare di Dom Pedro Casaldaliga che vive in una povera casetta condividendo la stanza con qualche ospite.

Secondo me, il gesto più semplice onesto e popolare di Papa Francesco è stato quello di tornare all’alberghetto dove si era ospitato (mai alloggiava nella grande casa centrale dei gesuiti a Roma) e è andato a pagare il suo conto: 90 euro al giorno. E’ entrato, ha preso lui stesso i suoi effetti personali, ha messo tutto nella valigetta, ha salutato il personale e se n’è andato.

Quale potente del mondo civile, quale miliardario, quale artista famoso farebbe una cosa del genere? Sarebbe tralignare dall’intenzione del Vescovo di Roma voler vedere in questo gesto, normale per tutti i mortali una intenzione populista. Non faceva la stessa cosa quando era cardinale di Buenos Aires, andando a comprare il suo giornale, facendo la spesa per cucinare i suoi pasti, andando in autobus o in metrò e preferendo presentarsi come ”Padre Bergoglio”?

Frei Betto ha coniato un’espressione di grande verità: “La testa pensa a partire dal posto dove i piedi poggiano”. Effettivamente, se qualcuno bazzica sempre palazzi sontuosi e cattedrali, finisce col pensare con la logica dei palazzi e delle cattedrali. Per questa ragione, la domenica ha celebrato la Messa nella Chiesina di Sant’Anna, dentro il Vaticano che è considerata la Parrocchia romana del Papa. E dopo è andato a chiacchierare con i fedeli sulla porta.

Cosa notevole e carica di contenuto teologico: non si è presentato come Papa, ma come “Vescovo di Roma”. Ha chiesto preghiere non per il Papa Emerito Benedetto XVI ma per il Vescovo Emerito di Roma Joseph Ratzinger. Con questo lui ha ripreso in mano la più antica tradizione della Chiesa, quella di considerare il Vescovo di Roma come “il primo tra pari” Per il fatto che nella città di Roma stavano sepolti Pietro e Paolo, Roma aveva il primo posto. Ma questo potere simbolico e spirituale era esercitato nello stile della carità e non nella forma di potere giuridico sopra le altre chiese, atteggiamento predominante nel secondo millennio.

Non mi meraviglierei assolutamente se, come voleva Giovanni Paolo I, decidesse di abbandonare il Vaticano e andasse ad abitare in un luogo semplice, con ampi spazi esteriori per ricevere visite dei fedeli. I tempi sono maturi per questo tipo di rivoluzione nei costumi papali e che sfida sta rappresentando per gli altri prelati della Chiesa: vivere la semplicità volontaria e la sobrietà condivisa.