Lobby gay in Vaticano? La questione è mal posta

Andrea Gagliarducci
National Catholic Register, 17 giugno 2013

Le recenti parole di papa Bergoglio sulla corruzione e su una influente «lobby gay» in Vaticano hanno fatto rivivere, quantomeno nei media, argomenti già sollevati durante lo scandalo Vatileaks. Il papa ha parlato di corruzione e di una «lobby gay» nel corso di una conversazione estemporanea con i dirigenti della Confederazione latinoamericana e caraibica di religiosi e religiose (Clar). Dopo il meeting del 6 giugno, che durò circa un’ora, i 6 dirigenti riferirono in un sommario quello che il pontefice aveva detto loro.

Vale la pena notare che non vi sono riportati domande o interventi dei religiosi all’indirizzo del papa. Il testo di questo sommario, diffuso nella sua interezza dal sito web cileno Reflexión y Liberación, riporta che più volte papa Francesco avrebbe parlato di una «lobby gay» all’interno del Vaticano. Ma non solo: parlando della Curia, il papa ha detto di non poter «promuovere io stesso una riforma, questo è un problema amministrativo. […] Sono molto disorganizzato e non sono mai stato bravo in queste faccende. Ma i vescovi si muoveranno in tal senso».

Queste dichiarazioni, benché informali, hanno fatto il giro del mondo. Padre Federico Lombardi, direttore della Sala stampa vaticana, non ha negato che la conversazione abbia avuto luogo e nemmeno i contenuti di essa. Ma ha rifiutato ulteriori commenti su ciò che ha definito un «incontro privato». La Clar da parte sua non ha negato l’autenticità del sommario diffuso. Ma in un comunicato, datato 12 giugno, l’organizzazione ha dichiarato il proprio «dispiacere» per aver pubblicato un documento inteso solo per riflessioni private. In realtà la faccenda di una lobby gay vaticana non è una novità. Si è fatto molto rumore sull’argomento negli ultimi anni, il cui picco di gossip si è avuto nello scandalo conosciuto come Vatileaks.

Sotto il pontificato di Benedetto XVI sono state portate avanti azioni contro il carrierismo e le varie lobby all’interno del clero. Tra le manovre con più potenzialità di cambiamento ci fu il documento «Istruzione circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al Seminario e agli Ordini sacri», del novembre 2005: una delle prime mosse di Ratzinger dopo solo pochi mesi di pontificato. Il documento nega l’accesso in seminario a chiunque sostenga, in qualunque modo e anche solo superficialmente, la cultura gay o la cultura di genere.

Secondo una fonte interna al Vaticano, che chiede di restare anonima, l’Istruzione fu intesa al fine di evitare l’eventualità di una lobby gay: «La decisione del papa avrebbe infranto il tradizonale sistema scolastico vaticano, secondo il quale una rete di favori tra preti e giovani seminaristi va avanti da tempo. In questo modo si può far spazio qualunque tipo di lobby, che il papa evidentemente ha inteso combattere chiedendo un più severo criterio selettivo nell’accesso al sacerdozio». Il sistema seminariale è stato anche descritto in un libro, Via col vento in Vaticano, firmato dal gruppo anonimo dei Millenari, che attacca esponenti della Curia romana. Il libro, che ha sconvolto il Vaticano, è diventato un best seller già alla fine degli anni Novanta.

Ma l’Istruzione per i seminaristi è stato solo il primo passo. Molte volte Benedetto XVI ha condannato il carrierismo dei sacerdoti. Una delle più forti denunce avvenne nel 2009, nel corso dell’ordinazione di 5 nuovi vescovi. In quell’occasione, papa Ratzinger disse che «non dobbiamo perseguire il potere, il prestigio o l’autostima. Noi conduciamo uomini e donne verso Cristo, cioè il Dio vivente. Facendo ciò, li introduciamo a fede e libertà, che derivano dalla varità. La fedeltà è altruismo e liberazione per il ministero e per tutti coloro che ai ministri sono affidati».

Questi due esempi evidenziano come il tentativo di contrastare una possibile, quantunque mai verificata o verificabile, lobby gay in Vaticano, sia passato nelle mani di papa Francesco direttamente dal suo predecessore. Bergoglio ha altresì ereditato il rapporto dei tre cardinali incaricati di investigare la fuga di documenti riservati dalla Santa sede. Papa Francesco tuttavia non ha menzionato, nell’incontro con i vertici della Clar, il rapporto Vatileaks: ha anzi inteso parlare di una necessità di riforme in termini più generali.

Mentre i media si sono focalizzati sui riferimenti alla lobby gay presenti nel sommario in questione, ciò che ha sorpreso il Vaticano è stato piuttosto la parte nella quale papa Francesco ammette di non poter promuovere le riforme lui stesso. La frase è stata lettta come un equivoco del papa sulla percezione del proprio ruolo. Un consulente delal congregazione vaticana, che ha richiesto l’anonimato, ha detto che «nessun papa può permettersi di riformare da solo la Curia romana. C’è sempre necessità del sostegno di una commissione di consulenti, commissari, esperti di diritto canonico». Ma, aggiunge, quello che il papa ha detto «può condurre a capire che ci sono persone che intendono prendere il potere in Vaticano, mentre lui agisce come vescovo di Roma». Ciò sarebbe pericoloso, perché la percezione della gente potrebbe essere che il papa ha delegato poteri e autorità ad altri.

In effetti molto deve essere compreso riguardo il ruolo degli 8 cardinali che il papa ha incaricato di aiutarlo a redigere la riforma della Curia. Secondo Paolo Gherri, docente di diritto canonico all’Università lateranense, «la commissione potrebbe condurre o a una complessa riforma della Curia romana, o semplicemente al nulla. […] I cardinali daranno una linea politico-istituzionale al papa, ma solo il papa deciderà se ciò porterà a una riforma e che tipo di riforma sarà».

Il vaticanista Sandro Magister ha sottolineato che il papa sembra seguire il modo gesuita di gestire le questioni. Nella classe dirigente gesuita, infatti, il generale fornisce incarichi agli assistenti, i quali rappresentano le loro rispettive aree geografiche. Ciascun assistente fornisce idee e suggerimenti al generale, che è l’unico che può prendere la decisione finale. Secondo Magister, questo stesso stile viene attuato nella commissione per la riforma della Curia, i cui membri rappresentano 8 aree geografiche, e che riferiranno al papa le loro idee e impressioni entro il prossimo ottobre. Magister scrive che «gli otto si riuniranno intorno al papa, gli faranno avere una serie di proposte, e infine lui deciderà. Da solo».

Ma le recenti dichiarazioni di papa Francesco alla Clar sembrano gettare un’ombra sulla sua capacità di leadership, dal momento che lui stesso ha ammesso la propria disorganizzazione. Nei corridoi vaticani è questo il punto cruciale del discorso del papa alla Clar, e non i titoli accattivanti sulla presunta lobby gay. La domanda pià importante rimane senza risposta: chi consiglierà il papa? Chi verrà incaricato ad occupare il segretariato di Stato e altre importanti posizioni in Vaticano? E, infine, Bergoglio sarà davvero capace di una autentica riforma?

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Tu chiamala se vuoi lobby Gay

Gianni Geraci
www.gionata.org

Le indiscrezioni su quanto papa Francesco avrebbe confidato lo scorso 6 giugno ai religiosi latinoamericani che aveva ricevuto in udienza hanno riportato al centro dell’attenzione mediatica la misteriosa “lobby gay” che sembra essere una delle tante cordate che, secondo le indiscrezioni che circolano in merito alla relazione consegnata a Benedetto XVI dalla commissione, composta dai cardinali Herranz, De Giorgi e Tomko, da lui incaricata di fare chiarezza sulle fughe di notizie che c’erano state durante lo scorso anno.


Il fatto che ci possano essere ecclesiastici che, non solo hanno tendenze omosessuali, ma che hanno dei rapporti e delle relazioni omosessuali, non può meravigliare più di tanto chi ha letto le acute analisi che lo psicologo e teologo tedesco Eugen Drewermann aveva dedicato alla condizione clericale all’interno della Chiesa cattolica (cfr. Eugen Drewermann, Funzionari di Dio. Psicogramma di un ideale, Raetia, Bolzano, 1995).
In quel libro Drewermann dimostra come, dietro a molte vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa ci sia una vera e propria “seduzione” che ha nell’omosessualità non ancora accettata del giovane candidato uno dei suoi punti di forza.

Non deve meravigliare nemmeno il fatto che questi ecclesiastici omosessuali cerchino di compensare le frustrazioni legate a una scelta vocazionale che si era basata su un equivoco, cercando di fare carriera all’interno della chiesa e che tendano a preferire agli incarichi pastorali, (che, coinvolgendo completamente la persona, condizionano fortemente la sua vita privata), gli incarichi di Curia (che, da un punto di vista pratico, assomigliano molto a un normale lavoro). 


Alla luce di queste premesse una presenza di prelati omosessuali all’interno della Curia romana è qualche cosa di perfettamente fisiologico. 
Il problema, semmai, non è l’omosessualità di questi prelati, ma l’ipocrisia con cui sono costretti a viverla.

Un’ipocrisia che li rende ricattabili e che li porta, per forza di cose, a costituire un vero e proprio sodalizio basato sull’ipocrisia e sul ricatto. E in una struttura di potere come i vertici della Santa Sede qualunque sodalizio si trasforma il lobby, come dimostrano altre indiscrezioni di alcuni organi di stampa che non parlano solo di una “lobby gay”, ma che parlano anche, tanto per fare un esempio, di lobby dei salesiani, di lobby dell’Opus Dei, di lobby dei prelati lombardi e chi più ne ha più ne metta.

In realtà, se ci si pensa bene, lo stesso nome di “lobby gay” è fuorviante, non solo perché da questo sodalizio sono senz’altro esclusi i tanti prelati gay che cercano di vivere con impegno la loro promessa di celibato, ma anche perché il modo in cui viene vissuta l’omosessualità al suo interno non ha niente a che fare nè con il movimento gay, nè tanto meno con le tante esperienze degli omosessuali credenti. 


Sarebbe piuttosto opportuno chiamarla “lobby degli ipocriti” che approfittano del loro status di ecclesiastici per vivere incontri e relazioni senza destare nessun sospetto. 
Sarbbe piottosto opportuno chiamarla “lobby degli ipocriti” che in pubblico esaltano una continenza che, in realtà, non ricercano nella loro vita e che, sempre in pubblico, parlano con disprezzo di uno “stile di vita omosessuale” che è poi quello che cercano di vivere quando sono lontani dai riflettori.

Sarebbe piuttosto opportuno chiamarla “lobby degli ipocriti” che sono perennemente in bilico tra i monasteri dove ostentano la loro devozione e le saune dove ostentano altro. 
Il problema non è quindi quello di eliminare gli omosessuali dalla Curia romana, ma è quello di fare finalmente pulizia e di mettere gli ipocriti che si muovono all’ombra del cupolone di fronte alla responsabilità di chi dice di lavorare per il Vangelo senza però preoccuparsi di seguirlo nemmeno quando il Vangelo è così esplicito da non lasciare nessun dubbio. 


Perchè, se è vero che Gesù, nel Vangelo, non ha mai parlato di omosessualità, è anche vero che Gesù, nel Vangelo, ha parlato molte volte di ipocrisia e l’ha sempre condannata con severità. 
Questo significa che chi è omosessuale, se davvero vuole seguirlo, deve fare innanzitutto i conti e superare l’ipocrisia con cui rischia di vivere il proprio orientamento sessuale.

Un’ipocrisia tanto maggiore quanto più l’ambiente in cui si opera nega in maniera decisa qualunque comprensione e qualunque concessione alle esigenze di chi è omosessuale. 
Ben venga quindi una riforma della Curia romana che, spazzando via tutte le ipocrisia, spazzi via anche l’ipocrisia della lobby gay, noi omosessuali cristiani siami i primi ad aspettarla, perché sappiamo che la paura con cui i vertici della chiesa guardano alla crescente visibilità degli omosessuali non è altro che uno dei frutti avvelenati di una concezione della condizoine ecclesiastica dominata dall’ipocrisia di chi ha sempre ripetuto: «Nisi caste, saltem caute» (se non riesci a vivere castamente, almeno cerca di tenere nascosto questo tuo problema). 


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“Io, cattolico gay, vi dico è il regno dell’ipocrisia”

Aurelio Mancuso
www.repubblica.it

Il termine gay ha un valore politico ben preciso: si tratta degli omosessuali che hanno fatto un percorso personale e che vivono alla luce del sole e felici il proprio orientamento sessuale. Parlare di lobby gay in Vaticano è, quindi, una assurdità perché tra quelle mura e più diffusamente dentro la chiesa cattolica non è possibile vivere la propria condizione omosessuale liberamente. Tutto questo continuo riferirsi a una supposta potente lobby gay in Vaticano, così come anche questa mattina si legge su tutti i giornali con roboanti titoloni, tende a confondere realtà lontanissime e in conflitto fra loro.

I gay contestano politicamente e culturalmente la repressione dell’omosessualità da parte dei vertici cattolici, e sanno bene che le consorterie omosessuali all’interno della gerarchia esistono da secoli e spesso utilizzano il ricatto sessuale come strumento di controllo e sottomissione nei confronti di altri omosessuali di grado inferiore. Da cattolico gay comprendo benissimo, che vi sia il tentativo di accreditare che la Chiesa sia stata invasa da orde di gay che vogliono corrompere e distruggere la sua santità, la verità è che l’organizzazione verticistica e unisessuale favorisce il nascondimento, l’ipocrisia, l’estensione di reti segrete operanti solamente per il mantenimento e consolidamento di posizioni di potere. L’omosessualità in Vaticano è usata come elemento strumentale per rafforzare influenze personali e collettive, per danneggiarne altre, per costruire dossier contro possibili competitor. Niente di nuovo Oltre il Tevere!