Una sconfitta per la laicità

Paolo Bonetti
www.italialaica.it | 24.04.2013

Nelle giornate convulse che hanno preceduto la rielezione di Giorgio Napolitano a presidente della Repubblica, c’è stato un momento in cui il Partito democratico avrebbe potuto far confluire i suoi voti sul candidato del M5S, dopo che i grillini avevano mostrato una certa disponibilità sulla spinosa questione dell’appoggio al governo. Era quello che per settimane Bersani aveva cercato di ottenere, per poi, di fronte ai ripetuti rifiuti, cambiare radicalmente strategia stipulando sottobanco un accordo con Berlusconi e puntando sulla candidatura Marini; fallita questa ipotesi, aveva di nuovo cambiato atteggiamento presentando la candidatura Prodi nemico storico di Berlusconi. Il risultato di queste confuse manovre è stato catastrofico per lui e per il suo partito, tanto che è stato costretto a dimettersi dalla segreteria e a mettere il Pd sotto l’ala protettrice di Giorgio Napolitano. Ora, dopo tanto parlare di cambiamento, ci ritroviamo con un presidente quasi novantenne, degnissima persona, ma che prosegue il suo mandato per garantire equilibri politici ormai sterili e destinati progressivamente alla paralisi. Anche Rodotà è uomo di una certa età, ma certamente avrebbe incarnato, meglio di Napolitano, un’idea di Repubblica rigorosamente laica, capace in ogni circostanza di far valere quei diritti dei cittadini, costituzionalmente garantiti, di cui troppo spesso ci si dimentica nella prassi politica italiana.

Molti si chiedono perché il partito democratico si sia comportato in questo modo, pur sapendo che gran parte dei suoi militanti e dei suoi elettori avrebbero gradito una scelta a favore di Rodotà; probabilmente ci sono state paure assai diffuse nel gruppo dirigente del Pd circa i modi in cui Rodotà avrebbe esercitato le funzioni di presidente, senza indulgere a quei compromessi che hanno consentito finora la sopravvivenza di un ceto politico, di destra e di sinistra, segnato dalla corruzione diffusa e dal timore di doverne pagare, prima o poi, le conseguenze. Rodotà, per la sua intera storia culturale e politica, rappresenta quei valori dello Stato di diritto in cui tutti dicono di credere, ma che vengono poi facilmente dimenticati quando si tratta non di garantire l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, ma l’impunità di alcuni per le conseguenze dei loro atti.

La mancata elezione del giurista romano è stata dunque un’occasione perduta, mentre si profila la nascita di una repubblica presidenziale che non è prevista dalla nostra Costituzione, ma che si è manifestata ormai da tempo nei comportamenti dell’attuale presidente della Repubblica. Naturalmente neppure la nostra carta costituzionale è immutabile, fatti salvi i principi enunciati nella sua prima parte, ma ogni cambiamento nell’organizzazione dello Stato andrebbe prioritariamente discusso, magari attraverso la convocazione di un’assemblea costituente alla quale affidare il compito di introdurre le nuove norme. Il cambiamento avviene, invece, attraverso decisioni prese per far fronte in qualche modo alla confusione politica in cui il paese è precipitato, senza che i cittadini possano dire la loro circa la necessità e la qualità di certe scelte. Secondo la Costituzione ancora formalmente in vigore il capo dello Stato è un arbitro imparziale garante delle regole, mentre ormai, nella prassi, si sta trasformando in un giocatore come gli altri, che interviene nella contesa per far pendere le sorti della partita da una parte piuttosto che dall’altra, falsando inevitabilmente il libero gioco della politica.

Si dirà che questo è inevitabile, quando il sistema politico risulta paralizzato per l’incapacità dei partiti di dar vita a una maggioranza e a un governo che siano in grado di affrontare l’emergenza economica nella quale ci troviamo, ma resta comunque preoccupante il fatto che, mentre risultano ancora sostanzialmente non rispettati alcuni fondamentali principi costituzionali circa l’uguaglianza dei cittadini, il regolare funzionamento delle istituzioni viene manomesso senza che si sia proceduto a una chiara revisione costituzionale. Sta nascendo in questi giorni un cosiddetto governo delle larghe intese, sostenuto da forze politiche profondamente divise almeno fino ad oggi, e questo governo dovrebbe fare quelle riforme che il governo Monti, sostenuto dagli stessi partiti, non è stato in grado di fare. Non si capisce bene per quale motivo un governo fotocopia del precedente dovrebbe riuscire nell’impresa di mettere d’accordo chi ha già ampiamente dimostrato di non riuscire a trovare questo accordo, per la semplice ragione che ci sono questioni, come quelle del funzionamento della giustizia e della tutela dei diritti, in cui la divaricazione delle posizioni è tale da non consentire di arrivare a compromessi accettabili. A meno che non si voglia scambiare qualche indecoroso pateracchio per una soluzione ragionevole. L’elezione di un uomo come Rodotà sarebbe anche servita a garantirci da certi stravolgimenti costituzionali a cui rischiamo di andare incontro per tenere a tutti i costi in vita un governo destinato a fare la fine del precedente: la morte per paralisi progressiva.

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L’epitaffio di Pirro

Paolo Farinella, prete

Ho ascoltato il discorso della corona di Giorgio Napolitano, re d’Italia, Imperatore d’Etiopia, Negus di Abissinia, mentre parla ad un mangiamento stipato di inutilità stagionate e fresche di stagione. Masochisti. Battono le mani, anche quando il «granddad» li sfotte e li rimprovera. E’ proprio vero che «Dio fa impazzire coloro che vuole perdere» (Quos perdere vult, Deus dementat). Una scena deprimente, da avanspettacolo, se non fosse tragico fino a disperarsi.

L’imperatore italiano ha detto un paio di cose sensate, il resto è stato un epitaffio su una lastra di marmo sulla tomba dopo la sepoltura. L’unico beota era Berlusconi, larva screpolata, che crede di avere vinto. Accanto a lui di riflesso (Pavlov) rideva il suo cagnolino d’ordinanza, Al Fano. Somigliano a quelli che si evirano per punire la moglie che li tradisce. Bersani sembrava uscito da una fumeria dopo avere fatto una flebo mix di ecstasi ed eroina. Tutti felici e contenti perché l’imperatore d’Etiopia gli diceva che erano falliti che non avevano saputo fare una riforma e non sapevano nemmeno stare seduti in mangiamento ad alzare le mani e votare. Nemmeno la legge elettorale, quella che tutti volevano abolire e che nessuno voleva eliminare perché permette a tutti di impedire agli altri di governare. Ha dato dell’incapace ai nominati e questi giù a spellarsi le mani. La scena era talmente ridicola che lo stesso negus ha dovuto interrompersi e dire «i vostri applausi non siano autoassolutori».

Ha detto al Pd che non è stato capace nemmeno di gestire la vittoria che poteva portarlo al governo; il successo fallito gli ha dato alla testa e pdini si sono comportati tutti da ubriachi, o peggio da pazzi. Conseguenza regale: larghe intese, falde ampie, tutti dentro, tutti sul carro nel proseguire la sana politica di Monti che non è ancora scaduto. Come volevasi dimostrare. Inciucium perfectum!

Il re ha detto anche che 5Stelle ha fatto cilecca perché si è limitato a contestare tutto e tutti senza fare una sola proposta. Il programma è sempre stato un fantasma dietro le quinte, perché si sono persi dietro se stessi, annegati nella forma astratta di loro stessi. Avrebbero potuto fare il governo ed eleggere il presidente della Repubblica. Invece di prendere l’iniziativa, aspettavano di essere chiamati e non si rendevano conto che ogni ora che passava giocava contro di loro, come dimostrano le elezioni in Friuli dove 5Stelle crolla dal 27 al 13%. Peccato, poteva essere la svolta, ma spesso nella vita, vale il proverbio: «chi troppo vuole nulla stringe». Risultato: coloro che dovevano circondare il mangiamento e farlo arrendere, sono isolati, all’angolo e saranno marginalizzati perché potranno solo fare scarsa opposizione perché le regole del Movimento sono autocastranti: M5S uccide i suoi stessi figli.

Non è stato onesto però, l’imperatore, nel dire che 5Stelle contrappone la piazza alle Istituzioni perché bisogna fare un monumento al Movimento che sta contenendo la rabbia e la rivoluzione entro i confini della democrazia. I candidati che sono emersi per la presidenza della repubblica erano quando di meglio (chi più chi meno) il Paese potesse esprimere. Dipingerli come forsennati è ingeneroso e pericoloso. I nemici della Istituzioni sono coloro che hanno applaudito e lo stesso Napolitano che, facendo finta di essere rigoroso custode della Costituzione, di fatto ha detatto la «sua legge», il suo governo, il suo programma e i suoi tempi. Questa non è più democrazia, pur se le forme sono salve.

Ho messo a questo lamento il titolo «Epitaffio di Pirro». Epitaffio perché oggi la democrazia è orfana; Pirro perché l’emiciclo dei falliti, puttanieri, ladri, grassatori, giovani rampanti, opportunisti e plaudenti, crede di essersi salvato, ma ha solo rimandato la disfatta che sarà ancora più tombale e deflagrante. Ho visto l’orchestra del Titanic: suona e affonda; suona mentre affonda. Beati loro!

Purtroppo – merito esclusivo del Pd! – oggi gongola Berlusconi che rientra in gioco alla grande, imporrà i suoi ministri e il suo programma con la benedizione imperiale e si preparerà alle prossime elezioni per farsi eleggere Presidente della Repubblica, se il Padre Eterno non ha pietà di mezza Italia prima di questa sciagurata sciagura. Al Pd disonore e vergogna perché non ha tenuto in conto il bene comune e l’interesse dell’Italia, ma solo le piccole rendite delle bandi di banditi al suo interno. A Renzi, nulla vestito da fiorentino, pallone gonfiato ad elio scadente, i resti di quel resta del PD.

Oggi lunedì 22 aprile, antivigilia della Liberazione, i morti della Resistenza, muoiono ancora, uccisi dagli amici, dai debosciati e dai traditori dei morti, dei vivi e dei moribondi. Ora comincia il tragico: il governo delle cariatidi Amato, Letta, Alfano, Quagliarello. Berlusconi salvato fu! Amen!

Urge sinistra-sinistra, nuova, figlia della Resistenza. Ora.

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Vince Pirro. La classe politica dirigente annuncia un nuovo corso

Sergio Di Cori Modigliani
www.liberi-pensieri.info

“L’articolo più bello della Costituzione è l’articolo 36, laddove si dice che la retribuzione deve assicurare al lavoratore «un’esistenza libera e dignitosa»: sono parole bellissime. L’esistenza deve essere libera e dignitosa, non può essere sempre e soltanto subordinata alla logica economica. Non possiamo vivere all’ insegna dell’emergenza continua e dell’esistenza dei soli problemi economici: i diritti non possono essere sacrificati impunemente.”      (Stefano Rodotà – Il diritto di avere diritti)

Abbiamo un re. Un paese medioevale non poteva che esprimere un monarca. Finisce così la commedia degli equivoci.

Senza alcun colpo di scena. Si trasforma nell’inevitabile sceneggiatura che sposta, inevitabilmente, il film “L’Italia alle elezioni” da una sceneggiata cialtrona, interpretata da Alberto Sordi o Peppino de Filippo, in un film hard boiled, molto più vicino a “Quarto Potere” di Orson Welles o a “Le mani sulla città” di Francesco Rosi, capolavoro del 1963, interpretato da Rod Steiger e Salvo Randone, due splendidi grandi attori. Finisce la commedia e finiscono anche gli stereotipi su questo paese, dipinto troppo spesso con faciloneria, con superficialità, spingendo l’immaginario collettivo a voler credere e pensare che, comunque vada, si finisce a tarallucci e vino. Non è così. Non ci sono biscotti, non esistono libagioni. La commedia non c’è più. La sceneggiatura rimane la stessa ma ci regala l’annuncio, invece, di una tragedia sociale. L’elezione del presidente trasforma, giustamente, il film della nostra nazione in quella che dovrebbe essere, per aderire in maniera più realistica alla autentica situazione del paese: una tragedia.

Vincono coloro che non hanno mai voluto e non vorranno mai nessuno spostamento neppure millimetrico dell’asse portante dell’equilibrio del paese, quel consociativismo perpetuo tra aristocrazia fondiaria, oligarchia finanziaria, criminalità organizzata e i rappresentanti delle istituzioni sempre disposti e disponibili per mettersi al servizio delle esigenze euro-atlantiche, declinate da chi considera la Repubblica Italiana una semplice colonia alla quale dare un ordine da eseguire senza discussione.

Nasce così l’asse conservatore italiano che guiderà l’Italia verso la sua totale resa incondizionata al sistema finanziario speculativo europeo. E questa loro vittoria deve spingere tutti gli italiani a diventare più maturi, più responsabili, a comprendere che è necessario adesso iniziare una fase di profonda argomentazione, elaborazione e continua attività della cittadinanza per difendersi e cominciare a organizzare la propria salvaguardia, perché tra dieci giorni, l’intero “sistema paese” finisce ufficialmente sotto il perentorio controllo politico del sistema finanziario speculativo. Pioverà un fiume di denaro sulla Repubblica Italiana, probabilmente fin dalla prossima settimana, sia in borsa, sia sui fondi di investimento che a favore dei nostri bpt che vedranno, all’improvviso, una ottima performance sui mercati. Ma non arriverà neppure un euro né alle imprese nè alla cittadinanza.

Siamo finiti dentro il film “Le mani sulla città” del 1963. Lì ritorna l’Italia, a quel punto della propria Storia. Conclude così il proprio processo di regressione iniziato con Silvio Berlusconi venti anni fa. Con l’elezione di Stefano Rodotà, il paese avrebbe dato l’avvio alla costituente collettiva per la nascita della Terza Repubblica. Con la dissoluzione del PD l’intera collettività paga il prezzo della incapacità degli italiani di affrontare la realtà (e il conseguente lutto mai elaborato) per la fine del comunismo del 1989.

Finisce la Seconda Repubblica, oggi. Ma non nasce la Terza.

L’attuale indecorosa classe politica dirigente prende atto della situazione e promuove la Prima Repubblica, lanciando quindi al paese un messaggio chiaro, forte, netto, preciso. La Seconda Repubblica è fallita: ritorniamo ai giochi del privilegio precedenti all’epoca post-moderna, quindi alla Prima Repubblica. Da domani ritorniamo –per scelta dell’attuale parlamento- a considerare le istituzioni e l’attività politica dell’esecutivo secondo gli standard della Prima Repubblica, attraverso una fitta ragnatela di amicizie e incroci azionari di banche, fondazioni, istituzioni finanziarie, tutte quante sotto la benedizione e l’appoggio di chi rappresenta la sintesi delle oligarchie del privilegio delle antiche dinastie aristocratiche della rendita parassitaria.

Per il momento, l’attuale classe politica dirigente italiana ha scelto di ritornare ufficialmente alla costituzione del Medioevo Italiano. E’, in assoluto, la pagina più nera, delittuosa e regressiva per il nostro paese. L’aspetto positivo consiste nel fatto, come la Storia ci insegna, che i sistemi autoritari non reggono l’urto dell’opposizione quando ci si trova a una crisi di sistema, come nel caso dell’Italia. Con questa scelta effettuata pochi minuti fa, l’Italia sceglie ufficialmente lo “stato perenne dell’assoluta immobilità” provocando la spaccatura del paese tra istituzioni rappresentative e volontà della cittadinanza, in un momento storico nel quale “i cittadini” irrompono nell’agone pubblico pretendendo di avere una voce nel nome di un bene comune e delle esigenze del servizio pubblico. Non dureranno molto, lo sanno anche loro. Non dureranno molto proprio perché vince il mondo della Prima Repubblica defunta venti anni fa. E non si tratta di resurrezione, bensì di riesumazione.

Verremo governati dai cadaveri della Storia.

L’aspetto positivo è che esiste, oggi, la possibilità di una nuova consapevolezza collettiva, attivata grazie alla rete, che è immediata, grazie ai social networks, grazie anche alle primarie del PD, che hanno portato in parlamento dei candidati “diversi” i quali hanno scelto di rendere conto ai propri elettori delle loro azioni piuttosto che rispondere ai dettami della segreteria, grazie al flusso perenne delle notizie e delle informazioni che forniranno sempre e di continuo la materia necessaria per capire, comprendere, e quindi elaborare ciò che i defunti riesumati stanno combinando. E’ inutile usare mezzi termini retorici. Abbiamo condotto tutti una bella battaglia politica iniziata diversi anni fa per cambiare questo paese.

L’abbiamo persa. Ma la loro è una vittoria di Pirro.