Discorsi d’odio e libertà d’espressione

Yuri Guaiana
www.huffingtonpost.it

Mentre la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati discute di una proposta di legge volta a estendere la legge Reale-Mancino (il testo originario della Legge 22 maggio 1975, n. 152, cosiddetta “Legge Reale” stabiliva l’applicazione della sanzione penale solo per le discriminazioni e le violenze “nei confronti di persone appartenenti ad un gruppo nazionale, etnico o razziale”. Nel 1993, con il decreto-legge n. 112 del 26 aprile, cosiddetto “decreto Mancino”, convertito, con modificazioni, nella legge 25 giugno 1993, n. 205, si estese la protezione della legge precedente anche al fattore religioso e alle minoranze linguistiche) alle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere (SOGI), il dibattito nel Pese si sta lentamente animando attorno a un’unica questione: la libertà d’espressione.

Il pericolo che la proposta di legge recherebbe a questo fondamentale diritto umano è sbandierato con forza (e spesso con una gran dose di malafede: nessuno di coloro che si oppongono all’estensione della protezione contro le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere, infatti, chiede di abrogare il comma che punisce “con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”) da alcuni politici di destra alla Giovanardi o da varie realtà cattoliche come Alleanza Cattolica, Cultura Cattolica, Tempi e Riscossa Cristiana, per citarne solo alcune.

Il tema è indiscutibilmente importante – soprattutto per chi come me s’ispira alla cultura liberale, libertaria e radicale – e merita un approfondimento. Per chiarire i termini della questione sarebbe bene, una volta di più, uscire dal proprio recinto, prendendo anche le distanze dal progetto di legge in discussione alla Camera, e gettare lo sguardo al di là delle Alpi per comprendere come la tensione tra due diritti fondamentali, la tutela contro i discorsi d’odio e la libertà d’espressione, venga risolta a livello internazionale.

Innanzitutto ricordiamoci che l’Italia è Stato membro della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici del 16 dicembre 1966 ed entrata in vigore il 23 marzo 1976 che all’art. 20 comma 2 prevede che “Qualsiasi appello all’odio nazionale, razziale o religioso che costituisca incitamento alla discriminazione, all’ostilità o alla violenza deve essere vietato dalla legge”.

Inoltre, la Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966 e ratificata dall’Italia proprio con la legge Reale, contiene severi obblighi nei confronti degli Stati membri affinché proibiscano la propaganda e l’incitamento alla discriminazione. In particolare, l’art. 4 recita:

Gli Stati Parte condannano ogni propaganda e organizzazione che siano fondate su idee o teorie di superiorità di una razza o gruppo di persone di un certo colore o di una certa origine etnica, o che tentino di giustificare o promuovere l’odio e la discriminazione razziale in qualsiasi forma, e si impegnano ad adottare immediatamente misure positive finalizzate ad eliminare ogni incitamento alla discriminazione o atto discriminatorio; a questo fine, nel dovuto rispetto dei principi incardinati nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, nonché dei diritti chiaramente enunciati all’art. 5 della presente Convenzione:

gli Stati Parte considereranno reato punibile per legge ogni diffusione di idee basate sulla superiorità o sull’odio razziale, ogni incitamento alla discriminazione razziale, nonché ogni atto di violenza o incitamento a tali atti, rivolti contro qualsiasi razza o gruppo di individui di diverso colore o origine etnica, così come ogni assistenza ad attività razzistiche, compreso il loro finanziamento;
gli Stati Parte dichiareranno fuorilegge e vietate le organizzazioni, nonché le attività di propaganda organizzata ed ogni altro tipo di attività di propaganda, che promuovano ed incitino alla discriminazione razziale, e considereranno reato punibile per legge la partecipazione a tali organizzazioni o attività;
gli Stati Parte non consentiranno alle autorità o istituzioni pubbliche, nazionali o locali, la promozione o l’incitamento alla discriminazione razziale.

In termini più generali, la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali sancisce, all’art. 10 comma 2, che la libertà d’espressione,

poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, […] per la protezione della reputazione o dei diritti altrui.

Per il nostro discorso, è importante notare come queste convenzioni prevedano che “l’incitamento alla discriminazione e all’ostilità” siano forme di discorsi d’odio che devono essere sanzionate dalla legge senza che questo sia da considerarsi un’indebita limitazione del diritto alla libertà d’espressione. Quindi, se da un lato anche “l’incitamento alla discriminazione e all’ostilità” basate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere, benché non menzionate esplicitamente, devono essere sanzionate dalla legge non essendo ammissibile una gerarchia tra discriminazioni, tutte le altre forme di discorso omo-transfobico non lo devono essere e, ritengo, richiedono invece l’adozione di politiche generali e mirate nel campo dell’educazione oltre a un costante sforzo di dialogo con attori politici, giornalisti e comunicatori di varia natura.

L’estensione delle previsioni delle Convenzioni qui citate all’orientamento sessuale e all’identità di genere necessità però un chiarimento. L’ong Article19, che difende in tutto il mondo la libertà d’espressione e d’informazione, basandosi sul principio secondo il quale i trattati sui Diritti Umani devono essere interpretati generosamente affinché possano essere pienamente implementati (in questa direzione va l’art. 7 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani), ritiene che anche l’incitamento alla discriminazione basata sull’orientamento sessuale e l’identità di genere deve essere proibita come quella basata su etnia, nazionalità o credo religioso.

D’altronde, la Corte Europea dei Diritti Umani – nel procedimento Vejdeland e altri v. Svezia, 2012 – ha esteso la sua giurisprudenza riguardante l’incitamento alle espressioni che prendono di mira determinate persone a causa del loro orientamento sessuale. Secondo la Corte, infatti, la “discriminazione basata sull’orientamento sessuale è altrettanto grave di quella basata sull’etnia, l’origine o il colore della pelle”.

Ancora, la Raccomandazione CM/Rec(2010)5 del Comitato dei Ministri agli Stati membri del Consiglio d’Europa sulle misure volte a combattere la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere, adottata dal Comitato dei Ministri il 31 marzo 2010, afferma che

Gli Stati membri dovrebbero adottare le misure adeguate per combattere qualsiasi forma di espressione, in particolare nei mass media e su internet, che possa essere ragionevolmente compresa come elemento suscettibile di fomentare, propagandare o promuovere l’odio o altre forme di discriminazione nei confronti delle persone lesbiche, gay, bisessuali o transessuali. Tale “discorso dell’odio” dovrebbe essere vietato e condannato pubblicamente in qualsiasi circostanza. Tutte le misure adottate dovrebbero rispettare il diritto fondamentale alla libertà di espressione, conformemente all’Articolo 10 della Convenzione e alla giurisprudenza della Corte.

Detto questo, ritengo che sia assolutamente necessario che la proibizione dell’incitamento alla discriminazione, all’ostilità o alla violenza, secondo la dizione della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici del 16 dicembre 1966, sia accompagnata da una scrupolosa definizione di cosa si debba intendere per “incitamento”, “discriminazione”, “violenza” e “ostilità”.

Occorre inoltre che la proibizione sia modulata secondo una varietà di sanzioni proporzionate che vadano da quelle penali a quelle amministrative a quelle civili, applicando le prime solo se nessun’altra sembri efficace. È evidente che un lavoro di tale complessità richieda la definizione di precise linee guida per le Corti che dovrebbero partire dall’accurato lavoro già svolto dall’ong Article 19. Ai fini del nostro ragionamento è particolarmente interessante notare come Article 19 ritenga che un discorso rientri nella casistica dell’incitamento se non si limiti a voler condividere delle opinioni, ma se miri a “costringere altri a svolgere certe azioni”.

Questo per quanto riguarda le sanzioni nei confronti delle forme più gravi di discorsi d’odio, ma per combattere tutte le altre forme di discorsi omo-transfobici, di gran lunga più diffusi, sono cruciali una serie ben più ampia di politiche. Tra queste è di particolare importanza la diffusione di corsi di formazione sui diritti umani delle persone Lgbti a tutti i pubblici ufficiali.

Per quanto riguarda in particolare i discorsi d’odio, la già citata raccomandazione del Consiglio d’Europa afferma che “Gli Stati membri dovrebbero sensibilizzare le autorità e gli enti pubblici a ogni livello al dovere e alla responsabilità di astenersi da dichiarazioni, in particolare dinanzi ai mass media, che possano ragionevolmente essere interpretate come suscettibili di legittimare tali atteggiamenti di odio o discriminatori” e che “Le autorità pubbliche e altri rappresentanti dello Stato dovrebbero essere incoraggiati a promuovere la tolleranza e il rispetto dei diritti umani delle persone lesbiche, gay, bisessuali e transessuali ogni qualvolta avviano un dialogo con i principali rappresentanti della società civile, in particolare con le organizzazioni dei media e quelle sportive, con le organizzazioni politiche e le comunità religiose”.

Altre politiche possono essere:

Campagne d’informazione pubblica contro l’intolleranza, soprattutto in ambito sportivo e in altri contesti sociali particolarmente critici per le persone Lgbti. Alcune campagne dovrebbero essere rivolte in particolare alle varie comunità etniche residenti in Italia nella lingua d’origine delle stesse.

L’inserimento nei curricula scolastici di specifici moduli rivolti a combattere ogni forma di bullismo, incluso quello riguardante le persone Lgbti.

In conclusione la protezione delle persone Lgbti dai discorsi d’odio contro di loro non è affatto in contraddizione con la libertà di espressione e trova una solida base giuridica anche nei trattati internazionali in difesa dei Diritti Umani. Sarebbe bene che gli avversari, ma anche i sostenitori della proposta di legge in discussione alla Camera amplino i loro orizzonti per evitare di fare figuracce.

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Decreto anti-omofobia: i nodi vengono al pettine

Lorenza Valentini
http://ritentasaraipiufortunato.blogspot.it

La cosa migliore della proposta di legge contro l’omofobia è che molta, moltissima gente si sta qualifcando per quella che è, senza nemmeno farci fare la fatica di cercare di capire.

Insomma, non serve leggere tra le righe per interpretare il non detto: il terrore di alcuni ed alcune di essere messi in galera se mai la legge dovesse passare parla da sé.

Certo, dire esplicitamente “a me i froci fanno schifo e non tollero che abbiano i miei stessi diritti” fa brutto, quindi molto meglio buttarla in caciara e inventare cose che non sono.

C’hanno messo in mezzo di tutto, rasentando il ridicolo, tipo la dichiarazione di Costanza Miriano, che mette in mezzo catechismo, bambini, scimmie e aborto:

[…] ho sicuramente 200 persone che sarebbero pronte ad andare in carcere se dire che i bambini hanno bisogno di un padre e una madre diventasse reato. Che faranno? Le metteranno tutte in carcere? E leggere ad alta voce il Catechismo della Chiesa cattolica, che parla degli atti omosessuali come contrari alla legge naturale sarà reato?

[…]Cos’è l’omofobia? Parliamone. Perché l’omofobia come paura degli omosessuali non esiste, anzi. C’è un “pregiudizio positivo” nei loro confronti. Sono in politica, nell’arte, nella letteratura, nel cinema. Sono giustamente tutelati e inseriti. Ci sono addirittura programmi scolastici, e lo posso testimoniare come madre di quattro bambini, che forniscono ampie catechesi contro la discriminazione. Tanto che secondo me, nell’età dello sviluppo, questo modo di procedere può essere pericoloso e generatore di confusione.

Come puoi spiegare a questa gente che non è in discussione il tuo diritto di dire che sei contraria ai matrimoni e alle adozioni, ma che si vuole evitare che la tua simpatica contrarietà diventi discriminazione e violenza?

Come glielo spieghi che non ci sono solo i gay “tutelati e inseriti” (tipo panda, come le donne) o che si occupano di letteratura, cinema, politica e arte, ma che è pieno di donne e uomini più o meno giovani che non possono dichiararsi apertamente sul lavoro e nella vita perché in questo paese essere gay è considerato da troppa gente qualcosa che “si fa, ma non si dice”?

Come glielo spieghi che ci sono tante e tanti che preferiscono morire piuttosto che continuare a vivere in mezzo a chi li schifa e non fa nulla per nasconderlo, ma anzi rivendica il suo diritto a discriminare?

Come fai a spiegargli che questa legge farà sì che due ragazzi innamorati come Arin e Katie possano vivere la loro vita in pace, senza che ci sia qualcuno pronto a umiliarli, insultarli, minacciarli e magari ammazzarli di botte?

Si mascherano da grandi difensori della libertà di opinione, ma quello che vogliono realmente è che “loro” stiano ben nascosti. In fondo, dopo “anche io ho molti amici gay” la seconda frase più ricorrente tra gli omofobi che si fingono persone per bene è “non ce l’ho coi gay, ma solo con chi lo ostenta”.

Io ostento la mia eterosessualità ogni volta che per la strada abbraccio mio marito, quando lo tengo per mano, quando ci baciamo, ma ancora non mi sono mai sentita urlare “etero demmerda, fai schifo!”.

Le obiezioni dei grandi difensori della libertà di opinione sono abbastanza ridicole, se si pensa che tutta ‘sta storia la stanno facendo per qualche parola aggiunta ad una legge già esistente, che, a quanto pare, per loro non è mai stata un problema (o per lo meno non al punto da fare una “maratona del rosario” per dichiarare la propria preoccupazione e il proprio dissenso).

Dire, poi, che una legge che vuole essere finalmente contro ogni discriminazione discrimini i discriminatori è quantomeno ridicolo.

Cos’è, omosessuali, lesbiche, transessuali sono meno degni di altre “categorie” (passatemi la parola, lo so che è orrenda, ma non me ne viene un’altra al volo)?

Già è punito chi “propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”, aggiungerci “o fondati sull’omofobia e transfobia” evidentemente per qualcuno deve essere davvero troppo.

Non andrete in galera perché siete omofobi, ma, ripeto, il vostro terrore dice parecchio di voi.