Ho ancora negli occhi…

Gabriella Natta
Cdb San Paolo (Roma)

Finché quella donna del Rijksmuseum
nel silenzio dipinto e in raccoglimento
giorno dopo giorno versa
Il latte dalla brocca nella scodella,
il Mondo non merita
la fine del mondo.
(“Vermeer” di Wislawa Szymborska)

Ho ancora negli occhi quel quadro di Johannes Vermeer e nella mente la poesia di Wislawa Szymborska che me lo fa rivivere. Il viso, parte in ombra, è quello di una contadinotta prosperosa; accanto alla brocca con il latte che sta scendendo nella scodella, c’è del pane e sembra fragrante. La stanza è spoglia. Dai vetri chiusi dell’unica finestra la luce si posa sulla parete consunta. Eppure c’è tutto: è un attimo di vita perfetta. Dopo quasi quattrocento anni il dipinto riesce a suscitare le stesse emozioni, gli stessi sentimenti di allora. Mi piace pensare di entrare nella scena e parlare con quella donna, capire chi è, cosa pensa, che problemi ha.

Nel dipinto di Vermeer e nella poesia di Szymborska le due arti si incontrano e si fondono. Si realizza così, semplicemente, un prezioso attimo di spiritualità.
Mi è capitato altre volte di provare la stessa sensazione ascoltando un brano di musica, tanto da farmi pensare: sì, il divino è nel suono: un’arte che non si vede e non si tocca, che attraverso l’udito invade tutto l’essere.

E’ un’evasione la mia? Non credo, se riusciamo – in questo tempo così pesante – a pensare ancora che “il Mondo non merita la fine del mondo”. Quello che nel linguaggio semitico, tipicamente simbolico, viene definito “il regno d Dio” , è un frammento di perfezione durante il quale le donne stuprate si riscattano, quelle velate fanno volare verso il cielo il loro burka, le bambine orrendamente mutilate possono ammirare la bellezza del loro corpo, le donne imprigionate nella prostituzione riscoprono la sessualità libera e appagante, tutti i miseri e le misere innalzano il loro canto.

Non necessariamente spiritualità e divino coincidono. Eppure, come siamo più facilmente attraversate dal “trascendente” quando riusciamo a gioire non solo dell’arte umana ma anche dell’arte sorprendentemente insita nelle bellezze della natura! Se ci facessimo invadere da questi sentimenti, le relazioni se ne gioverebbero e l’avvento del “regno” sarebbe meno improbabile.

Forse Szymborska, nello scrivere la poesia, aveva presente la frase del principe Miskin nell’Idiota di Dostoevskij “la bellezza salverà il mondo”. E’ una frase ambigua e alquanto misteriosa che ha dato adito a molte interpretazioni; comunque, nel rapporto con la vita, l’arte ha cercato sempre di riempire con la bellezza il vuoto dell’esistenza umana, il dolore cosmico.

Anche il card. Martini, in una lettera pastorale scritta in preparazione del giubileo del 2000, si poneva lo stesso interrogativo e affermava che “non basta deplorare e denunciare le brutture di questo mondo, parlare di giustizia e di doveri. Occorre qualcosa che rapisca il cuore”.

Ma tornando a Dostoevskij, di quale bellezza parla? E’ interessante notare che in russo “mir” significa sia mondo che pace e non c’è bisogno di scomodare la filosofia per dire che è innegabile il legame tra la Bellezza e il Bene. Mi resta un interrogativo: la speranza risiede nella bellezza che salverà la pace o nella pace che salverà la bellezza?