Il pugno e la carezza

Marco Cantarelli
www.ans21.org

Il pugno e la carezza: riflessioni sulla pace è il bel titolo del n. 2, Aprile-Giugno 2013, con cui la rivista Esodo ha voluto ricordare il 50° anniversario dell’enciclica Pacem in terris, di Papa Giovanni XXIII. Riportiamo qui uno degli articoli proposti, dal titolo Guerra e pace a Vicenza. Aumentano di numero, durata, vittime, costi. Anche se le chiamano “guerre di bassa intensità”. Per sostenere le quali è necessario assicurare “cuori e menti” alla causa. Per questo, è urgente rinnovare il “dizionario della pace”. La sfida del Parco della Pace, a Vicenza.

Il territorio di Vicenza è uno dei più militarizzati al mondo. Con l’aggravante – dal nostro punto di vista – che, a differenza di altri luoghi, le più importanti ed estese fra le numerose istallazioni militari, che deturpano il paesaggio, sorgono in centri abitati o, comunque, a ridosso di insediamenti urbani, caratteristici del modello di “città diffusa” che ha trasformato il Veneto negli ultimi decenni.
Altra peculiarità di tale presenza militare è che essa è fondamentalmente straniera, in particolare statunitense. Anche se non va dimenticato che Vicenza è sede del Centro di Eccellenza per le Unità di Polizia di Stabilità (COESPU, dall’acronimo in inglese), dell’Arma dei Carabinieri, e ospita, inoltre, la Forza di Gendarmeria Europea (EUROGENDFOR o EGF), il primo corpo militare dell’Unione Europea a carattere sovranazionale; entrambi, centri di formazione delle polizie di diversi Paesi europei e, pure, extraeuropei.

Tale presenza militare non è nuova; risale al dopoguerra e si è sviluppata nel contesto della Guerra Fredda: il territorio vicentino ha ospitato, infatti, per circa mezzo secolo istallazioni missilistiche nucleari, depositi nucleari, caserme, magazzini e strutture di comando militare delle forze statunitensi e dell’Organizzazione del Trattato Nord-Atlantico (NATO).

Contrariamente a quanto occorso altrove, la fine della Guerra Fredda non ha comportato una riduzione della presenza militare in questo territorio, piuttosto una sua moltiplicazione: come dimostra la vicenda della nuova base militare statunitense, denominata “Del Din”, di prossima inaugurazione nell’area dell’ex aeroporto civil-militare Dal Molin.

Tale rinnovata, ampliata e riqualificata presenza militare risponde alle nuove esigenze operative nei cosiddetti “teatri caldi”: Vicenza è sede del Comando AFRICOM, che sovrintende la proiezione strategica degli Stati Uniti nel continente africano; di stanza a Vicenza sono, inoltre, vari battaglioni della 173° brigata aviotrasportata delle forze armate statunitensi, in questi anni in prima linea in Iraq e Afghanistan.

Oltre che per il fatto in sé, per il modo in cui è stata gestita l’intera vicenda, la nuova base militare rappresenta una ferita per la comunità vicentina, destinata a non rimarginarsi facilmente. Ciò che è accaduto nelle scorse settimane è emblematico: contrariamente a quanto inizialmente dichiarato sulla necessità logistica di concentrare in un’unica caserma, da costruire, “tutta” la citata brigata, le autorità militari statunitensi hanno notificato che alcuni battaglioni della stessa resteranno di stanza in Germania; suscitando dubbi sull’effettiva necessità del nuovo insediamento, la cui costruzione ha, peraltro, causato un grave dissesto idrogeologico nell’area circostante, secondo studi tecnici comunali in corso. Non solo: al tempo stesso, le forze armate statunitensi hanno avviato lavori di ristrutturazione dell’ex base missilistica Pluto, sita a Longare, pochi chilometri a Sud-Est della città; con l’obiettivo, ufficialmente, di farne un ennesimo centro di addestramento. Alle proteste dei sindaci interessati, le autorità militari pare abbiano rinunciato a quest’ultimo progetto.

A preoccupare non è solo l’occupazione di ampie porzioni di territorio: la presenza militare e civile correlata alla prima – molti familiari delle migliaia dei soldati risiedono, infatti, nel territorio vicentino – incide notevolmente sul piano demografico, su quello abitativo-urbanistico, nonché sui trasporti a livello locale.

In questo contesto, le partenze dei soldati per Kabul, nonché il loro ritorno “a casa”, sono argomenti di cronaca nei media locali; che, a mo’ di bollettini di guerra, danno conto anche della triste sequela di caduti, dando così una sensazione di immanenza di quel conflitto. Negli stessi media trovano eco, poi, episodi di cronaca nera – frequenti risse in discoteca, molestie causate da stato di ubriacatezza, financo reati più gravi –, che vedono protagonisti militari “in libera uscita”. Insomma, parafrasando Bertold Brecht, vien da osservare come «nelle nostre città la guerra c’è sempre» (Me-ti, Libro delle Svolte).

Le due guerre mondiali combattute nel Novecento – il territorio vicentino è stato “linea del fronte” nella Prima e pesantemente bombardato nella Seconda –, le lotte di liberazione dal colonialismo e dall’imperialismo nei Paesi del Terzo Mondo nel dopoguerra, la Guerra Fredda fondata sull’equilibrio del terrore atomico, hanno plasmato l’immaginario collettivo sul tema per decenni. Tuttavia, neanche le guerre sono più come quelle di una volta…

Nei tanti conflitti che pullulano nel mondo – secondo il rapporto Mercati di guerra di Caritas Italiana, stilato insieme alle riviste Famiglia Cristiana e Il Regno, il 2011 è stato l’anno con il più alto numero di guerre mai registrato dalla fine della Seconda Guerra Mondiale: 338 conflitti armati censiti; 18 in più rispetto al 2010 –, sempre meno si combatte per la conquista di territori quanto per il controllo delle risorse naturali o, comunque, per obiettivi politico-economici, che sono chiave per i mercati globali.

Oggi, più che fra Paesi o nazioni, gran parte dei conflitti bellici si scatenano all’interno di Stati, la cui istituzionalità è fragile, se non già collassata. Anche per questo, una volta venuto meno il monopolio statale della violenza, a scontrarsi sono fazioni armate che rappresentano interessi di gruppi etnici, sociali, religiosi. Le frontiere non costituiscono più un argine, né ci sono linee del fronte da sfondare. I nuovi campi di battaglia sono, piuttosto, città e villaggi, dove diventa difficile, se non impossibile, distinguere fra civili e militari, spesso confusi fra di loro, nonostante il ricorso alle più sofisticate tecnologie; o dove il terrorismo, proprio per la sua brutalità, disconosce tali differenze.

La durata stessa dei conflitti va ormai oltre ogni ragionevole, umana sopportazione. Fondamentale, in tal senso, è il ruolo dei media nel forgiare il consenso dell’opinione pubblica, interna ed internazionale, a favore degli interventi militari, spesso presentati come “missioni di pace”; o nel far approvare bilanci della “difesa” sempre più gonfiati e mascherati. Del resto, mai come oggi, l’industria civile e quella militare paiono intrecciarsi. La guerra moderna, insomma, non sembra avere più limiti geografici, naturali, temporali, tecnologici; è diventata tanto pervasiva quanto normale nella sua quotidianità, al punto che non è facile discernere fra lo stato di guerra e quello di pace…

Ciò non riguarda solo i deserti mediorientali, le montagne afghane o le savane africane. La proiezione militare in quei “teatri” richiede di un solido consenso “domestico” alla stessa. Per questo, uno degli obiettivi strategici delle nuove dottrine della “guerra totale al livello più basso”, proprio dei “conflitti di bassa intensità”, è quello di “pacificare cuori e menti” della popolazione, che in patria o nelle “retroguardie”, come Vicenza, non si rassegna all’attuale “sistema di guerra” dominante.

Per questo, si moltiplicano le azioni “civili”, volte a sviluppare consenso intorno alla presenza militare nel territorio e alla logica che essa sottende: apertura al pubblico delle caserme; giornate di pulizia dei parchi, che vedono all’opera soldati armati di rastrelli; scambi di visite scolastiche; borse di studio; corsi di formazione e seminari; convegni sulle opportunità per gli affari che possono scaturire (war as business)…

Aldilà degli effetti propagandistici, l’insieme di iniziative “non-militari” mira, non solo, a forgiare un modus vivendi fra popolazione civile e militare, evidentemente essenziale alla pacifica convivenza; quanto all’accettazione, magari convinta, da parte della prima dei vantaggi che si presume possano derivare dalla presenza della seconda, pur tenendo idealmente e restando fisicamente lontani i teatri bellici veri e propri.

In tale scenario, anche il “dizionario della pace” urge essere aggiornato. Va in questo senso la campagna lanciata, di recente, da Pax Christi per la “smilitarizzazione” della scuola italiana, dove si moltiplicano iniziative, tarate a seconda delle fasce di età degli alunni, quali visite guidate ad istallazioni militari, corsi volti ad avvicinare i giovani alla vita militare impartiti da docenti delle stesse forze armate, esperienze di mini-naja… Il tutto, con patrocinio ministeriale.

Nel contesto vicentino, un interessante banco di prova della capacità di costruire percorsi alternativi e qualificanti è dato dal “processo di progettazione partecipata” del Parco della Pace, nella parte dell’ex aeroporto Dal Molin antistante la nuova base militare: una superficie di circa 65 ettari, concessa dal Demanio al Comune di Vicenza, per la cui utilizzazione l’Amministrazione Comunale, tramite un gruppo di esperti “facilitatori” di processi partecipativi, appartenenti alla Cooperativa Architetti e Ingegneri – Urbanistica (CAIRE), di Reggio Emilia, e alla società Avventura Urbana, di Torino, ha, dapprima, ascoltato decine di rappresentanti di vari settori della società civile vicentina. Quindi, un gruppo di una quarantina di quest’ultimi, risultato più omogeneo nella visione del futuro del Parco, si è riunito, nel Marzo 2013, in un seminario di un giorno e mezzo per approfondire ulteriormente la materia. Successivamente, a fine Aprile 2013, la Giunta Comunale di Vicenza ha istituito, con delibera, il Tavolo della Partecipazione del Parco della Pace, di cui fanno parte i soggetti fin qui coinvolti, restando aperto a quanti vogliano contribuire alla fase di ideazione. Ovviamente, il Tavolo ha carattere consultivo; ma il suo parere, pur non vincolante, va comunque obbligatoriamente acquisito, perché venga affidato all’architetto tedesco Andreas Kypar, incaricato dal Comune della progettazione esecutiva del Parco. Se son rose, fioriranno…