I gesuiti africani contro le armi

Danilo Giannese
www.nigrizia.it

Basta. È da troppo tempo, vent’anni ormai, che nell’Africa dei Grandi Laghi si susseguono conflitti, violenze e movimenti forzati di popolazione. È arrivato il momento di darci da fare in prima persona e far sentire la nostra voce perché uomini, donne e bambini, in questo angolo di mondo, vivano finalmente in pace. È arrivato il momento di dire la nostra sulle vere cause alle radici di questo confitto senza fine.

È più o meno quanto si sono detti vari gesuiti africani, rappresentanti di altrettante istituzioni gesuite nella regione, alla vigilia del lancio ufficiale, nelle settimane scorse a Nairobi, della nuovissima Iniziativa di Advocacy dei Gesuiti per l’Africa dei Grandi Laghi.

Il gruppo di lavoro, in particolare, si compone del Global Ignatian Advocacy Network (GIAN), del Jesuit African Social Centers Network (JASCNET), del Servizio dei Gesuiti per I Rifugiati Grandi Laghi, del Servizio dei Gesuiti per I Rifugiati Africa orientale, dell’African Jesuit Aids Network (AJAN), e dell’Istituto per gli Studi sulla pace e le relazioni internazionali Hekima di Nairobi.

Alla base dell’iniziativa, c’è la consapevolezza che i vari tentativi fin qui attuati per portare la pace nella regione, seppur d’alto profilo, si sono rivelati assolutamente fallimentari. Sul banco degli imputati finisce, tra gli altri, e a dire il vero senza molte scusanti, la cosiddetta missione di pace delle Nazioni Unite nella RD Congo orientale, la Monusco. Una missione, questa, che rappresenta la più grande tra quelle dispiegate oggi giorno nel mondo dal Palazzo di Vetro: 17 mila uomini, tra soldati e personale civile, per un costo esorbitante di un miliardo di dollari all’anno.

Sferzata dai genocidi in Ruanda e in Burundi prima e dalle due guerre nella RD Congo poi, la stabilità e la pace, nella regione, continuano ad essere un miraggio, con l’epicentro dei problemi e delle violenze che oggi si focalizza nelle province orientali congolesi di Nord e Sud Kivu. Più di due milioni di sfollati vivono oggi in Congo.

Con il lancio della nuova iniziativa, i gesuiti africani intendono fare pressione su governi e organismi regionali, così come su istituzioni e donatori internazionali, affinché vengano finalmente presi in considerazione la proliferazione e il traffico illegale di armi nel Congo orientale come principali fattori alla base di conflitti e instabilità. L’iniziativa, in particolare, si propone di identificare le fonti alla base della proliferazione della armi nella RD Congo e di tracciarne i movimenti nel Paese così come nella regione.

L’idea, quindi, è di creare un chiaro collegamento tra i risultati di tali ricerche e le varie conseguenze del conflitto, dai movimenti forzati della popolazione all’aumento della cosiddetta violenza sessuale e di genere su donne e ragazze.

Tra le modalità attraverso cui sarà effettuato questo tipo di lavoro, le istituzioni gesuite indicano la collaborazione tra di loro a livello regionale, la pianificazione di ricerche approfondite da utilizzare come strumenti di advocacy e l’uso dei vari canali di advocacy su cui la Compagnia d Gesù può contare a livello internazionale per far passare i messaggi.

Dimostrare il legame tra la proliferazione delle armi e il conflitto nei Grandi Laghi e, su di esso, attrarre l’attenzione degli Stati e dei donatori che supportano certi Paesi nella regione è certamente un obiettivo tanto di alto profilo quanto delicato, visti gli interessi legati allo sfruttamento delle risorse naturali che si andrebbero a toccare.

Il fatto che un’iniziativa di questo tipo arrivi direttamente dal cuore dell’Africa e, per di più, da una parte importante della Chiesa africana mi sembra, ad ogni modo, degno di nota e mi lascia ben sperare per il futuro della regione. È importante, infatti, che sempre più voci si levino in favore della pace nei Grandi Laghi e che la comunità internazionale aumenti la propria pressione contro le cause del conflitto. Soltanto così coloro che sono interessati a che insicurezza e instabilità regnino in questi Paesi saranno veramente incalzati e messi una volta per tutte con le spalle al muro.