“Venga il tuo Regno” di A.Guagliumi

Antonio Guagliumi
Comunità cristiana di base di S. Paolo, Roma

La sera del 17 maggio scorso si è svolta a Roma, per il settimo anno consecutivo, e per la seconda volta presso la Basilica dei ss. Bonifacio e Alessio in Aventino, la veglia per le vittime dell’omofobia. La veglia è stata organizzata da Nuova Proposta e da La Sorgente, i due gruppi di omosessuali credenti di Roma.

Hanno aderito e partecipato alla veglia:
• Adista
• Agedo Roma
• Arcilesbica
• Comunità di base di s. Paolo
• Gruppo Giovani “Mario Del Sordo”
• Libellula
• Noi Siamo Chiesa
• Progetto XY
• Studenti del Liceo “Tasso” di Roma.

Ai diversi partecipanti è stato chiesto di commentare un versetto del Padre nostro. Alla Comunità di base di San Paolo è stato assegnato il commento al versetto “Venga il tuo Regno”.

L’annuncio del prossimo avvento di un “regno di Dio “ o “regno dei cieli” costituisce il nucleo centrale del ministero di Gesù.

Che l’unico vero re di Israele fosse Dio era ben risaputo da sempre: i re terreni erano consacrati (unti = cristi) in suo nome dai sacerdoti. Più volte in Isaia ritorna l’auspicio che Dio (IHWH) in persona renda efficace la sua sovranità. La formula “regno dei cieli” (o regno di Dio), non usata prima di Gesù negli scritti canonici della Bibbia e poco usata dopo di lui, è un accorgimento per evitare di pronunciare il nome sacro nascosto sotto il tetragramma IHWH.

Ma la sostanza non cambia: nel tardo giudaismo si era fatta sempre più pressante l’esigenza e l’attesa che Dio intervenisse direttamente con la sua potenza per restaurare la libertà e la dignità del suo popolo.
Nell’antico Israele infatti il re era l’ultima istanza di giustizia. Colui che avrebbe dovuto risarcire i diritti dei poveri sfruttati e vessati dalle classi dominanti.

In realtà ciò non era quasi mai avvenuto e le diseguaglianze sociali dilagavano, favorite dalla sudditanza all’impero di Roma.

Questa attesa del “Regno di Dio “ si immaginava in vari modi:
– Una restaurazione, aggiornata e corretta, del regno di David;
– Una sorta di ripristino del paradiso terrestre;
– Un mondo nuovo e perfetto in una diversa dimensione spazio-temporale.

Il “regno” predicato da Gesù è del tutto originale. A differenza del suo contemporaneo Giovanni Battista (del quale all’inizio Gesù fu discepolo) e che si figurava un “giorno di vendetta” del Signore, quello che Gesù ha in mente è un tempo di grazia e di misericordia del Signore , nel quale il Padre, in ansia per la sorte dei suoi figli e delle sue figlie, va incontro a tutti, specialmente ai più lontani, per abbracciarli e fare festa insieme. Quindi il “regno” non è qualcosa di statico e non consiste in una serie di norme giuridiche, ma è una tensione di amore: è un evento dinamico (un lievito che fa fermentare la pasta, un chicco di senape che cresce).

Esso infatti è concepito come “atteso” e tuttavia “già presente “ con significative manifestazioni.
Per il primo aspetto si citano appunto il versetto del Padre nostro che commentiamo, l’affermazione di Gesù che non gusterà più del frutto della vite fin quando lo gusterà, nuovo, nel regno di Dio (ultima cena: Mc 14,25), la profezia “molti verranno dall’oriente e dall’occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a tavola nel regno di Dio “ (Lc 13,29) e altri passi simili.

Per il secondo aspetto si cita soprattutto l’episodio nel quale Gesù è accusato di compiere i suoi esorcismi in combutta con Beelzebul; egli, dopo aver osservato l’illogicità di un re dei demoni che scaccia i suoi inviati, aggiunge: “ Ma se io scaccio i dèmoni per virtù dello Spirito di Dio, è certo giunto fra voi il regno di Dio” (Mt 12,28) oppure “Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: “Eccolo qui”, o “eccolo là”, perché il regno di Dio è in mezzo a voi.” (Lc 17,21).

Questa è l’eredità che ci ha lasciato Gesù in attesa del suo ritorno. “In mezzo a noi” può essere tradotto, in modo ancor più efficace: “dentro di noi”, che perciò siamo coinvolti nella sua sempre più piena realizzazione.
Gesù ci ha insegnato con i suoi gesti, e con le sue parole quali intendeva che fossero i contenuti del regno, presente e veniente.

Specialmente con le beatitudini, che sono una sintesi e un insegnamento: beati i poveri, beati gli afflitti, beati quelli che piangono, beati i perseguitati… Beati fin da ora, ma loro consolazione e il loro riscatto dipendono in gran parte da noi. Le raccomandazioni che seguono le beatitudini, sia in Matteo che in Luca, sono rivolte a noi, sono un pro-memoria nel tempo dell’attesa che si prolunga.

E questo ci riporta al tema di questa veglia.

Oramai tutti i convincimenti che erano alla base del severo giudizio pronunciato dal testamento ebraico, ripreso in varie scritture cristiane e presente fino ai nostri giorni, e cioè che l’omosessualità sia un deliberato rifiuto della volontà di Dio di assicurare “una discendenza ad Israele” secondo l’ordine di natura, sono superati e dimostrati falsi, almeno per chi non ha l’animo pregiudizialmente contrario.

Costoro sono “duri di cuore e d’orecchi”, perché dimenticano che lo Spirito Santo che Gesù ci ha lasciato “ci porta alla verità tutta intera” (cfr. Gv 16,13). L’omosessualità non è una rivolta contro Dio né una malattia. Fa parte dell’ordine delle cose.

Ma allora assume tutta la sua validità la grande intuizione di Paolo che in Galati 3,28 abbatte tutti i muri che allora separavano pezzi di umanità: in Cristo “non c’è più giudeo né greco, né libero né schiavo, né uomo e donna”. E in Cristo, possiamo legittimamente aggiungere, non c’è più né omosessuale né eterosessuale. In Cristo, in chi mette in pratica il suo amore, non si fanno discriminazioni aprioristiche.

E altrettanto legittimamente potremmo aggiungere alle beatitudini, come già fecero sia Matteo che Luca integrando gli esempi di Gesù con altri richiesti evidentemente da esigenze proprie delle rispettive comunità (i due testi non sono uguali) “Beati voi che avete sofferto violenza e discriminazioni a causa dell’omofobia, perché potrete e, se ci impegniamo tutti, potete fin da adesso realizzare in pieno la vostra personalità, esaltando i doni che il Signore vi ha concesso”. Anche questo è un segno del regno che viene.