Portare la finzione al giudizio della realtà di L.Muraro

Luisa Muraro
Via Dogana n. 105, giugno 2013

 Arrivano continuamente notizie di donne che sono private della vita non per una malattia, non per la malizia di qualche delinquente, non in circostanze funeste di guerre, disastri o incidenti, ma perché sono donne che non soddisfano le banali esigenze di un qualche lui o perché offendono, con il loro modo di essere e con il loro desiderio di esistenza libera, le incontrollate pulsioni della virilità. E scatenano di conseguenza prediche dal pulpito, collere familiari, valanghe d’insulti in internet (come ha denunciato la neopresidente della Camera dei deputati), fino alla violenza omicida. Il tutto condito spesso da commenti cervellotici di opinionisti di passaggio, ma forse dovremmo scusarli: non è facile dare notizie di questo tipo, per la pena, per la ripetizione e, più ancora, per l’ignoranza del vero.

Si ignora quanto questo stato di cose sia interno alla nostra civiltà. La concezione, la base e le forme del potere sono di origine maschile, come noto, rivestite di idee presuntamente universali. Dentro a questa presunzione passano blocchi interi di violenza materiale e mentale a più livelli, il più elementare dei quali è il rapporto dell’uomo con la donna.

Non sto a ripetere dimostrazioni già fatte. Già fatte ma non registrate nei libri di scuola. Del giurista Jean Bodin, per esempio, l’Universale Garzanti dice: «Sostenne la libertà di culto, tracciò le origini e i limiti della sovranità». Non dice che questo illustre padre dello Stato moderno è l’autore di un manuale per la caccia alle streghe e che fu lui stesso impegnato in essa. Le due cose però sono collegate: il ritorno in grande della misoginia che si registra agli inizi dell’età moderna intrattiene un rapporto con l’oscura natura del potere che allora si stava riorganizzando su nuove basi.

L’odio maschile delle donne è moderno e nella nostra società si respira e si riproduce così come respiriamo i gas di scappamento e si riproducono i deputati del parlamento.

Lo Stato sedicente di diritto è arrivato, lentamente, a dare alle donne una cittadinanza non dimezzata, con doveri (venuti per primi) e diritti (col contagocce) pari a quelli dei cittadini di sesso maschile. Ma lo ha fatto con procedimenti che non intaccano la sostanza del potere, delle sue forme e del suo linguaggio.

Le donne che fanno carriera politica, non solo sono richieste di uno sforzo di adattamento supplementare (le meno robuste ne portano visibilmente i segni deformanti) ma perdono contatti con la società femminile. Una donna di buon senso, se per caso entra in Montecitorio, resterebbe indignata dello spreco di spazio, di personale e di legname: che cosa ha a che fare tanta brutta grandiosità con quelli che dovrebbero essere i compiti delle persone elette in democrazia?

Quando è stato varato il governo capeggiato da Enrico Letta (Nico-Letta, dicono in televisione per fare in fretta), è stato un coro di «donne e giovani: mai così tanti al governo». A fare che cosa? Sono lì per abbassare la percentuale dei maschi e l’età media del ceto politico, una funzione statistico-ornamentale per non fare brutta figura in Europa.

Ma il discorso non può finire qui, perché, con poca esagerazione, si può dire lo stesso di tutto il governo Nico-Letta.

Leggo e apprezzo Alberto Leiss sul sito Dea, ma l’ho trovato evasivo sul ruolo di Napolitano e parziale nell’analisi del nuovo governo, nel senso che, secondo me, non dà il giusto peso al vincolo con cui nasce. Che è di assicurare l’impunità di Berlusconi, pena la sua (del governo) fine. Bersani non offriva questa garanzia.

Si tratta di un vincolo costitutivo e quindi ne va della politica interna che l’Italia può fare. (Poca comunque, stante l’Europa e i mercati.) Sarebbe errato credere che il vincolo possa essere circoscritto. Se vi fa male una parte del corpo, il resto ne risente, è una legge degli organismi che vale anche per le istituzioni.

Forse occorre tener presente che garantire l’impunità di un delinquente plurimo e sfacciato come Berlusconi, è un compito impegnativo in uno Stato di diritto. E, soprattutto, che Berlusconi, per salvarsi, non può fare a meno del suo partito che, più delle altre formazioni partitiche, è una banda di opportunisti e corruttori, pieni di esigenze, dal non pagare le tasse alla conquista di appalti, dallo sfamare la propria clientela alla ricerca di un seguito anche fra le persone oneste.

Può bastare. Rendiamoci piuttosto conto che, nel vicolo cieco, non finisce solo la politica istituzionale ma ogni politica. La frana del patriarcato continua a franare e noi non siamo chissà dove. Recentemente un papa ha dovuto dimettersi per non diventare un burattino nelle mani dei suoi collaboratori e un presidente francese, per sembrare energico ai mass-media, ha deciso una specie di guerra in Africa. I nostri politici, a cominciare da Napolitano (il BISnonno) ci mentono solennemente. Tornando all’inizio del mio discorso, avvertite anche voi, immagino, nei discorsi e nelle condanne della violenza sessista, il molto che suona finto e ornamentale. Il Piemonte a suo tempo trascinò Roma nel suo cattivo gusto; similmente, la politica ufficiale ci trascina nella sua finzione. La finzione è contagiosa. «Per tornare alla cosiddetta realtà…» ha detto un tale in tv, testuali parole. La realtà, suvvia non esageriamo!

Purtroppo non ho in serbo tante cose da proporre in risposta a questa amara analisi. (Che però, secondo me, va fatta senza attenuanti.)

Che ci sia politica e non teatro del tanto per dire e del tanto per non fare, dipende non poco dalle donne. È stato così in tutte le tappe dell’Europa moderna. Le donne sono ogni volta reclamate dal teatro politico e dislocate in prima o ultima fila, in prima ovviamente se va in scena il cambiamento per finta. Come adesso. Per cui adesso è anche il momento che, se pensiamo che la politica è la politica delle donne, gli diamo la consistenza delle conseguenze. Una mi viene in mente con queste parole: generare realtà e portare la finzione al giudizio della realtà. Quelle donne che vengono uccise, non muoiono per finta.