“Ciaaaaoooo, Franca”

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Non solo dolore, ma anche musica, applausi, striscioni e abiti rossi per l’ultimo saluto all’attrice. Il figlio Jacopo: “Siate ottimisti, Dio c’è ed è comunista. E anche femmina”. La sepoltura accanto alla tomba di Jannacci

Franca Rame avrebbe voluto tante donne vestite di rosso a cantare Bella ciao al suo funerale. E così migliaia di persone si sono assiepate in largo Greppi, davanti al teatro Strehler di Milano, per partecipare al funerale in forma laica e cantarle un’ultima volta Bella ciao, chi con una sciarpa, chi con una giacca, chi semplicemente con un fiore rosso in mano.

Sembrava un fiume rosso il corteo, composto da un migliaio di persone, che ha seguito il feretro dalla camera ardente (rimasta aperta tutta la notte) al palco davanti allo Strehler. C’erano, fra gli altri, Beppe Grillo, Paolo Rossi, Stefano Benni, Oreste Scalzone, Paolo Jannacci. Ma il marito di Franca, il premio Nobel Dario Fo, ha voluto ringraziare “soprattutto le donne in rosso”. Molti di più, come Inge Feltrinelli, hanno preferito aspettare l’arrivo di Franca in largo Greppi per il funerale, che è sembrato piuttosto uno spettacolo d’addio.

“Franca, sei stata e sei proprio brava, anche oggi hai riempito la piazza”, ha esordito il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, guardando lo slargo pieno di gente, dove sono state deviate anche alcune linee di tram e metro. Alla camera ardente il sindaco aveva portato un cuore rosso, “il cuore di Milano”. E al funerale, con la fascia tricolore, ha parlato del coraggio di Franca Rame, la sua forza, la libertà, la voglia di combattere le ingiustizie. “Questa – ha aggiunto – è la Franca che piangiamo e rimpiangiamo”.

Per ricordarla, l’intenzione della famiglia è di preparare un’iniziativa contro la violenza sulle donne proseguendo il suo impegno. “Mia madre ha fatto qualcosa per gli altri”, ha esordito Jacopo Fo, che ha anche ricordato quando è stata “rapita e massacrata dai fascisti”. “All’epoca c’erano servizi dello Stato deviati, ci furono ufficiali dei carabinieri che brindarono. Qualche imbecille ha detto, parlando di quando mia madre fu rapita, una cosa relativa alla sua bellezza – ha aggiunto riferendosi, senza nominarlo, al servizio andato in onda sul Tg2 – ma mia madre rompeva i coglioni. Era intollerabile per i fascisti, per il potere che ci fosse una donna, fra l’altro bella, che dicesse no a quell’orrore “. E poi lei ha avuto il coraggio di raccontare tutto “e non è stato facile”.

Nel suo cuore, ha raccontato il figlio, aveva una certezza, che Dio c’è ed è comunista e “io – ha concluso fra gli applausi – aggiungo che non solo è comunista ma è anche femmina e perciò possiamo stare certi che questo mondo lo cambieremo”. Continuerà l’impegno di Dario Fo, che ha salutato la moglie a modo suo, recitando un racconto scritto da Franca per dire che è meglio amare e poi morire che vivere in eterno. Il suo “ciao” urlato alla fine è stata l’ultima parola prima che riecheggiasse Bella ciao e che la banda degli ottoni suonasse l’Internazionale. Poi il corteo è partito per il Famedio, dove Franca Rame è stata tumulata vicino a Enzo Jannacci.

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Franca e le altre

Franca Long
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Una vita all’improvvisa: questo il titolo dell’autobiografia di Franca Rame, scritta con Dario Fo nel 1999. È un titolo strano per un racconto affascinante che intreccia la passione per il teatro, per la cultura, per la politica; dice anche la concretezza dei conflitti e delle scelte.

Lei era figlia d’arte, nata e cresciuta tra saltimbanchi e marionette, sul palcoscenico fin dai primi mesi di vita per interpretare una neonata in braccio alla mamma! L’attività teatrale della sua famiglia risaliva al XVII secolo e Franca, come si dice, ce l’aveva nel sangue.

Non è questa la sede per raccontare la sua vita di donna, di madre, di attrice, di senatrice… Alla notizia recente della sua morte ne hanno parlato – sia pure con accenti e spazi diversi – tutti i giornali. È invece importante continuare a trasmettere la memoria del suo dolore e della sua forza, trasmetterla a ogni ragazza, ad ogni donna, ad ogni madre di maschio. Perché Franca Rame, impegnata nel movimento femminista, fu – come è noto – sequestrata e più volte violentata e picchiata nel mese di marzo del 1973 da alcuni esponenti dell’estrema destra. E fu capace di trasformare un reato orribile, lacerante, «privato» in una pièce teatrale potente: dal buio dell’umiliazione e del sangue, alla denuncia pubblica. Ci vollero anni perché Franca fosse in grado di realizzare questo progetto; l’esperienza fu raccontata in pubblico nel 1981 con il noto monologo «Lo stupro».

Ho rivisto in televisione alcuni momenti dello spettacolo; mi ha colpito il modo dell’attrice di controllare i movimenti del corpo: procede a scatti lenti, dolorosi, finché non arriva alla sedia e inizia con fatica a raccontare l’orrore.

Noi tutte e tutti dobbiamo molto a questa donna forte e intelligente. Purtroppo dobbiamo prendere atto del fatto che la violenza non è finita, anzi è in aumento; lo stupro è diventato parente stretto dell’omicidio: la vittima designata è quasi sempre la donna libera (o che libera cerca di diventare): è lei che viene colpita e umiliata, con particolare violenza se si tratta di donna immigrata, non più disposta alla sottomissione al padre, al marito e con particolare ferocia se si tratta di una prostituta – spesso poco più che adolescente – che cerca un’alternativa alla strada. Ferite o uccise sono sempre più spesso mogli, compagne di vita, che hanno deciso di uscire, di non voler più subire una violenza domestica o altre che iscrivono scenari nuovi nel loro percorso di vita.

Come è noto ai lettori di Riforma, esiste oggi un neologismo, femminicidio, che racconta l’esito drammatico di questa realtà; la fine di un amore è dolorosa, ma l’allontanamento, e con esso un’ipotesi di vita altra, non è tollerato. Le nostre chiese incontrano queste vicende, questo malessere?

Forse le generazioni più giovani stanno imparando il piacere dell’ascolto, il rispetto della differenza di genere, la necessità di spazi per sé e la bellezza dell’incontro, della scoperta dell’altra, dell’altro. Ma i fatti di cronaca che si succedono esigono una vigilanza costante e un affidamento non formale al Signore, perché renda fertile il nostro dire e il nostro fare.