Chiese nuove terremotate di B.Manni

Beppe Manni
Gazzetta di Modena, 25 maggio 2013

Il terremoto di un anno fa ha cancellato case e fabbriche. Ha fatto crollare chiese e canoniche. Arredamenti liturgici. Affreschi, statue, quadri e altari segni di antiche devozioni sono stati distrutti o portati in luoghi sicuri. Chi oggi visita il Museo benedettino di Nonantola ha una visione drammatica di queste devastazioni attraverso gigantografie al piano terra e può ammirare ai piani superiori la bellezza dei quadri recuperati.

C’è una corsa spasmodica per trovare risorse per ricostruire chiese e campanili. La storia con le sue imprevedibili situazioni ci porta a riflettere. Non è la prima volta che terremoti, guerre e alluvioni cancellano delle chiese. Sono state sempre ricostruite.

Il cataclisma della Bassa ha fatto scattare una solidarietà e una disponibilità nuove. Sono stati costruiti dignitosi tensostrutture o semplici costruzioni nelle quali i fedeli si sono ritrovati a pregare, ma anche a discutere e fare festa. Si sono sentiti spogliati delle statue miracolose o dei quadri taumaturgici, ma hanno continuato a fare l’eucarestia e a leggere le scritture a incontrarsi. In un modo nuovo e direi più intenso. Non sono le belle cattedrali che costruiscono la fede.

Quando nel 70 dopo Cristo le armate romane di Tito distrussero il tempio di Gerusalemme, gli Ebrei dopo un primo momento di smarrimento non persero la loro fiducia nel Dio di Abramo, perché era stato distrutto l’altare dei sacrifici e il sacerdozio non poteva più celebrare i suoi riti. Riscoprirono come il loro Dio abitava tra tutti gli uomini e nella Thorà (la Bibbia). Continuarono a incontrarsi come fanno ancora oggi, nelle sinagoghe aule spoglie dove si ascoltava la lettura della Scrittura, le spiegazioni dei rabbini, si pregava e si faceva scuola ai bambini. Nella sinagoga si svolge una parte attiva delle comunità.

Forse il terremoto è un segno del cielo per imparare ad abitare luoghi di preghiera spogli senza ingombranti strutture che ostentano una grandezza che non vogliamo più. Strutture condivise durante la settimana con tutti quelli che hanno bisogno di spazi per ricreare un paese e una comunità ferita, sempre più solidale. “Gli edifici ‘sacri’ diventano ‘santi’ cioè amati da Dio solo se sono luoghi abitati dalla carità” (Dom. J.Faber). Alcune chiese di grande valore artistico vanno senz’altro recuperate, ma nulla di più.

E i capitali che vengono risparmiati potranno essere dirottati per ricostruire case, fabbriche e scuole. Abbiamo un esempio storico in San Ambrogio vescovo di Milano che nel V secolo vendette i vasi sacri della sua chiesa per aiutare i poveri che morivano di fame durante una carestia.