Marco e Matteo. Storia di un manifesto

Franco Buffoni
www.italialaica.it

Salve! Siamo Marco e Matteo! Domandate chi siamo? Eppure ci conoscete… Ci avete visti per mesi sui muri delle città italiane nella primavera del 2006.Ecco, fate mente locale… Nel 2006 ci sono state le… elezioni politiche. E noi eravamo lì, affissi sul muro sotto casa vostra, con le nostre belle facce pulite da bravi ragazzi. Non c’eravamo solo noi su quei manifesti: c’erano anche due ragazze che teneramente si tenevano per mano, e poi un ragazzo e una ragazza che si guardavano negli occhi. A simboleggiare le tre possibili combinazioni di “coppie di fatto”: M/F, F/F, M/M.

Sono passati sette anni: quella campagna elettorale, ricordate, fu caratterizzata da Vladimir Luxuria per Rifondazione Comunista. Capiamo bene, sembrano passate ere geologiche. Allora Giovanardi parlava di un possibile governo Prodi-Luxuria, se la sinistra avesse vinto. E la sinistra vinse… Si fa per dire: vinse alla Camera, dove ebbe il premio di maggioranza, ma il Porcellum – inventato per l’occasione proprio per non lasciare governare Prodi – funzionò perfettamente. Al Senato finì in un pareggio, e quel secondo governo Prodi si resse stentatamente per due anni solo grazie ai voti dei senatori a vita. Fu poi il senatore a vita Giulio Andreotti, quando si parlò di Dico, insieme a Dini e a Mastella – con Bertinotti che da presidente della Camera diede una generosa mano – a farlo cadere.

Vi ricordate in quei due anni Elisabetta Gardini che non voleva Luxuria nei bagni delle donne? E Luxuria che, seguendo le indicazioni del partito, votava con Fioroni a favore del finanziamento pubblico alla scuola privata…?

Ecco, ora che vi abbiamo rinfrescato la memoria, ci presentiamo meglio: io Marco allora avevo ventiquattro anni, lui Matteo allora ne aveva ventisei. Adesso? Eh, adesso siamo ancora qui, coi nostri primi capelli bianchi, e non più sul manifesto dei Ds, ma nella vita vera. Ancora qui. In attesa.

I Ds, ci chiedete? Si chiamavano così, allora, gli ex Pci, poi divenuti Pds, poi semplicemente Ds. Per un certo arco di mesi diedero davvero l’impressione di voler diventare un moderno partito socialdemocratico europeo: noi ci credemmo e il “nostro” manifesto indusse anche molti nostri amici a crederlo e a votarli. Diceva così: “Marco e Matteo condividono casa e sentimenti. Oggi vorrebbero condividere dei diritti. Il Patto Civile di Solidarietà concede identità giuridica, diritti fiscali, sanitari, di lavoro e previdenziali a tutte le coppie che hanno scelto di stare insieme”.

Diceva proprio così: sembra di sognare. Lo diceva in modo chiaro e semplice, comprensibile a tutti. Prometteva elettoralmente quei Pacs che i francesi avevano già da otto anni. Certo, gli spagnoli stavano per superare gli altri latinos – affiancandosi agli olandesi, ai belgi e agli scandinavi – concedendo a tutti il diritto di sposarsi. Ma noi pensammo che potevamo accontentarci. Ci parve inutile spingere ulteriormente per ottenere improbabili soluzioni “spagnole”. D’altronde Mastella, nominato ministro della Giustizia e indispensabile tassello di sostegno alla maggioranza, lo disse chiaramente: “Nessuna deriva zapaterista in Italia”.

Volevamo forse noi fare cadere il governo che con i Ds ci aveva tanto apertamente e chiaramente promesso i Pacs? Certo che no! Essere trattati come i francesi ci andava bene. I Pacs – così nitidi come erano stati allora formulati dai Ds – soddisfacevano le nostre esigenze: ci parvero una soluzione equa e saggia. Oggi – 2013 – i francesi con Hollande hanno compiuto l’ultimo passo concedendo a tutti il matrimonio. E noi? Ma che cosa è accaduto ai Ds?

Cerchiamo di ricordarlo in breve, almeno come appare a noi, Marco e Matteo. Quindi in termini non tecnici e non politici. Noi siamo persone comuni: io, Marco, sono un precario abbastanza fortunato rispetto ad altri, ho quasi raggiunto la stabilizzazione nella ditta dove lavoro; Matteo insegna e per nove mesi l’anno ha lo stipendio fisso. Poi si arrangia con altri lavoretti. Insomma, ce la caviamo abbastanza bene. Ci accontentiamo. Non abbiamo grandi pretese. E soprattutto siamo felici di vivere insieme perché ci amiamo.

Vedete, a noi interessa la vita di tutti i giorni, ci interessa qualche garanzia sulla casa. Io sono subentrato a mia nonna nel contratto di affitto ad equo canone e Matteo è registrato come “ospite fisso”: ma dovesse succedere qualcosa a me, che farebbe Matteo? Vorremmo anche essere garantiti nei confronti dei nostri stessi parenti: in particolare quelli di Matteo, che non hanno mai voluto conoscermi: e sì che siamo assieme ormai da nove anni…

Vi immaginate che cosa accadrebbe se a Matteo succedesse qualcosa e finisse all’ospedale, o addirittura dovesse mancare? I suoi parenti mi impedirebbero persino di andarlo a trovare… E non parliamo della successione, anche se abbiamo il conto in banca insieme con firma disgiunta. Potrebbero pretendere quasi tutto: farmi fuori. Io sarei costretto a dimostrare carte alla mano che metà di quel denaro è mia. Sull’altra metà non avrei alcun potere di intervento.

Ma questo è niente. Cioè, è molto, ma nulla in confronto al fatto che noi ormai ci riteniamo maturi abbastanza anche per accudire un bambino: lo vorremmo adottare. In Italia però è vietatissimo. Alcuni nostri amici, recandosi in altri paesi, sono riusciti a diventare felicemente padri ricorrendo alla maternità surrogata. Andate sul sito delle Famiglie Arcobaleno e guardate quanti sono… Noi però non siamo così intraprendenti e coraggiosi. Noi vorremmo poter diventare padri qui, dove siamo nati, dove lavoriamo, abitiamo e paghiamo le tasse. Perché ci deve essere impedito?

Perché ci deve essere impedito, visto che i Ds nel 2006 ci avevano promesso i diritti civili e noi – e tutti i nostri amici – li avevamo votati convintamente?

Che cosa è accaduto, dunque? Io mi ricordo una scena estiva, a Bologna, sotto la casa di Romano Prodi, allora presidente del consiglio. Romano in maniche di camicia accoglie all’ingresso due ministre: quella delle Pari opportunità che si chiamava Pollastrini, e quella della Famiglia, che si chiamava e ancora si chiama Rosy Bindi. Nei mesi precedenti, Pollastrini, in linea con il manifesto dei Ds che ci ritrae, e con il suo preciso incarico di governo, aveva steso un progetto molto chiaro, molto semplice, di Pacs sul modello francese.

La ministra della famiglia Bindi fece fuoco e fiamme dicendo che non andava bene e cominciò a stendere un proprio progetto, molto contorto, leggendo il quale noi capimmo una sola cosa: per la legge italiana come “coppia” noi avremmo continuato a non esistere. Non saremmo mai stati una “famiglia”: si parlava esclusivamente di diritti individuali.

Prodi, con aria sorniona e conciliatrice, Prodi il cattolico “adulto” che andò persino a votare al referendum sulla procreazione assistita, disse che compito del governo era di operare la sintesi tra le “varie” proposte in campo, ma soprattutto – per tenere unita la compagine governativa – che occorreva presentare una e una sola proposta di legge bella coesa e solida. Noi sperammo ancora… Pur se con qualche sacrificio rispetto al nostro manifesto, forse saremmo riusciti a portare a casa almeno un pezzetto della nostra dignità.

Perché, vedete, il problema sta proprio lì. Se passa una legge che ci riconosce come coppia, anche la famiglia di Matteo piano piano imparerà a capire che noi siamo due persone normali che si vogliono bene. D’altro canto, è noto, l’omosessualità diventa normale quando è normata. E’ accaduto così in tutti i paesi che prima di noi hanno compiuto questo percorso. Gradualmente, ma in tempi abbastanza brevi, in Spagna come in Francia come in Germania, le coppie come noi hanno visto mutare l’atteggiamento dei vicini e del barista sotto casa, e persino quello del medico e del portiere… Matteo dice “portinaio” perché lui è di Lecco, i suoi in casa sono leghisti, poverino, un disastro.

Ogni volta – e sono sempre più rare – che li va a trovare, torna a casa a Roma affranto. Non che io sia poi in condizioni migliori, con Alemanno in Campidoglio: la mia unica speranza è che Marino diventi il nuovo sindaco di Roma (o mi illudo un’altra volta? Andrò ancora deluso?). Almeno mia madre, nella sua romanesca sapienza popolare, è comprensiva. Anche se non c’è stato niente da fare quando le ho chiesto di iscriversi all’associazione dei genitori di omosessuali, Agedo. Mi ha risposto che lei ha fatto un figlio, non un omosessuale…

Però mi vuole bene e – forse perché è rimasta sola – la domenica mi pare contenta quando io e Matteo andiamo a pranzo da lei, e poi la portiamo fuori in macchina: lei sta davanti con Matteo e io da dietro vedo che chiacchierano. Non sempre capisco quello che si dicono, ma ogni tanto mia madre se ne esce con le sue risate… Insomma, c’è armonia. Però a natale, quando arrivano anche le mie sorelle con i loro mariti e i bambini, ci vado da solo, e Matteo sale a Lecco. L’anno scorso, al ritorno, Matteo mi ha detto che non ci vuole proprio più andare. Vedremo il prossimo natale come ci accoglierà la mia famiglia allargata, oppure se saremo “costretti” a restarcene da soli, magari a farci un bel week end a Berlino o a Barcellona.

Dicevamo: che cosa è accaduto? Ve li ricordate i dioscuri del Pci? I due giovani cavalli di razza? I rampanti avversari sodali nemici? Adesso vi raccontiamo come Castore e Polluce divennero Cosma e Damiano. Certamente ricorderete Castore-Walter, allora segretario dei Ds, in piazza nel 2000 a salutare i partecipanti al Gay Pride ripreso in diretta da Rai3…

E come dimenticare Polluce-Massimo che, intervistato nel salotto di Maurizio Costanzo, dichiarò senza imbarazzo di essere ateo?

Erano loro i maggiorenti del partito dei Ds che all’inizio del 2006 produsse il nostro manifesto. Nel breve volgere di poco più di un anno Castore-Walter divenne San Cosma e Polluce-Massimo divenne San Damiano. Un cambio di pelle da serpenti. Un tradimento coi fiocchi. Per ottenere che cosa? Per ottenere di sparire politicamente, e di farsi idealmente rappresentare dal volto suoresco di Bindi Maria Rosaria.

E a farne le spese noi, sempre noi: turlupinati con false promesse alle elezioni politiche del 2006, come se i nostri voti valessero meno dei voti clericali.

Ve la ricordate la dichiarazione del 7 dicembre 2007 dell’allora ministro degli Esteri Massimo D’Alema en trein de devenir san Damiano, che indicò il nuovo corso? Letteralmente raggelante: “Non sono favorevole al matrimonio tra omosessuali perché il matrimonio tra un uomo e una donna è il fondamento della famiglia, per la Costituzione. E, per la maggioranza degli italiani, è pure un sacramento. Il matrimonio tra omosessuali, perciò, offenderebbe il sentimento religioso di tanta gente. Due persone dello stesso sesso possono vivere unite senza bisogno di simulare un matrimonio”.

Una dichiarazione che cozza contro i principi basilari della nostra Costituzione, con una confusione tra matrimonio civile e matrimonio religioso degna di un ayatollah. In breve: una folgorazione sulla via dell’inciucio confessionale con conseguente paralisi democratica. Una paralisi che contemporaneamente colpì anche il suo “gemello” Walter, divenuto sindaco di Roma, en trein de devenir san Cosma.

Perché, in quelle stesse settimane di fine 2007 – forse già pensando allo sgambetto a Prodi, forse già sentendosi in pectore il candidato del partito democratico alla presidenza del consiglio alle politiche anticipate (che in effetti si tennero nella primavera del 2008 col risultato disastroso che ricordiamo) – essendosi convinto di non poter fare a meno dell’appoggio vaticano, Veltroni affossò d’imperio la proposta del registro delle unioni civili al comune di Roma, dopo un incontro con il segretario di stato vaticano Tarcisio Bertone. In pratica Walter-Castore costrinse buona parte dei consiglieri comunali del suo partito a votare con i neofascisti pur di bocciare la proposta. La motivazione?: “Il registro delle unioni civili sarebbe solo una bandiera ideologica”.

Che dire? Che possiamo capire Bindi, giunta al Partito Democratico dalla Dc, poi Pp, poi Margherita del trasformista Rutelli; Bindi, che da giovane fece pubblico voto di castità, obbligando tutti, tra l’altro, a pensare alle sue mutande, anche chi proprio non ne aveva voglia… Ma Massimo-Polluce e Walter-Castore non erano i maggiorenti dei Ds, che nel loro programma per le politiche del 2006 avevano messo le nostre facce su quel nitido manifesto libertario, laico ed europeo?

Fu così chiaro a noi, Marco e Matteo, che alla fine del 2007 il neonato partito Democratico era disposto a rompere qualsiasi alleanza pur di eseguire i diktat vaticani. In Campidoglio Veltroni governava con verdi, radicali, socialisti e sinistra arcobaleno. Pur di bocciare quel simbolico “registro” spaccò la sua maggioranza votando con le destre. Terrorizzato dal Family Day che in maggio i clericali – non paghi del bindiano svilimento degli originari Pacs negli umilianti Dico – avevano tronfiamente organizzato coi proventi dell’8 per mille.

I nostri manifesti restanti furono tutti distrutti, polverizzati nel tritadocumenti della sede del nuovo (?) partito, tranne una copia che – non se n’erano accorti – era finita incollata sotto il tavolo delle riunioni, proprio tra le poltrone di Castore e Polluce, pardon di Cosma e Damiano.

Da quella scomoda posizione noi potevamo ascoltare e… inorridire. Mentre il televisore in alto a sinistra nel locale scandiva una storica registrazione: “Non siamo i primi in Europa a riconoscere dignità legislativa alle unioni omosessuali, ma non saremo gli ultimi”, i nostri trescavano con Bertone. Quelle citate sono, come è noto, le parole con cui il premier spagnolo José Luis Zapatero incoraggiò il parlamento del suo paese ad approvare la modifica costituzionale proposta dal governo per adeguare la legislazione spagnola alla modernità nel campo dei diritti civili. O, se si preferisce, per adeguarla a un mutamento di costumi e di mentalità volto a conferire dignità al 10 per cento dei cittadini. In Italia riguarderebbe almeno 5 milioni di persone: ma sono di più, se si contano anche le nostre famiglie di origine. Comunque diciamo cinque milioni. Cinque milioni di persone più serene non fanno forse una nazione più serena?

I nostri dioscuri, imperterriti, invece continuarono nella loro politica suicida per la dignità umana e intellettuale, prima ancora che per la democrazia.

Noi eravamo ancora lì, sotto quel tavolo, nel gennaio 2010, quando la segreteria del Partito Democratico volle che si tenessero le elezioni primarie in Puglia per imporre il giovane economista Boccia contro il candidato “naturale” della sinistra e governatore uscente Vendola.

Io, Marco, voglio premettere che ho molta simpatia per Boccia: credo sia onesto e preparato; lo trovo anche di aspetto assai gradevole: assomiglia persino un po’ a Matteo… Aggiungo di non nutrire alcun trasporto per Vendola, pur ammirandone le doti dialettiche e la determinazione: il suo afflato cristiano-poetico-comunista non è nelle mie corde. Tuttavia la distanza propositiva tra i due “candidati” mi apparve subito siderale. Boccia e il suo committente san Damiano avevano come unico obiettivo l’accordo con l’Udc, la formazione più clericale e codina del parlamento italiano. Che a Strasburgo aveva appena votato – con il peggio della destra europea – una mozione creazionista. Fortunatamente respinta. Al confronto Vendola giganteggiava come un colto profeta provvisto di visione.

Ma gli ex allievi delle Frattocchie credono davvero che per vincere sulle destre si debba iniziare con una operazione aritmetica? Non hanno mai sentito parlare di programma?

Socialismo laico e libertario. Parità, dignità, laicità: si rileggano i discorsi programmatici di Hollande e di Zapatero. Quest’ultimo nel 2001 non era in maggioranza né all’interno del suo partito né tanto meno in parlamento. Ma con coerenza allestì un chiaro programma, dicendo esplicitamente dei sì e dei no.

Mi si replica che al Pd non sono socialisti? Fingano di esserlo!

Dove credono di andare, con Bindi e Fioroni, sui temi della maternità surrogata e del testamento biologico, delle unioni civili e della libertà di ricerca?

Abbiano, al Pd, il coraggio di depurarsi. Abbiano la dignità intellettuale e la visione europea di una moderna socialdemocrazia laica. La modernità non può essere accolta a pezzetti. La modernità è una sola ed è fatta di aeroplani e di pillola del giorno dopo, di emancipazione femminile e omosessuale, di informatica e di procreazione assistita. E di Ru486. E in Italia è fatta anche di abolizione dei privilegi stoltamente concessi al Vaticano da clericali e politicanti opportunisti.

Scusate lo sfogo! Forse un po’ troppo alto nel tono per il ragazzo Marco del manifesto. Ma ora sono cresciuto, sono trascorsi sette anni. E io, Marco, e lui, Matteo, siamo veri: dal manifesto siamo usciti fuori. E in carne e ossa, oggi, diciamo alla parte sana del Pd: abbiate coraggio, non fatevi controllare da un piccolo stato straniero, per trovare analogie istituzionali col quale occorre volgersi ad Arabia Saudita, Oman e Qatar. In tema di diritti civili, cercate di rimediare almeno in parte all’errore commesso non votando Rodotà alla Presidenza della Repubblica. E magari guardatevi attorno in Parlamento: e soprattutto guardate in su e provate a contare.

“Marco e Matteo – Storia di un manifesto” di Franco Buffoni appare nel volume Se stiamo insieme ci sarà un perché. La coppia di fatto si racconta, a cura di Claudio Finelli, Caracò editore.