Il dio che non è “dio” di M.Vigli

Marcello Vigli

L’apparizione sul mercato di sempre più numerosi libri su dio potrebbe scoraggiare la lettura di questo libro di Gilberto Squizzato, che nel titolo non fa mistero del tema affrontato: Il dio che non è “dio”.

Particolarmente perplessi potrebbero essere quei molti cristiani, che hanno vissuto la stagione della scoperta della fede senza religione di Bonhöffer, della teologia della morte di Dio e della lettura materialistica della bibbia, e fra i quali si era diffuso un certo rigetto dei discorsi sul divino espresso dal frequente uso della categoria dell’alienazione per denunciare gli effetti regressivi delle religioni.

A vincere ogni perplessità induce, invece, il sottotitolo Credere oggi rinunciando a ogni immagine del divino, che indica con chiarezza l’intento dell’autore. Non ha scritto un testo apologetico per contestare le tesi di atei e agnostici, tanto meno per convertirli. Le sue 150 pagine offrono una proposta per ri-fondare la loro fede ai credenti in crisi per la difficoltà a coltivare un concetto e un’immagine tradizionale di dio sempre più inadeguati per donne uomini del XXI secolo.

Ovviamente può servire anche per quelli che non vivono tale contraddizione, se solo si lasciano coinvolgere nella sana zona del dubbio!

A partire da un confronto, fra le tesi di Marx sull’argomento e la visione di dio della teologia tradizionale, e da puntuali richiami a Bonhöffer e Dostojewski, costruisce un originale percorso, ricco di notazioni linguistiche, epistemologiche ed esegetiche.

Analizza tutte le ragioni comunemente addotte per sostenere l’esistenza di Dio, le definizioni che se ne danno e le immagini che fin dall’infanzia vengono offerte ai battezzati, per confutarle ben consapevole che così va tutto all’aria. Non solo il catechismo di Pio X … ma interi millenni di teologia e di iconografia cristiana.

Non cede, però, alla tentazione di ridicolizzarle, dichiara anzi un grande rispetto per chi le ha formulate e condivise. Voglio qui dichiarare che nutro il più totale rispetto per chi ha creduto prima di noi, generazione dopo generazione, utilizzando paradigmi culturali diversi dai nostri. Rispetta i credenti di tutti tempi ma avanza qualche riserva nei confronti dei teologi ancora impegnati a razionalizzare dio, e degli esegeti della bibbia che ne subordinano l’interpretazione all’uso del concetto di dio mutuato dalla pagine del Genesi.

Dei teologi pensa che ormai il loro tempo sia passato. Non c’è più spazio per la teologia, una narrazione che, con la pretesa di essere scienza, ha per oggetto un soggetto la cui esistenza è priva di ogni fondamento conoscitivo.

Sfida gli esegeti sul loro stesso terreno leggendo i testi biblici senza far ricorso all’uso della definizione e dell’immagine del dio della Tradizione, provando, invece, a decifrarne il nucleo più profondo. Ne ricava argomenti per avvalorare la sua tesi che si può parlare di dio solo per metafore. Di esse, sostiene, non si deve avere alcun timore, sono immagini comparative e allusive che servono a darci un’idea di ciò che altrimenti non sapremmo come dire e al tempo stesso ci ricordano l’indicibilità dell’Ineffabile. Ne costruisce lui stesso facendosi travolgere dalla sua ricerca e giungendo a configurare una “teologia della metafora”.

Si trova, in verità, in sintonia con la teologia negativa, nata nel Medio Evo per affermare che di dio si può dire solo quello che non è e culminata nel XIII secolo con gli insegnamenti di Meister Eckart. Si richiama anche ai grandi mistici che preferirono tacere davanti al mistero, testimoni della rinuncia totale al tentativo vano e insensato di parlare di Dio come qualcosa o qualcuno di cui si possa affermare qualcosa. Nel silenzio hanno trovato la risposta al legittimo interrogativo dei “cristiani devoti” su come si possa pregare un dio di cui nulla si può dire. Bisogna cercare parole nuove per pregare quel “dio ignoto” annunciato senza successo da Paolo agli ateniesi rivelatosi, invece, la sintesi sublime fra Vangelo e cultura greca.

La sua vera fonte di ispirazione è, però, l’esperienza di Gesù di Nazareth che ignora le definizioni teologiche e propone il suo agire come l’unico modo per relazionarsi al Padre, che è il “dio del fare”, nel compierne la volontà attraverso il sacrificio, nel “fare sacro”, cioè, questo mondo rendendolo il suo Regno. A questo “fare” sono chiamati i cristiani, liberati dalla mentalità infantile. Devono vivere «davanti a Dio», come invita Bonhöffer senza illuderci che possa riempire i buchi della nostra esistenza,….. stando con lui dentro la tragicità della storia umana.

Al suo interno devono vivere a fianco di quanti, senza mai aver conosciuto Gesù, sono impegnati a promuovere la giustizia e la solidarietà, testimoniando che credere in dio insegna a dar valore alla vita, insegna a vivere per gli altri.

Ad illustrare questa proposta di vita e a fondarne i contenuti nel massaggio di Gesù, sono dedicate le ultime pagine del libro che, per il forte coinvolgimento dell’autore, costituiscono un “breviario” per chi intende vivere la fede in Gesù Figlio di Dio nel XXI secolo senza sentirsi estraneo ai tempi che stiamo vivendo.

Roma, 8 luglio 2013