Rileggendo riflessioni sul potere maschile. La verità dell’oggi

Daniela Pellegrini
www.womenews.net

L a verità dell’oggi per me, quella che mi sconvolge e ferisce nel profondo, quella che mi mozza il fiato per vivere e le parole per dirlo o dire altro dal ‘Discorso’ delle specie fin qui, è che le donne ne sono, non soltanto desolatamente succubi, ma ne rappresentano – convinte e vogliose di essere tali – la ‘seconda’ parte portante e v(d)olente di esso.

L a verità dell’oggi per me, quella che mi sconvolge e ferisce nel profondo, quella che mi mozza il fiato per vivere e le parole per dirlo o dire altro dal ‘Discorso’ delle specie fin qui, è che le donne ne sono, non soltanto desolatamente succubi, ma ne rappresentano – convinte e vogliose di essere tali – la ‘seconda’ parte portante e v(d)olente di esso.

L’affermazione e la valorizzazione della propria appartenenza al ‘Due’ degli umani e della propria ‘differenza’ ha incupito e stravolto il desiderio sicuramente sacrosanto di esistenza nel mondo, perché l’ha trasformato nella volontà di ‘integrarsi’ entro quello stesso discorso, quello dell’ineluttabilità della dualità così come si è strutturata storicamente a tutti i livelli di senso.

Sono passati i tempi in cui il movimento delle donne affermava che, dopo aver ‘guardato’ per secoli, aveva consapevolmente ‘visto’ lo scempio e l’orrore della cultura fin qui. Compreso l’orrore di un femminile e di un maschile affiancati e reciprocamente legittimati dal Giano bifronte di un simbolico ‘patriarcale’ e dal suo potere secolare. Un potere e un simbolico patriarcale che punisce le donne (e la “femminilità”) per le azioni e malversazioni da lui stesso compiute su e contro di esse!

La ‘femminilità’, di cui le donne vanno ora così fiere, non è soltanto il risultato dello sguardo patriarcale che teme e vuole espellere da sé quello che considera il proprio negativo (il crogiuolo di insicurezza e paura di cosa davvero esso è lo porta a differire da sé …nella istituzionalizzazione della ‘differenza’ altrui), ma è anche, e soprattutto, la terroristica giustificazione all’autoincensamento e affermazione di supremazia di ciò che negativo è di fatto e che il “maschile” agisce a tutti i livelli di senso: la violenza, la coercizione, lo sfruttamento, la competizione, l’appropriazione indebita, il razzismo…(Anche se ora lo si chiama ‘globalizzazione’: i ‘Tutti’ consegnati al potere dell’Uniformazione.)

Ora sembra che le donne siano tornate a essere immemori di quel potere, della sua scelta, e della coercizione entro cui esse per prime accettano le proprie e altrui ‘differenze’ e perciò continuano a sostenere e confermare i guasti irreparabili che la dualità – ben aldilà della spartizione di genere effettuata – ha determinato e confermato per secoli. Hanno così aperto nuovo e sempre più ampio spazio all’accettazione e alla ammirazione di sé a fianco dell’Altro. Un Altro a cui non togliere il potere e l’autorevolezza di sempre e a cui chiedere non solo spazio per la propria esistenza, ma riconoscimento e amore. E lo chiamarono ‘realismo femminile’…un realismo conservatore e perbenista, dedito e dipendente dalla ‘relazione’ immutabile dei due poli “fondamentalisti”.

Ben aldilà della spartizione di genere, dicevo, perché il femminile e il maschile (natura e razionalità, subalternità e dittatorialità, debolezza e forza, perdente e vincente…) rimangono i pilastri portanti di ogni tipo di rapporto cosiddetto ‘umano’ e caratterizzano ogni comportamento della specie che, evidentemente, in questa dicotomia abnorme, tanto sapiens non é.

Ed anche se questi ‘attributi’ della specie e della sua conduzione del mondo ‘sembrano’ sempre più essere a portata di mano e perciò condivisi da maschi e femmine, ciò che continua a fare la parte del padrone è il ‘maschile’, quello culturalmente dato. Esso, e insieme a lui il femminile, non potranno mai cambiare nome se altro nome non avrà la civiltà di una nuova libera specie.

L’enfatizzazione dell’Altro ha fregato le donne, la miseria della Differenza culturale coatta (ipocritamente basata su una innocente differenza corporea) le ha riinvischiate nella dicotomia (acquiescenti? adoranti? sedotte o emancipate?) e ha tolto loro la forza di progettare altro davvero. La loro opera di civilizzazione si è arenata davanti al solito vecchio coito culturalmente maschio e non interruptus.

Questo per me oggi rappresenta l’abnorme rinuncia delle donne alla ricerca di una ‘invenzione’ culturale e antropologica che modifichi lo sguardo e il praticare il mondo per tutta la specie. Uno sguardo ed un’agire che ci ponga in una posizione altra da quella conosciuta, quella che perpetua una scelta/non scelta antropologica legata al conflitto, alla contrapposizione, alla violenza istintuale dell’età della pietra. Quella che ha voluto ‘questo’ maschile come vincente, anche per le donne, soprattutto quando affermano di voler essere a loro volta ‘vincenti’.