Idee scritte sul corpo

Federica Tourn
www.riforma.it

Questa sembra la storia di una ragazza ma di lei, a ben vedere, c’è poco: una manciata di fotografie, qualche dichiarazione. È invece il racconto del nostro rapporto con i media, non più finestra da cui osservare il mondo e nemmeno buco della serratura per spiare ciò che non osiamo guardare apertamente ma piuttosto specchio deformante, che spesso ci restituisce soltanto un’immagine inattesa e grottesca di noi stessi.

Amina ha diciannove anni, è una studentessa di Tunisi all’ultimo anno di liceo; un giorno «posta» una sua foto a seno nudo sul suo profilo Facebook per solidarizzare con le azioni del gruppo femminista europeo Femen. Ignorata in un primo momento, il suo nome diventa improvvisamente noto in seguito alle minacce di un predicatore islamico integralista, che in una trasmissione televisiva commenta che andrebbe lapidata per «dare il buon esempio».

Dopo qualche giorno, Amina «sparisce». Sui giornali si moltiplicano ipotesi, spesso contrabbandate per certezze. Amina tace ma al suo posto parlano tutti. Si dice che sia stata internata in un ospedale psichiatrico ma il suo avvocato, una nota femminista tunisina, assicura che è al sicuro con i suoi genitori; la zia interviene sul web con un messaggio in cui afferma che la nipote è fragile psichicamente ed è in cura da molti anni.

Intanto la sua immagine fa il giro del mondo, sul social network arrivano centinaia di foto a seno nudo in solidarietà con il suo gesto; le Femen ingaggiano una battaglia mediatica per «liberarla», organizzando un Topless Jihad Day nelle principali città europee. Subito un gruppo di musulmane risponde con un Muslimah Pride, accusando le Femen di neocolonialismo e invadendo Facebook e blog di foto di donne velate con il cartello «non vogliamo essere liberate da voi». Donne di opposte idee, cultura, formazione, lingua, inalberano il nome di Amina, simbolo di liberazione dal patriarcato e dall’oppressione di tutte le religioni. In tutto questo, lei dov’è finita?

Qui nasce il paradosso: la battaglia che si è scatenata sul suo corpo mediatizzato – sulla legittimità di mostrarlo o l’opportunità di nasconderlo, fino a farlo diventare una bandiera contro il sessismo di varia fede e colore – ha finito per seppellire il suo corpo reale.

Se un tempo si portavano in giro le idee come vessilli ora lo si fa con i corpi e il web rende i corpi inconsistenti, non più carne e sangue e pensiero ma immagini da ritoccare, rilanciare, condividere: provvisori vestiti identitari da indossare o da dismettere a piacimento con un clic. La comunicazione postmoderna è troppo rapida per la nostra capacità di assimilare le notizie e ragionarci su: non per questo va demonizzata, ma capita sì e all’occorrenza smontata – o evitata.

Come giornalista la uso, ma resto convinta che spesso falsi la realtà perché la comunicazione, come diceva Mauro Rostagno, «ha bisogno dei corpi»: di vedersi, toccarsi, parlarsi, entrare in relazione. Come utente del web, penso che il nostro coinvolgimento a distanza ci fa belli nella nostra personale porzione di specchio ma può avere conseguenze anche gravi: approvare chi brucia le bandiere degli integralisti islamici in nome di Amina a Parigi non nuoce a chi lo fa ma può mettere in pericolo lei in Tunisia.

Elevare a eroina una ragazza che non abbiamo mai visto, delegandole – nella migliore delle ipotesi – le nostre pur legittime idee di libertà, è molto più facile che tentare di farlo in prima persona nel nostro paese, nel nostro quartiere, nella nostra famiglia.

Epilogo (provvisorio) della storia: Amina è scappata dalla casa dei nonni, dove i suoi genitori l’avevano portata. In un messaggio video con un’attivista delle Femen ha dichiarato di essere stata picchiata, obbligata a leggere il Corano e a prendere medicinali. La zia ha risposto subito con un altro video ribadendo che la nipote è malata e manipolatrice.

Dove sta la verità? Lo specchio deformante è ormai saturo di immagini per intravedere qualcosa di chiaro. Io ricordo soltanto la sua ansia di trovarci per farsi intervistare e poi il tocco della sua mano, gli occhi offuscati e la pelle segnata, la voce bassa con cui mi diceva la sua determinazione a scendere in strada a seno nudo, anche a costo di essere picchiata e stuprata.

Le idee sono importanti, le persone lo sono ancora di più.