“Ad Auschwitz saresti stata attenta” classe in rivolta contro la prof antisemita

Gabriele Isman
www.repubblica.it/ 5 aprile 2013

Una frase ignobile in un’aula di un liceo della Capitale, una studentessa ebrea attaccata dalla docente, i compagni che compatti prendono le difese dalla ragazza. È successo all’artistico Caravillani in piazza Risorgimento, a pochi passi da San Pietro: era sabato, ora di matematica, poco dopo la ricreazione.La ragazza quel giorno non stava bene per un forte mal di testa: esce dalla classe, va in bagno, rientra al suo banco all’ultima fila, ma il malessere non passa. La docente la nota, e qui parte la rasoiata: “Se fossi stata ad Auschwitz, saresti stata attenta”.

La giovane rimane sbigottita e scoppia a piangere, ma i compagni la difendono: “Prof, lei è razzista”. La docente risponde e insiste: “Non sono antisemita, ma nella scuola italiana non c’è più la disciplina di una volta”. Tre studenti, tra cui la ragazza ebrea, minacciano di disertare le lezioni di matematica tenute da quella professoressa. L’episodio accade in un sabato di ottobre: la madre della ragazza va a protestare il lunedì dalla preside, che chiede una protesta scritta alla signora e apre un’istruttoria formale. La docente cerca di spiegarsi, ma aggiunge qualcosa di ancora più grave. “Ho detto quella frase per indicare un posto organizzato”: dopo l’apertura dell’inchiesta interna rischiava 15 giorni di sospensione, ma invece si ammala.

La famiglia della giovane intanto si rivolge alla Comunità ebraica romana: a gennaio in un incontro a cui partecipano la ragazza, sua madre, la dirigente scolastica e il presidente della Comunità Riccardo Pacifici, la prof dice di non essere antisemita, ma non cambia la sua posizione: “Ammetto di aver detto quella frase in classe, ma l’ho pronunciata per indicare un posto dove regnava l’ordine”.

È una riunione piuttosto tesa, con minacce di portare la questione in tribunale. Alla fine, anche in considerazione di un vecchio incidente di cui la prof porta ancora le conseguenze, si mette in malattia per un mese, in attesa di andare in pensione a settembre per raggiunti limiti d’età. “Sì, la frase c’è stata – conferma Anna Maria Trapani, preside della Caravillani – ma mi pare importante che i ragazzi abbiano solidarizzato con la loro compagna e l’episodio è stato ben assorbito dalla scuola. La professoressa non voleva dire quel che le è uscito fuori dalla bocca e i ragazzi hanno interpretato senza filtri. Non voleva offendere nessuno, e infatti non è stata punita”.

Ieri la classe è stata ricevuta da Pacifici al Museo ebraico, come racconta il sito della Comunità romaebraica.it. “I compagni della ragazza sono i veri eroi. La loro capacità di non rimanere indifferenti è la migliore medicina per combattere ogni intolleranza. Il loro rimanere compatti accanto alla compagna, supportati da una preside eccellente che ha vissuto con orgoglio la presa di coscienza dei ragazzi”. Pacifici si spinge oltre: “La cultura di questi ragazzi che sconfigge l’indifferenza credo che meriti di essere premiata come accade ogni 27 gennaio al Quirinale. Come Comunità ebraica ci faremo promotori di segnalare questo splendido episodio di altruismo alla Presidenza della Repubblica”.

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Storia di una prof antisemita

Rosa Ana De Santis
www.altrenotizie.org

Yael è una ragazza che frequenta il liceo artistico Caravillani, a Roma. Quella mattina di qualche mese fa è distratta; forse, anzi sembra certo, non si sente bene a causa di una forte emicrania. Entra ed esce dall’aula, ha la testa altrove. La professoressa la nota e le rivolge un commento lapidario “In un campo di concentramento saresti stata attenta”. E’ questa la ricostruzione di Roma ebraica, ma è questo quello che dicono i testimoni: gli attoniti compagni di classe che immediatamente esprimono vicinanza e solidarietà alla loro amica.

In questa poche battute c’è tutto il meglio e il peggio che la storia ci consegna del male assoluto che è occorso all’inizio del secolo. Addolora che sia proprio un’insegnante, un’educatrice, una cui non si può concedere alcuno sconto di indulgenza per ignoranza o immaturità, a farsi portavoce di uno spot nazista. Persino di fronte al Presidente della Comunità ebraica, Riccardo Pacifici, in un tentativo di chiarificazione delle proprie posizioni, la donna ha rivendicato il suo rimprovero pensando di poterlo argomentare. Auschiwitz, ha detto lei, per indicare un luogo di “ordine”.

Deve aver confuso il campo di sterminio con un college, deve non avere studiato abbastanza, ma poiché pare impossibile dato il suo ruolo nell’istruzione, deve appartenere a quel manipolo di persone che sminuiscono, banalizzano, arrotondano l’olocausto a un po’ di omicidi sporadici tipici del tempo di guerra.

La preside non sospende la professoressa, ma le invia una lettera di richiamo (un po’ pochino) e ora spetta al MIUR e all’ufficio scolastico regionale qualsiasi decisione più rigorosa. Il Ministro Profumo sembra intenzionato a non lasciar correre con qualche sit in di protesta e poco altro. Importante la reazione degli altri studenti, ma indecoroso che la responsabile di una frase antisemita abbia potuto per quasi sette mesi salire in cattedra e continuare indisturbata nella sua opera di docenza.

Ora, temendo una sospensione quasi sicura, la prof è in malattia e i vincitori di questa brutta partita di negazionismo sono i più giovani, le nuove generazioni, che del passato forse hanno se non una memoria, la giusta conoscenza. La giornata della memoria celebrata ogni anno il 27 gennaio viene a volte raccontata come un rito che sembra doveroso, ma ormai superfluo. Eppure i fatti, dolorosamente, ci smentiscono.

Per l’episodio di questo liceo artistico, certo, ma anche per i volantini neonazisti, con la runa Wolfsangel, qualche giorno fa apparsi al Liceo Tasso di Roma e denunciati immediatamente dall’ANPI (associazione nazionale partigiani). E poi ancora il congresso nascente, sempre nella capitale, promosso dalla formazione neonazista Militia che sta aprendo canali di adesione internet, sezioni sul territorio e che tra i punti programmatici del proprio manifesto ha lo stop al sionismo (chissà se sanno davvero cosa sia nella storia di questo popolo) internazionale e frasi del tipo “Israele non ha diritto di esistere”.

Dove Israele non significa ripensare la questione geo-politica mediorientale e palestinese per intenderci, ma eliminare il popolo ebraico tout court, nello stile che il nazismo ha sufficientemente dimostrato nella teoria e nella pratica. Tra questi signori, molti già arrestati dai Ros, c’è chi nega la Shoah e chi si dice ammiratore di Hitler.

In questo clima di nostalgie illegali, pericolose e antidemocratiche, chiudere l’occhio o tendere all’indulgenza dentro una scuola e al cospetto di una ragazza ebrea insultata è grave e deprecabile. Solo le scuole ci salveranno infatti da chi non ha studiato e da chi non ha capito. E solo la legge infine ci aiuterà a difenderci da chi, pur sapendo, milita dalla parte dei carnefici. Quelli che Norimberga, il pensiero, la civiltà e i sopravvissuti hanno condannato. Non tutti nel modo migliore. E soprattutto – e purtroppo – non tutti.