Per una riforma

Rocco Cerrato
Bologna

L’annuncio centrale del Concilo Ecumenico Vaticano II consiste nella proclamazione della Chiesa come Popolo di Dio. Da questa consapevolezza matura una imprescindibile esigenza di riforma. Sono vari gli aspetti della vita del Popolo di Dio che oggi richiedono nuove risposte: il diritto di uguagliaza della donna in tutti i campi della vita ecclesiale, la revisione della morale sessuale, una coerente riforma del diritto canonico, adeguata alle nuove prospettive e con una riconosciuta priorità rispetto alle esigenze religiose della fede. Sono urgenti alcune scelte per rinnovare il processo ecumenico nella prospettiva di una comunione pluralista del Popolo di Dio.

In relazione a queste esigenze di riforma, il pontificato di Papa Francesco sta già indicando nuovi percorsi.
Il papa è il vescovo di Roma e la teologia vaticana afferma con sicurezza e serenità che è il vicario di Cristo. In molti secoli di storia ha però organizzato il proprio ruolo e la propria azione in quanto capo di uno Stato. Qualifica quest’ultima abolita, di fatto, dal processo storico dell’ unificazione nazionale italiana e messa in discussione dal pensiero politico moderno e dai compromessi vissuti storicamente dal Papato nella stagione dei totalitarismi.

È con la Conciliazione pattuita con lo Stato fascista che viene riproposta per il Vaticano la funzione di Stato e per il Papa il ruolo di capo di stato. È forse giunto il momento di porre il problema della inconciliabilità del ruolo e della funzione del vescovo di Roma con la qualifica di capo di Stato civile. Conseguentemente è urgente mettere in discusssione la funzione della Curia romana e il suo ruolo internazionale, la relazione fra la diplomazia dello Stato del Vaticano e il servizio del vescovo di Roma, il compito del Conclave, introdotto nella vita della Chiesa nel 1274, per risolvere problemi di natura finanziaria. È urgente mettere in discusssione e rivedere la prassi per la quale tutto il potere nella vita del Popolo di Dio è gestito, in maniera spesso autoritaria e dispotica, dalla gerarchia ecclesiastica.

Nel mondo cristiano sta maturando, in controtendenza, un’ampia comprensione dell’esperienza storica di Gesù di Nazareth. Gli studi biblici si soffermano, con sempre maggior originalità, sulla sua vita e sul suo ministero in quanto ebreo, in quanto profeta povero ed itinerante, come ribelle e come leader del movimento del Regno di Dio. Il Popolo di Dio è chiamato a convertirsi alla sua Sequela. Nell’esperienza salvifica del Gesù storico è particolarmente qualificante il suo atteggiamento rispetto al denaro. Non potete servire Dio e il denaro. Gesù, nella sua prassi messianica, pone Dio in diretta contrapposizione al denaro.

Nella sua visione, non è possibile alcuna mediazione religiosa fra il potere del denaro e l’amorevole presenza del Padre. Il suo annuncio profetico induce la riflessione di fede a giudicare il comportamento economico della gerarchia ecclesiastica e vaticana quando opera in una situazione politica e sociale nella quale è egemone la dittatura neoliberista degli organismi finanziari e delle multinazionali. Nel mondo di oggi, dominato dal capitalismo finanziario, la posizione della Chiesa non può essere che quella della opposizione radicale, vissuta e predicata da Gesù.

Papa Francesco ha subito parlato della Chiesa povera e dei poveri, scegliendo in tal modo la direttiva centrale del proprio servizio petrino e proponendo la prospettiva teologica fondamentale e decisiva per la riforma della Chiesa. Ad essa è sottesa la questione basilare della relazione fra Chiesa, Cristianesimo e denaro.

Una bufera giudiziaria si sta abbattendo sull’Istituto per le opere di religione (Ior), la banca dello Stato del Vaticano. Sulla sua esistenza papa Francesco ha espresso dubbi quando ha affermato che “ lo Ior è necessario fino a un certo punto” ed ha aggiunto che “San Pietro non aveva un conto in banca”. Ha istituito poi una commissione speciale di controllo sull’operato dello Ior. Secondo Adista, lo Ior è un colosso finanziario che ha interessi ramificati in tutto il mondo, interessi non tutti dichiarati e non sempre confessabili. Amministra circa 7 miliardi di euro. Nel 2012 ha generato profitti per 86,6 miliani di euro dei quali 55 milioni versati direttamente nella casse del Papa.

La sala stampa vaticana ha comunicato che dal 2010 lo Ior e la sua direzione stanno lavorando seriamente per portare le proprie strutture e procedimenti in linea con gli standard internazionali di lotta al riciclaggio di denaro. Le esigenze di chiarezza e di riforma per lo Ior sono storicamente richieste anche per fare luce e giustizia su passate esperienze, maturate durante i pontificati di Paolo VI e Giovanni Paolo II. Teologicamente, si va configurando un profetico segno dei tempi.

Si profila un’occasione storica nella quale è sempre più urgente una conversione, una metanoia, rispetto alla stessa esistenza dello Stato del Vaticano, al ruolo e alla funzione ecumenica del vescovo di Roma, alla relazione complessiva fra Cristianesimo ed economia finanziaria.