La contesa sullo Jus Soli: alcuni articoli

1) «Lo ius soli? Temperato È la via scelta dall’Europa»

Vincenzo R. Spagnolo
Avvenire, 10-05-2013

Non sono certo questi che mi fermeranno… Il tema della cittadinanza non può restare inascoltato». Sotto i soffitti lignei di Palazzo Vecchio, dipinti nel Cinquecento dal Vasari, il ministro per l’Integrazione Cecile Kyenge incontra i cronisti in una pausa del summit sullo Stato dell’Unione europea.
Lo striscione offensivo esposto a Macerata non l’ha fiaccata: «Conta la risposta della società civile. L’Europa ha diversi modelli di cittadinanza: non ho mai auspicato uno ius soli puro, applicato solo negli Usa. Il nostro continente va verso uno ius soli temperato…». Arriva il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, per pronunciare il discorso sullo Stato dell’Unione: «Non bisogna demonizzare i nazionalismi e l’euroscetticismo, ma dimostrare che l’Ue è la migliore alternativa».
Nel 63° anniversario della Dichiarazione di Schuman, Firenze torna capitale europea come nel Rinascimento, col sindaco Matteo Renzi a fare da padrone di casa. Il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, in un messaggio auspica che la Ue prosegua con le riforme «a sostegno della ripresa dell’economia e dell’occupazione». Cittadinanza, solidarietà, accoglienza sono fra i concetti più declinati dagli ospiti internazionali del summit, insieme ai loro contrari, come la xenofobia e le folate “scissioniste” che squassano il continente: «La paura e il pregiudizio si diffondono a causa di gruppi nazionalisti e demagogici, che sfruttano l’attuale malessere sociale di coloro che non hanno un lavoro e che non hanno fiducia nel futuro.
Solo un federalismo europeo può far convivere 500 milioni di persone di culture diverse», osserva il ministro degli Esteri Emma Bonino. «L’Unione Europea è parte della soluzione, non del problema», aggiunge il ministro per le Politiche europee, Enzo Moavero Milanesi, mentre il senatore a vita ed ex-premier Mario Monti è convinto che molte forze politiche, anche in Italia, abbiano lucrato voti con l’antieuropeismo.
Il presidente della Camera Laura Boldrini punta il dito sugli Stati, Italia compresa, che respingendo migranti verso alcuni Paesi hanno violato i loro diritti fondamentali e le imprese, «anche europee» che sfruttano lavoratori di altri continenti, compresi gli oltre 900 morti a Dacca nel crollo di una fabbrica. Ormai, denuncia, «la solidarietà cede il passo a atteggiamenti meschini, vendicativi, che dividono l’Europa invece di unirla». Non solo: «Forze estremiste, spesso con espliciti accenti neonazisti, sono attualmente rappresentate in alcuni parlamenti nazionali.
Bande razziste si aggirano per le strade di alcuni Paesi europei, molestando e aggredendo migranti e rifugiati. Bisogna agire contro gli Stati che violano diritti fondamentali». Il Commissario europeo agli Affari Interni, Cecilia Malmstrom, impegnata nel contrastare la tratta di esseri umani, torna sul nodo della cittadinanza: «Sono i singoli Stati ad avere competenza in materia, ma l’esperienza dimostra che concederla ai migranti di seconda generazione abbassa il rischio di discriminazione, prevenendo conflitti sociali».
E nel grande salone dei Cinquecento, prima di tornare a Roma, il ministro Kyenge formula un auspicio: «Vorrei un’Europa contraria a ogni discriminazione in cui tutti, autoctoni e stranieri, lavorino per una società di persone uguali davanti alla legge».

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2) Grillo contro lo ius soli: “Regola che può cambiare, ma con referendum”

la Repubblica, 10 maggio 2013

Lo ius soli, in Europa, non è presente “se non con alcune eccezioni estremamente regolamentate”. Lo scrive il leader del Movimento 5 Stelle, in un post sul suo blog, nel quale chiarisce che in Italia, “se si è nati da genitori stranieri e si risiede ininterrottamente fino a 18 anni”, lo ius soli è già un fatto acquisito e spiega: “chi vuole al compimento del 18simo anno di età può decidere di diventare cittadino italiano”.
“Questa regola può naturalmente essere cambiata, ma solo attraverso un referendum nel quale si spiegano gli effetti di uno ius soli dalla nascita. Una decisione che può cambiare nel tempo la geografia del Paese non può essere lasciata a un gruppetto di parlamentari e di politici in campagna elettorale permanente. Inoltre, ancor prima del referendum, lo ius soli dovrebbe essere materia di discussione e di concertazione con gli Stati della UE. Chi entra in Italia, infatti, entra in Europa”, aggiunge il leader del Movimento, che poi attacca la poca chiarezza della sinistra: “Dalle dichiarazioni della sinistra che la trionferà (ma sempre a spese degli italiani) non è chiaro quali siano le condizioni che permetterebbero a chi nasce in Italia di diventare ipso facto cittadino italiano”.

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3) Insulti razzisti a Kyenge Che va avanti sullo ius soli

Corriere della sera, 10 maggio 2013

«Kyenge torna in Congo»: l’ennesimo attacco firmato Forza nuova al neoministro per l’Integrazione Cécile Kyenge è uno striscione, comparso nella notte tra mercoledì e giovedì, davanti alla sede del Pd di Macerata. «Non sono questi che mi fermeranno — ha replicato ferma il neoministro —. La mia risposta non è fondamentale, ma lo è ciò che risponde la società civile». Kyenge, che ha ricevuto la solidarietà di tutto il mondo politico, ha assicurato di non essere «assolutamente» preoccupata. Ma ieri nel tardo pomeriggio agenti della Digos hanno perquisito la sede di Forza nuova a Macerata: non «avrebbero trovato nulla di interessante». «Non ci lasceremo intimidire — ha replicato il movimento di estrema destra —. Pertanto la battaglia contro immigrazione e ius soli continua».

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4) Ci voleva una ministra nera per scoprire l’Italia razzista

Rania Ibrahim
Corriere della sera, 10 maggio 2013

Ma siamo sicuri che l’Italia fosse pronta ad avere un ministro della Repubblica italiana nera? Abbiamo voluto fare gli americani per poi accorgersi di colpo che siamo nati in Italy? Abbiamo applaudito Obama tutti contenti riconoscendo l’importanza della “scelta razziale” in un Paese come gli USA e poi, una ministra nera ci ha turbato il sonno, facendoci scoprire quanto siamo ancora indietro e attaccati a paure e pregiudizi.
Pensavate sarebbe passata inosservata come Josefa Idem, anche lei nuova italiana? Non certo in Italia. Almeno non nella mia Italia, quella che in questi giorni invece di stringersi a “coorte”… si stringe attorno alle esternazioni razziste e xenofobe di chiunque… dal giornalista frustrato al politico superato becero e ignorante, al nuovo italiano inacidito o all’ex parlamentare trombato. La stessa Italia che ho imparato a conoscere sulla mia pelle, attraverso i commenti e gli insulti razzisti che riceviamo nel blog o durante le conferenze e le manifestazioni. Quella dei media fomentatori di odio e populismo a beneficio di share e audience.
Insomma sono state nominate due ministri donna a ricoprire cariche istituzionali importanti, un vero onore, e di chi si parla… non certo della bionda, della bianca della tedesca… della sportiva, ma solo della nera, dell’africana…di quella come dicono tanti soprattutto nelle segrete urne e dietro ai loro pc che non potrà mai rappresentarli pienamente perché nera, africana e perché parla di meticciato. Capisco, forse la Kyenge ancora non ha imparato a fare il “politico all’italiana” visto che con la sua sincerità ha “offeso” molti italiani parlando di meticciato. La prossima volta più falsità o diplomazia a seconda del contesto signora Kyenge, mi raccomando.
Non basta visivamente mettere parlamentari di colore, disabili, con il velo…o con il turbante, la strada è lunga e mi pare che stiamo messi male. Bisogna arrivare alla pancia e non solo nel mondo elitario degli intellettuali e degli addetti al lavoro, ma alla strada, i quartieri e oggi il web, sono lo specchio del disagio e della condizione di tutta questa insofferenza e sofferenza.
Eppure credo che se andiamo avanti così, non basterà un giuramento a renderci italiani, rimarremo sempre un marocchino di merda, un musulmano di merda, un ebreo di merda o una negra di merda. E vi assicuro che basta poco per sentirsi addosso uno di questi eleganti appellativi, allo stadio o in una fila di un supermercato o anche fuori da scuola, sulla pelle dei nostri figli. Spesso per sciocchezze.
Molti italiani la pensano così…grazie al cielo non la maggioranza…che ci piaccia o no…negarlo sarebbe mera ipocrisia. E c’è anche chi ne va fiero.
Non so bene di chi sia la colpa, forse dei nuovi cittadini, delle istituzioni, della politica opportunista che etichetta, ghettizza e che usa bandiere nelle campagne elettorali proponendo trans, lesbiche, disabili, 2g, neri o altro? insomma, capisco l’importanza delle testimonianze e dei simboli…ma siamo sicuri che in questo modo si ottengono risultati?
Insomma basta nascondersi. Dovrebbero essere temi trasversali, universali e non hanno bisogno di testimonial.
Non dobbiamo tollerare esternazioni indegne come “Scimmia congolese”, “Governante puzzolente”, “Negra vai a lavare i cessi”, “Kunta Kinthe tornatene in Congo” faccia da casalinga… sono solo alcuni dei moltissimi insulti razzisti rivolti alla Kyenge sulla sua pagina Facebook. Alla mercé dei soliti razzisti dal dito veloce e dalla tastiera bollente non ci sono le capacità e le competenze della Kyenge, ma il suo colore di pelle, cosa irrilevante dal punto di vista istituzionale e politico, anzi da ogni punti di vista.
Populismo, xenofobia e demagogia della specie più becera. E vi assicuro che fa male all’anima.
Ma cosa dobbiamo dimostrare ancora per essere riconosciuti come italiani e basta? Insomma bruciano e sputano sul Tricolore e vanno al governo per anni, una Italo-congolese nera dice che rispetta e va fiera delle sue origini non ci rappresenta, ci offende? Che dire se non la solita italietta!? L’Italia provinciale, del campanilismo, della Bergamo de sure o de sota, l’Italia del nord contro il sud, del lumbard contro il terun…insomma di quella Italia ancora troppo divisa e che si indigna spesso ultimamente per dichiarazioni che parlano di meticciato e che non un muove un dito davanti ad una politica sorda e cieca rispetto ai reali problemi allarmanti del Paese.
Comunque forse un merito questa nomina ce l’ha, quella di sbatterci in faccia la realtà, di scardinare una volta per tutte ipocrisie degli italiani che ancora si credono brava gente, che ancora pensano che questo non sia un paese razzista, il paese del furbo che va avanti e del buono che è un fesso. Un paese che si immagina bianco e che si ricorda del tricolore solo ogni 4 anni durante i mondiali e allora si che si vedono sventolare le bandiere sui balconi, un paese che nega il sacrosanto diritto ai suoi cittadini di inginocchiarsi e pregare in una Moschea, definendosi cattolico per poi non accorgersi delle proprie Chiese vuote anche la domenica mattina. Un paese che all’occorrenza sottolinea fieramente la cultura e le gesta dei suoi avi e poi si perde nei programmi della De Filippi e della D’Urso, o del Grande fratello divenuti oramai il vero sogno dell’italiano medio…ci crediamo accoglienti e poi teniamo aperti i CIE, diamo una connotazione geografica e spesso religiosa al crimine fregandocene delle statistiche e della realtà che ci farebbe apparire peggiori di quanto noi non vogliamo vederci.
Chissà se questa era l’Italia che si immaginava mio padre quando nel 1971 scelse questo paese per viverci e realizzarsi.?Ah, dimenticavo, ancora oggi mio padre sta aspettando la cittadinanza italiana.

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5) L’indecorosa bagarre contro la riforma della cittadinanza

Annamaria Rivera
il manifesto, 11 maggio 2013

Non è affatto sorprendente l’ostilità espressa da Beppe Grillo contro la pur vaga prospettiva di una riforma della legge sulla cittadinanza. L’aveva già manifestata a gennaio del 2012, al tempo della campagna “L’Italia sono anch’io”, e nel corso degli anni precedenti non aveva perso occasione per far battute contro migranti e rom. La sua voce va ad aggiungersi al coro eterogeneo degli ostili allo jus soli (come si dice con formula approssimativa), talvolta accompagnato – non è il caso di Grillo –da un’orchestra d’insulti razzisti contro Cécile Kyenge.

E’ bastato, infatti, che la ministra dell’Integrazione indicasse questo tema fra le priorità del suo dicastero perché si scatenassero di nuovo gli schiamazzi alla Ku Klux Klan che già avevano accolto l’annuncio del suo incarico. Il che la dice lunga sulla ciclicità e ripetitività che caratterizzano il dibattito pubblico italiano sulla questione dei diritti dei migranti e delle minoranze: privo di sviluppo e processualità, tendente a riproporre sempre gli stessi schemi, ogni volta immemore di ciò che lo ha preceduto e perciò destinato a un’eterna regressione.

E a proposito di memoria: era il lontano 1997 quando la Rete Nazionale Antirazzista, cartello di associazioni di volontariato, organizzazioni sindacali e gruppi locali, lanciava tre proposte di legge d’iniziativa popolare sui diritti dei migranti, due delle quali sulla riforma delle norme sulla nazionalità (come sarebbe più corretto dire) e sul diritto di voto amministrativo agli immigrati da paesi terzi. Per ragioni che sarebbe troppo lungo illustrare, quella campagna non andò a buon fine.

Nondimeno a quel tempo il dibattito era ben più avanzato di oggi, quando ci tocca ascoltare un ex magistrato, il presidente del Senato Piero Grasso, che evoca, alla maniera leghista, il rischio che frotte di gestanti straniere sbarchino nel Belpaese per garantire ai loro figli la nazionalità italiana. E discetta di jus culturae, un “concetto” inventato dall’ex ministro Riccardi che non troverete in alcun testo giuridico, in alcun documento di istituzioni internazionali.

Come ricordava Carlo Galli in un articolo sulla Repubblica del 2 febbraio 2012, la Costituzione non fa alcun cenno a necessarie basi naturali o culturali della nostra repubblica, la quale, come dovrebbero sapere anche i bambini, “è fondata solo sul lavoro e sui principi della democrazia” e definisce una cittadinanza che non esige uniformità od omogeneità, bensì “uguaglianza e pari dignità”. Galli rimarcava anche l’assurdità di “un’uscita a ritroso dalla modernità” qual è “una cittadinanza non universale ma selettiva e diseguale”. La quale ha per corollario una società sempre più costituita, come abbiamo scritto varie volte, da nuovi meteci: residenti non-cittadini, molti dei quali nati in Italia, che, al pari dei meteci dell’antica Grecia, contribuiscono alla nostra economia, condividono il nostro quotidiano, ma sono privi di diritti civili e politici.

Da quel lontano 1997 altre iniziative hanno tentato di spezzare il nesso, illogico e antimoderno, fra sangue, discendenza, origini e diritti di cittadinanza: numerose proposte di legge, mai discusse, nonché la già citata campagna “L’Italia sono anch’io” che, lanciata nel 2011, ha raccolto più 200mila firme in calce alle due proposte di legge di iniziativa popolare sulla cittadinanza e il diritto di voto. Secondo l’ultimo Rapporto Caritas-Migrantes, sono almeno 763mila i minorenni nati in Italia e privi di nazionalità italiana, sicché circa un residente “straniero” su sette non è affatto un immigrato, essendo nato e cresciuto sul territorio dello Stato italiano.

Che bambini e ragazzi siano costretti in un limbo che li espone a umiliazioni e discriminazioni, quindi a sofferenze e lacerazioni, non commuove affatto i neo-italiani di sangue alla Magdi Allam, per non dire di leghisti e pidiellini, neonazisti e taluni grillini. Ma neppure la parte politica cui Cécile Kyenge appartiene sembra aver a cuore il tema, come mostrano la presa di posizione del presidente del Senato, i balbettii o il silenzio imbarazzato di esponenti del Pd, l’invito alla cautela del capo del governo di salvezza nazionale: che finora ha salvato solo Berlusconi, facendolo rinascere a nuova vita politica, malgrado le condanne e i processi in corso. Né da quest’ultimo ci si può aspettare qualche sia pur debole sensibilità antirazzista: ricordate le barzellette sui lager nazisti, l’elogio dell’apartheid scolastico per i figli di genitori stranieri, gli insulti contro rom, musulmani e altri “alieni” nel corso della campagna elettorale milanese del 2011?

Insomma, la pedagogia di massa che ha de-tabuizzato e legittimato il discorso razzista-sessista, e che fa apparire banali i volgarissimi attacchi contro Cécile Kyenge e Laura Boldrini, non è opera esclusiva della Lega Nord, ma anche dei suoi alleati, talvolta con la complicità, silenziosa o attiva, del centrosinistra.

Mentre è bersaglio di ostilità, pregiudizi e ingiurie intollerabili, la ministra Kyenge manifesta pacatezza e moderato ottimismo. Temiamo sia infondato ed è anche per questo che le abbiamo espresso solidarietà in un appello che v’invitiamo a sottoscrivere: http://www.cronachediordinariorazzismo.org/2013/05/dalla-parte-di-cecile-kyenge/

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6) Sagnet d’Italia, storie dimenticate

Antonello Mangano
www.terrelibere.org

Yvan pensava all’Italia già da ragazzino a Doula, Camerun. Quando si iscrive al Politecnico di Torino realizza il suo sogno. Come molti studenti, rimane senza soldi e decide di cercarsi un lavoro estivo. Va a raccogliere i pomodori in Puglia e scopre un pezzo del Paese molto lontano dalla sua immaginazione. Contrariamente a molti italiani, decide che quello che vede non gli sta bene. Lo sfruttamento selvaggio, gli intermediari parassiti, le imprese che impongono la legge delle giungla. Diventa il leader dello sciopero di Nardò. Sull’onda di quella lotta, lo Stato italiano approva la legge contro il caporalato. L’intermediazione illegale di manodopera diventa reato.

Arafat viene dall’Egitto e vive a Piacenza. È il leader dello sciopero alla TNT, uno dei maggiori corrieri al mondo. Una lotta che ha recuperato ai conti dello Stato italiano milioni di euro di contributi. Il contagio benefico si è esteso a tante altre aziende (Coop, Granarolo, Ikea, Esselunga). Lottiamo anche per gli italiani, dice. Anche se noi siamo di passaggio.

Luis viene dal Perù, faceva politica anche al suo paese. Aveva un buon lavoro e si è creato una famiglia a Milano, con i figli all’Università. Ma di fronte alle umiliazioni razziste dei capireparto, ha deciso che la dignità conta più dei soldi. Insieme ai suoi compagni, ha provato a spiegarlo pure al padrone dell’Esselunga, uno che vive con qualche secolo di ritardo, al tempo degli schiavi.

Gli africani di Rosarno hanno denunciato il killer del clan Pesce che nel 2010 aveva sparato per futili motivi a due ivoriani. Da quel gesto e dalle due rivolte che sono seguite – contro la violenza mafiosa e contro lo sfruttamento – la comunità locale ha preso coraggio e ha ritrovato sicurezza. Paradossalmente anche la magistratura sembra aver preso coraggio da quei fatti. Arresti di massa degli ‘ndranghetisti e sequestri di beni non si erano visti con l’intensità degli ultimi anni.

Il testimone della strage di Castel Volturno ha permesso l’arresto di un gruppo di fuoco di scissionisti cocainomani. Avevano ucciso i suoi connazionali e anche tanti italiani. E avrebbero ucciso ancora. Nessuno avrebbe mai testimoniato, preferendo contare i morti anziché compiere un gesto di coraggio.

I rumeni di San Gregorio d’Ippona hanno denunciato il figlio del boss Mancuso, 19 anni, che tormentava senza motivo lavoratori indifesi. L’ultimo lo hanno lasciato in una pozza di sangue dopo averlo colpito con un mattone. Ma il clan – tra i più potenti della ‘ndrangheta – contava sul silenzio degli italiani, non su quello degli stranieri.

Carmen Florea vive a Corigliano, comune sciolto per ‘ndrangheta. L’ex sindaco, sorella del boss del paese, aveva approvato una delibera surreale sull’idoneità alloggiativa degli stranieri, in un posto dove le case sono spesso abusive e fatiscenti. Un provvedimento in stile leghista in un paese di mafia. Florea, mediatrice culturale, ha fatto valere l’illeggittimità della legge in un territorio dove un simile atto significa mettersi contro il sistema di potere. I rumeni non potevano ottenere il codice fiscale.

Il post sul sito beppegrillo.it porta dentro quel movimento un tema della destra più estrema: tre casi isolati, uno dei quali è pure portoghese, come esempio degli immigrati criminali. Queste storie non sono invece casi isolati. Sono movimenti di massa che hanno coinvolto centinaia e centinaia di persone. Tutti migranti che hanno alzato il livello di civiltà di questo Paese, peraltro molto basso. E lo faranno ancora e sempre di più, se la marea nera dell’ignoranza e della cattiveria non li fermerà prima.

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7) Non si speculi sul dramma di Milano

Franco Mirabelli
www.assdemxmi.it

Alle famiglie di Alessandro Carolé, Daniele Carella e Ermanno Masini uccisi sabato mattina a Milano e alla loro memoria dobbiamo non solo vicinanza, affetto e solidarietà ma anche il rispetto per una tragedia umana che non può e non deve essere né strumentalizzata né sfruttata per la battaglia politica.
Alla stessa comunità del quartiere di Niguarda, sconvolta da quanto è avvenuto e che sta vivendo con compostezza questo dolore, la politica e le istituzioni devono mostrare la responsabilità di aprire una riflessione che dia risposte concrete alle paure e alle insicurezze che vicende come questa fanno emergere. Non fa il proprio dovere, non dimostra responsabilità né senso delle istituzioni chi pensa – ed in questi giorni ha, purtroppo, scelto di fare – di una enorme e imprevedibile tragedia segnata dalla follia uno strumento di battaglia politica per cercare di guadagnare qualche consenso speculando sul dolore e sulla rabbia dei cittadini, indicando capri espiatori e cercando di far ricadere sulle spalle di chi è immigrato e di chi lavora per l’integrazione il gesto di un pazzo. Agendo in questo modo si alimenta solo l’intolleranza e si produce ulteriore insicurezza, si mostra il volto di una politica che divide mentre dovrebbe unirsi per dare ai cittadini il senso che la sicurezza è un obbiettivo condiviso da tutti e che è un diritto per cui ci battiamo senza distinzioni. Dobbiamo, infatti, rassicurare dicendo con forza che non esiste una sicurezza di destra o di sinistra ma che questa è un diritto fondamentale dei cittadini per cui siamo tutti impegnati e dobbiamo dimostrare che la politica è in grado di tornare a pensare ai bisogni concreti per risolverli e non per alimentare continuamente protagonismi e divisioni. Gli omicidi di Sabato a Milano, certamente, pongono alcune questioni: non può bastare né una riflessione astratta che non provi a prevenire fatti come questi, che purtroppo diventano sempre più frequenti a prescindere dal colore della pelle di chi li compie, né può essere sufficiente una discussione autoassolutoria che si limiti a dichiarare l’imprevedibilita di un raptus di follia.
Tra queste questioni, tuttavia, non ci sono né lo ius soli né la lotta alla clandestinità, perché il folle assassino non era clandestinamente nel nostro Paese e tanto meno quel gesto ha a che fare con il lavoro del ministro Kienge (a cui va tutta la nostra solidarietà per gli attacchi inaccettabili di cui è quotidianamente fatta oggetto).
Tra le tante questioni che si aggiungono al tema della prevenzione dei reati e della sicurezza nelle città, ne vorrei brevemente sottolineare due. La prima riguarda l’evidenza di ripensare la gestione della situazione dei profughi e dei richiedenti asilo. A fine febbraio, finita l’emergenza, migliaia di profughi e richiedenti asilo – dopo essere stati aiutati e assistiti, grazie anche al lavoro di centinaia di organizzazioni umanitarie e di volontariato – si sono ritrovati in strada, senza punti di riferimento e senza strumenti di orientamento, a volte anche senza casa e lavoro e senza percorsi di integrazione. In questo contesto si definisce la cornice della storia dell’assassino, con l’aggravante che lo stesso si era precedentemente già reso responsabile di reati. Si deve porre, quindi, il tema di come evitare che situazioni come questa possano ripetersi e di prevenirle facendo in modo che i richiedenti asilo non vengano abbandonati a se stessi senza alcun riferimento e senza alcun controllo, tanto più se già segnalatisi per fatti illeciti.
Infine, credo che tutti noi abbiamo la responsabilità di guardare con preoccupazione ad un altro dato, a mio avviso sconvolgente, che questo dramma ci ha messo di fronte: se in un quartiere aggregato e ricco di esperienze sociali come quello di Niguarda, per quasi due ore una persona visibilmente alterata può aggirarsi aggredendo i passanti senza che alcuno denunci nulla, senza che nessuno chiami il 112 o il 113, deve suonare un campanello di allarme. Sarà l’inchiesta a decidere se ci sono responsabilità del posto di guardia dell’ospedale di Niguarda per non aver segnalato i fatti quando si è presentata la prima vittima dell’aggressione ma resta forte la sensazione che, in questo tempo di crisi, stiano venendo meno principi di solidarietà e prevalgano l’istinto di rinchiudersi ognuno nel proprio personale recinto e di pensare a salvare se stessi. E soprattutto, anche da questi fatti, emerge una preoccupante assenza di punti di riferimento credibili, una crescente sfiducia nelle istituzioni che spetta prima di tutto a noi contrastare con una politica che dimostri di occuparsi del Paese e delle persone e non dei propri interessi di parte.