Cento giorni da papa di M.Vigli

Marcello Vigli | 26.06.2013
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Molti, in questi giorni, hanno pubblicato commenti e valutazioni sui “cento giorni” dell’arcivescovo di Buenos Aires Jorge Mario Bergoglio, diventato papa Francesco, convinti che anche per lui tre mesi siano un tempo abbastanza lungo per valutare se ha mantenuto le promesse fatte e soddisfatto le speranze suscitate.

Di entusiasmo, aspettative e, soprattutto, speranze ne ha certo suscitate molte con la scelta del nome e con i significativi segni di discontinuità dati fin dal giorno della sua elezione. L’ultimo segno, di indubbio effetto mediatico, l’ha dato il 22 giugno, nel suo centesimo giorno da papa: la scelta, annunciata all’ultimo istante, di non partecipare al concerto in Vaticano, organizzato in occasione dell’Anno della Fede, per impegni improrogabili di lavoro.

Conferma che tanto meno può “perdere “ tempo per un evento mondano un Papa già rinunciatario del soggiorno estivo nel Palazzo di Castel Gandolfo, lasciato a disposizione di Ratzinger per la sua vacanza!

In verità di lavoro ne ha svolto e ne svolge molto alternandosi fra la residenza ufficiale nel palazzo apostolico, per i colloqui protocollari, e il suo studio nella residenza di Santa Marta, fra le quotidiane prediche ai presenti, sempre diversi, nella sua cappella e le lunghe “cavalcate” fra i fedeli in piazza san Pietro, stringendo mani e abbracciando bambini, per non parlare delle sortite esterne. Significativa la visita il Venerdì Santo al carcere minorile di Casal del Marmo con la lavanda dei piedi ai giovani detenuti!

I suoi interventi, prediche improvvisate e solenni omelie, hanno ormai ampiamente testimoniato il suo modo di concepire la Chiesa autenticamente povera. In essa gli ecclesiastici devono essere, semplici servitori non carrieristi, i parroci, pastori e non padroni, i cattolici, missionari del Vangelo, non semplici fruitori del sacro, in una società planetaria che fa una tragedia della crisi delle banche e resta indifferente se nelle periferie del mondo muoiono di fame le persone, se non hanno da mangiare, se non hanno salute.

Nell’udienza ai nunzi in servizio, ai quali compete di proporre alla Sante Sede i candidati all’episcopato, è stato ancora più esplicito sulle caratteristiche dei futuri vescovi: siate attenti che i candidati siano pastori vicini alla gente. Questo è il primo criterio: pastori vicini alla gente. [Se] è un gran teologo, una grande testa, che vada all’università, dove farà tanto bene! … che non abbiano una psicologia da prìncipi. Siate attenti che non siano ambiziosi, che non ricerchino l’episcopato.

Sugli sviluppi della ricerca ecumenica non si rassegna: ci sono cristiani evangelici, cristiani ortodossi. Ma perché dobbiamo essere divisi?

Severo contro una economia e una finanza carenti di etica e un sistema in cui uomini e donne vengono sacrificati all’idolo del profitto e del consumo, Francesco ha sinora evitato di evocare nella sua predicazione, con la stessa frequenza dei suoi predecessori, i temi dell’aborto, dell’ eutanasia, del matrimonio omosessuale, acquistando benevolenza nell’opinione pubblica laica, ed ha mantenuto riserbo sulle questioni che investono la sfera politica, imponendolo anche alla segreteria di Stato. Ai vescovi italiani ha detto: Il dialogo con le istituzioni politiche è cosa vostra, pur se non ha rinunciato a programmare la visita del presidente del Consiglio in aggiunta a quella del Presidente Napolitano.

Certo anche questa riservatezza ha contribuito a garantirgli il successo mediatico di cui gode all’esterno, che si salda con l’entusiasmo suscitato fra i fedeli con la novità dei suoi primi gesti.

Delusi o perplessi sono, invece, quei cattolici conciliari che speravano in un immediato avvio della “riforma” con interventi risolutivi sulla curia: molto significativa era apparsa la rivendicazione del suo essere papa in quanto vescovo di Roma.

Considerano poco incisiva la nomina, il 13 aprile, di una Commissione di otto cardinali, scelti dai cinque continenti per consigliarlo nel governo della Chiesa universale e per studiare un progetto di revisione della costituzione apostolica ‘Pastor bonus’ sulla Curia Romana: è solo consultiva e la sua prima riunione collegiale, sotto la presidenza del papa, è prevista a Roma dal 1° al 3 ottobre.

Altrettanto non risolutivi sembrano gli interventi sullo IOR, Istituto per le Opere di Religione, pur in qualche modo annunciati e qualificati dalla considerazione, ripetuta due volte in questi cento giorni, che san Pietro non aveva una banca. Non ha ricevuto in udienza il presidente Ernst von Freyberg, nominato in extremis da Ratzinger, per vederci chiaro ha convocato anche gli economi delle maggiori congregazioni religiose, che dei servizi dello Ior sono fruitori istituzionali, ha imposto il 15 giugno monsignor Battista Mario Salvatore Ricca, prete rigoroso di sua fiducia, come prelato ad interim dell’Istituto e dieci giorni dopo ha nominato una Commissione per studiarne la riforma.

Neppure sulle nomine in Curia papa Francesco ha proceduto con nuove designazioni; si pensa che qualche novità ci sarà il prossimo 29 giugno, festa dei santi Pietro e Paolo, molti ritengono, però, che non arriveranno prima dell’autunno.

Legittimo è, quindi, l’interrogativo se i gesti simbolicamente innovativi sono solo una cortina mediatica per coprire il sostanziale immobilismo imposto dalle resistenze interne rivelatesi così forti da impedire la riforma o, almeno, da renderla inefficace.

A questo interrogativo sembra offrire una risposta il riconoscimento attribuito allo stesso papa dell’esistenza, in Vaticano, di una «lobby gay», emerso dal suo colloquio riservato avvenuto il 6 giugno con i vertici della Confederazione Latinoamericana dei Religiosi (Clar).

Chiarimenti e precisazioni, d’obbligo in questi casi, non ne hanno potuto negare la sostanza: fra le correnti, che in Curia si contendono il potere, ce n’è una, costituita da Un gruppo di vescovi che nasconde la propria omosessualità e la sublima non nella castità bensì nella ricerca del potere; cercano di allungare la catena che li unisce creando altri vescovi omosessuali. Lo aveva detto a Il Fatto quotidiano il sacerdote genovese don Andrea Gallo, recentemente scomparso.

Anche Benedetto XVI aveva parlato per anni, nel corso del suo pontificato, del dramma della “sporcizia nella Chiesa”, riproponendolo spesso in toni allarmati e angosciosi.

Forse i tempi di questa millenaria istituzione non consentono il rituale bilancio dei “cento giorni”.