Lettera a un giovane amico su sinistra ed eguaglianza

Pierfranco Pellizzetti
www.micromega.net

«La trasformazione di un futuro profetizzato,
proprio del cristianesimo, in un
futuro pronosticabile e aperto»
Franco Sbarberi


«La politica di destra è almeno in parte di
stampo reattivo, e ciò a cui reagisce è il
successo della sinistra»
Michael Walzer

Caro Emme,
frequentando con giovanile baldanza e prosa coinvolgente questo sito, chiedi e ti chiedi cosa voglia ancora dire “sinistra”. Dato che qualche volta mi induci a pensare che i tuoi riferimenti siano molto “sinistra rosso antico”, come amico “vecchio” vorrei contribuire a stressare la tua domanda proponendoti il punto di vista di un liberale critico (e conseguentemente “di sinistra”).

Per farlo – come è riflesso condizionato di tutti quelli della mia parte – prendo le mosse da Norberto Bobbio. Infatti il filosofo torinese pubblicò per Donzelli nel 1994 un saggio intitolato – appunto – “Destra e Sinistra”, in cui si individuava nella priorità attribuita al principio di eguaglianza il punto focale per caratterizzare le posizioni sul lato mancino. Ossia, concentrando il peso connotativo sulla seconda voce (tra Libertà e Cooperazione Sociale, come dopo tre secoli potremmo aggiornare la Fraternità) nella triade propugnata dalla Rivoluzione Francese; cioè il momento fondativo della divisione Destra/Sinistra, su cui da allora continuiamo a riflettere.

Ebbene, nonostante il grande successo di pubblico, considero quel saggio uno degli esiti meno convincenti nell’intero opus bobbiesco. Di più: una sorta di sospetta condiscendenza rispetto al conformismo sinistrese dell’epoca; particolarmente imbarazzante in un pensatore maturato nel milieu azionista, che tramite Gobetti aveva potuto ricevere appieno la lezione salveminiana che mette al centro dell’impegno democratico-progressista di sinistra i principi della Giustizia e della Libertà.

Il liberale ci va sempre piano con l’eguaglianza, considerandola di grande importanza ma bisognosa di attente precisazioni. Non ha problemi a fare propria la formulazione di Giovanni Sartori “eguali opportunità di diventare ineguali”. Mentre rifugge come la peste l’idea di eguaglianza quale appiattimento e omologazione, visto che le società delle api o delle formiche non rientrano nei suoi criteri di apprezzabilità (e – del resto – nell’alveare/formicaio, su questa miriade di abitanti tutti identici, in quanto privi di una qualsivoglia identità distintiva, domina sempre una regina…).

Ancora all’inizio degli anni Novanta, nell’Italia in piena sclerosi per l’involuzione dello Stato sociale burocratizzato della Prima Repubblica, vigeva questa idea di eguaglianza come intruppamento massificante. Lascito dei velleitarismi demagogici del post Sessantotto, che con gli ammiccamenti ai facili consensi dei “diciotto politici” e dei “salari uguali per tutti” avevano prodotto quella che verrà chiamata la société du découragement. I cui eccessi di ipergarantismo livellatore spianarono la strada a quelli contrari, imposti dal dilagante credo liberista: l’assiomatica dell’interesse individualistico e la frantumazione di ogni protezione sociale; una retorica della meritocrazia che confonde le credenziali con la tutela del privilegio.

Qui siamo. Mentre abbiamo ormai capito che se la disuguaglianza mette a grave repentaglio lo stesso pactum societatis con le sue mattanze cieche e scriteriate di prezioso capitale sociale, l’uguaglianza formalistica posta al centro del progetto di sinistra tende a mandare in stallo ogni dinamica orientata alla costruzione di un futuro più giusto e libero. Allora si diceva, “una società aperta”. Nella presa d’atto che l’Eguaglianza (come la Libertà, del resto) è una condizione artificiale, creazione di scelte umane.

Per questo molti liberali di sinistra guardarono con interesse la lettura proposta da Amartya Sen – apparsa da noi grosso modo in contemporanea con il saggio di Bobbio – che si poneva il problema di favorire l’accesso di più vasti strati sociali al diritto di costruire e perseguire il proprio personale progetto di vita: “la libertà individuale come impegno sociale”, in cui più che tutelare una statica eguaglianza appiattente ci si riprometteva di promuovere e diffondere diritti di accesso (entitlements) con relative capacitazioni (capabilities). Credo che il contributo dell’economista/filosofo anglo-indiano resti sempre utile, a prescindere dalle banalizzazioni che ne hanno fatto le Terze Vie alla Blair, con la truffa intellettuale di voler sostituire il Welfare con il Workfare (la falsa quanto ridicola promessa della formazione aziendale quale sostitutivo della regolazione keynesiana).

Ciò premesso, vengo al punto: che cosa connota la Sinistra in epoca postindustriale, mentre la forza economica della finanza sembra imporre la propria visione del mondo e relativa agenda a livello globale, planetario? Ancora e sempre la convinzione che, pure nelle differenze che contraddistinguono ogni umano, vige una irriducibile condizione comune: quella della pari dignità. Sicché “di sinistra” è l’opera volta a contrastare a ogni livello la messa a repentaglio di tale condizione (la cui prima espressione è decidere della propria vita) in qualsivoglia modalità: dall’esclusione soft alla violenza hard. Sapendo – lo dico per i “rosso antichi” – che la critica del Potere repressivo nell’oggi postindustriale è passata dai rapporti di produzione a quelli di dominio. Aggiungo – a scanso di equivoci – che nella fase odierna (come per buona parte del Novecento) il migliore alleato della Sinistra nell’opera di riequilibrio e addomesticamento del Potere risulta la dimensione pubblica, lo Stato.

Dunque è Sinistra il Progetto di società che nasce da tale critica, è politica di sinistra ogni azione che modifica i rapporti di forza vigenti e sposta le poste in gioco verso processi inclusivi. In altre parole, è il costruttivismo che rompe lo status quo (conservatore/reazionario) grazie all’idea di futuro progettabile, progettato dagli umani attraverso il discorso collettivo democratico (dunque, egualitario). Ma anche lotta attraverso il conflitto sociale e politico per affermare la rottura.

Potremmo dire con il filosofo Richard Rorty che «la Sinistra – per definizione – è il partito della Speranza».

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Note

[1] F. Sbarberi, “Progresso” in Alla ricerca della politica (a cura di A. d’Orsi), Bollai Boringhieri, Torino 1996 pag. 180
[2] M. Walzer, Reset marzo 1996