Femminicidi: passiamo dalle denunce alla politica

Monica Pepe
www.zeroviolenzadonne.it

mpepeLa parole di denuncia non bastano, chi può negarlo? E a chi giova negarlo, certo non alla promozione di un cambiamento. Veniamo da anni di denuncia sociale e politica – mai gettate al vento certo – ma l’evidenza della loro impotenza deve guidarci in un’altra direzione.

Le donne che vengono uccise, sempre più a briglie sciolte, sono l’altra faccia e sintomo di una disperazione inequivocabile dei rapporti di coppia di questo Paese.

Era meglio quando il dettato sociale dava la possibilità agli uomini di controllare il potere naturale delle donne di procreare e della loro sessualità? Ovviamente no. Ma da quel nodo dobbiamo ripartire per costruire una società più giusta e politica, per vivere in maniera più libera le proprie contraddizioni umane e la propria parzialità di essere sessuati. Usare i dispositivi più potenti di cui dispone la nostra mente, la Cultura e l’immaginazione, non per ribaltare una legge naturale non reversibile (nonostante gli sforzi del mercato e della biopolitica) ma per costruire un nuovo terreno di incontro passionale e politico tra uomini e donne.

La sfida è grande quanto la frustrazione di contare ogni giorno le violenze adulte su bambini e bambine, tra adolescenti come tra uomini e donne e sulle persone anziane, con la complicità di una incontenibile varietà di strumenti di ipnosi di massa di cui dispone oggi il Capitale. Se riprendessimo il contatto con le nostre viscere saremmo obbligati ad ammettere che la vera frustrazione sta nel NON possedere chi desidera la nostra mente, nel NON fare andare i nostri rapporti personali e sociali come vorremmo e non in tanti oggetti inutili, anche se ormai sono l’unico codice alfanumerico di scambio che non ci imbarazza.

La mediatizzazione senza un pensiero analitico intorno per paradosso cristallizza il fenomeno della violenza come “atmosferico” e inevitabile.

Oggi si parla di violenza sulle donne ogni giorno e non è dato capire se l’effetto di tanta informazione spinga più le donne alla denuncia o gli uomini all’emulazione.

In questa fase l’unico risultato che ottengono le donne che denunciano è quello di avere più probabilità di essere ammazzate, piuttosto che avere risposte concrete dallo Stato e sono i fatti che parlano.

Ma a cosa serve tutto questo se continua a mancare un discorso pubblico e culturale, onesto e integrato tra cause ed effetti, tra il maggiore potere psicologico che gli uomini attribuiscono alle donne e la maggiore aggressività fisica che le donne attribuiscono agli uomini? Perché il maggiore potere che gli uomini attribuiscono alle donne come effetto della caduta simbolica del padre è evidente nella torsione drammatica delle modalità della violenza dei nostri giorni. Ma aggredisce chi è più debole, e questo vale anche per le donne quando abusano verso gli uomini della maggiore influenza psicologica che deriva dalla familiarità che hanno con la propria emotività e sessualità.

Ultimo, ma tutt’altro che per importanza, il rapporto tra generazioni diverse e la necessità di vivere l’una dell’utopia e del riparo dell’altra.

Non a caso tutta questa biodiversità umana è il “pasto nudo” del Mercato che dal boom economico in poi ha scoperto l’eldorado dei processi di omologazione di massa. Fare i soldi non più solo uccidendo le persone con la forza del lavoro (Marx), ma prosciugandone l’umanità, cavalcando le fragilità e oscurando la forza creativa e sessuale delle persone con bisogni superflui (Pasolini).

Bisogna invertire la rotta prima che la nostra responsabilità politica di donne diventi una colpa storica, quella di lasciar crescere le generazioni di donne più giovani nella immagine spenta e parziale e della violenza. E’ fuorviante e disonesto affermare ancora oggi che la violenza all’interno delle relazioni profonde di coppia è tutta da ricercare nello scatto aggressivo di un uomo, come se ognuno di noi non fosse fatto di psiche e di corpo insieme.

Lo sappiamo bene che la vita delle donne è in percentuale larghissima vittima o testimone di violenze maschili intrafamiliari anche durante l’infanzia e l’adolescenza, per poi passare alle discriminazioni del sistema sociale, ma il primo dovere politico che dovrebbe farci fare un pensiero progressista oggi è indicare alle ragazze e alle donne un’altra strada maestra. Quella della ricostruzione delle tracce familiari, per dare un volto di senso a un non-luogo emozionale, per traghettare la violenza e la rabbia nel maggiore coraggio che ci vuole per affrontare prima se stesse e poi l’altro, per non condannarsi da sole alla infelicità affettiva e sessuale, perché a celebrare il riscatto dell’invasione del corpo femminile non sia solo l’invasione della mente maschile, ma la propria impareggiabile identità.

Per costruire un’idea sempre più creativa e rivoluzionaria di essere madri e amanti, perché non esistono lotte sociali vincenti che escludono un meccanismo di complicità e di compenetrazione tra uomini e donne. Perché se ristabilissimo tutta la narrazione della famiglia e del meccanismo di coppia da cui proveniamo, potremmo ridare lo spessore che merita alla genealogia femminile della propria famiglia, mettere a nudo che la prima fonte di identificazione per una donna è il potere della madre, reazionario e conservatore per condizione esistenziale ma non per destino politico.

E ricordarci che il primo dovere che abbiamo nei confronti di noi stesse è quello di rivendicare fino in fondo una lettura autografa del mondo, degli uomini e del rapporto tra le stesse donne, nei rapporti amicali e in quelli lesbici.

Questo ci consentirebbe di ragionare più lucidamente su Chi e come muove i fili politici della connessione tra vissuti e trasformazioni del tempo. Il cambio di prospettiva imposto dai cambiamenti del corpo in relazione agli obiettivi sociali che hanno bisogno di controllarci non ci aiutano a invertire la violenza come forma di repressione personale e politica.

L’eversione del mercato ha una “soluzione finale” per tutti e per tutte, e non a caso investe una enorme quantità di denaro nell’immaginario e nella gestione della psiche delle donne e degli uomini, attraverso il braccio armato della pubblicità e della Televisione. La sua ingordigia allaccia la cintura con le origini. Spinge l’acceleratore sulla produzione di beni superflui, sulla devastazione delle risorse naturali e sul saccheggio della forza lavoro dietro la maschera della crisi, sul controllo delle vite delle persone con le tecnologie.

Anche se il successo più clamoroso del Capitale rimane la distruzione della forza rivoluzionaria dei giovani con la diffusione planetaria, massiccia e capillare delle droghe.

Ci sarebbe da scoraggiarsi se non fosse sempre più divertente e creativo vivere e sfidare il potere, magari in un rinnovato rapporto di solidarietà umana e di complicità tra i sessi che insieme alla Cultura rimangono i più grandi nemici del potere.