Omosessualità e scoutismo: un percorso possibile

Luca Kocci
Adista n. 15, 20 aprile 2013

Una persona omosessuale può fare lo scout? E può essere un capo scout, educatore quindi di bambini e adolescenti? A partire da queste domande si è sviluppato il dialogo fra alcuni capi scout cattolici dell’Agesci e gli omosessuali credenti di Nuova Proposta, in un incontro organizzato a Roma, lo scorso 27 marzo, nella Chiesa valdese di piazza Cavour.

Un incontro, spiega Andrea Rubera, presidente di Nuova Proposta, nato anche in seguito al seminario promosso nel novembre 2011 da Proposta educativa, la rivista dell’Agesci sul tema “Omosessualità: nodi da sciogliere nelle comunità capi. L’educazione fra orientamento sessuale e identità di genere” (v. Adista Notizie n. 19/12). «Le posizioni espresse in quel contesto – aggiunge – ci avevano colpito per la loro durezza e chiusura. Poi abbiamo capito che non erano, e non sono, le posizioni dell’Agesci, ma solo di quei relatori. Per cui abbiamo pensato di avviare un dialogo con gli scout, di cui questo incontro può essere l’inizio, o anche la fine».

All’estero, soprattutto nel mondo anglosassone, l’argomento è molto dibattuto. Negli Stati Uniti i Boy Scouts of America escludono i gay dichiarati dai loro gruppi (v. Adista Notizie n. 29/12). In Gran Bretagna, invece, i documenti ufficiali degli scout spalancano le porte ai gay («va bene essere gay e scout», «va bene essere gay e capi scout», si legge), invitano i capi ad assumere un atteggiamento di «empatia e sensibilità» nei confronti delle ragazze e dei ragazzi che manifestano la loro omosessualità ed incoraggiano gli adolescenti a vivere con serenità e libertà il loro orientamento.

In Italia, invece, se ne parla poco o niente, ma il tema è sensibile. «Ci sembra che si rischi di passare sotto silenzio un nodo importante», ovvero «quello delle ragazze e dei ragazzi che, mentre crescono in gruppi parrocchiali o scout, non sanno dare un nome ai sentimenti che iniziano a provare e non sempre trovano accoglienza nelle loro comunità», si legge nella lettera di invito di Nuova Proposta all’Agesci. «Parliamo quindi di giovani che, nel periodo adolescenziale e frequentando la comunità scout, si trovano ad affrontare con paura e solitudine estrema la scoperta di essere omosessuali e perciò diversi dalla maggior parte dei loro compagni. La nostra esperienza, anche personale, ci ha insegnato che i gruppi Agesci sono sempre stati un’eccezionale palestra di cittadinanza attiva, di rispetto per i percorsi e le scelte di ognuno, di accoglienza sincera e consapevole di ragazze e ragazzi considerati “diversi” per origine e nazionalità, per contesto familiare, per handicap fisico o mentale e, immaginiamo, per orientamento sessuale. Sappiamo, però, per il nostro vissuto, che “accoglienza” non è solo “accompagnare in silenzio”, ma anche e soprattutto dare “nome e cittadinanza” a ogni condizione umana per far sì che chi si trovi a vivere quella condizione, possa sentirsi realmente a casa propria e non “ospite tollerato”».

«Negli scout l’accoglienza è indiscriminata e verso tutti, quindi non serve aggiornare il Patto associativo e magari scrivere che bisogna accogliere anche i gay», dice un capo di un gruppo scout romano. Ma non sempre è così: «Non sono tornata nel mio gruppo scout dopo essermi scoperta omosessuale perché sapevo che avrei dovuto nascondermi, ma io non volevo mentire sul mio orientamento sessuale», replica una aderente a Nuova Proposta. «Perché infatti la questione non può essere limitata al non cacciare, si tratta invece di creare un contesto pienamente inclusivo, in cui è possibile manifestare in piena e totale libertà e serenità il proprio orientamento affettivo», aggiungono ancora da Nuova Proposta. «Ma il problema non è nei documenti o nella struttura, bensì nelle singole persone: alcune hanno la capacità di accogliere pienamente tutti e tutte, altre no», interviene un altro capo scout, a cui replica subito una sua compagna: «L’Agesci su queste tematiche è troppo pavida e troppo silente, l’omosessualità rimane un argomento tabù, perché è un argomento tabù per la Chiesa cattolica. Intanto però le persone ci sono, vivono e soffrono».

Potrebbe aiutare la singolare esperienza – per quanto informale e non ufficiale – di un gruppo scout torinese, che si è denominato Coming scout (il coming out è l’espressione usata per indicare la decisione di dichiarare apertamente il proprio orientamento sessuale o la propria identità di genere), nato proprio per aprire un dialogo, all’interno dell’Agesci, sulle tematiche dell’omosessualità. «Facciamo Coming scout anche a Roma», propone un capo scout, «poi magari ne nascerà uno anche in Campania, poi in Toscana e poi nel resto d’Italia, e così, dal basso, si potrà cercare di provocare cambiamenti anche nei livelli dirigenti nazionali dell’Agesci».

L’incontro si conclude, capi scout e omosessuali credenti si salutano, ma l’impressione è che un percorso sia stato avviato.