Legge “costituzionale” sul 138? Ci cascano tutti

Aldo Giannuli
www.aldogiannuli.it

Uno degli interventori di questo blog ha fatto notare: “La modifica del 138 sta nel disegno di legge di istituzione del comitato per le riforme; che però è un disegno di legge costituzionale, non ordinario.” Infatti l’art. 138 dice che “Le leggi di revisioni della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna camera con due successive deliberazioni ad intervallo non inferiore di tre mesi…”. Dunque, saremmo di fronte alla prassi prevista dallo stesso art. 138 e non ci sarebbe ragione di parlare di rottura costituzionale. Il nostro amico è in ottima compagnia perché molti –come Eugenio Scalfari- pensano la stessa cosa: se si tratta di un procedimento costituzionale la prassi da seguire è la stessa delle revisioni costituzionali e, dato che, con ogni evidenza, anche l’art. 138 può essere oggetto di revisione costituzionale, il problema dove è?

E, invece, si tratta di una legge che di “costituzionale” ha solo il nome e nei fatti è solo una legge ordinaria. Vengo e mi spiego.

Lasciamo da parte la totale irritualità di questa strana commissione mista di giuristi e politici in pensione che, di fatto espropria le assemblee parlamentari del potere di revisione costituzionale (vi torneremo) e veniamo alle questioni apparentemente più “tecniche”.

In primo luogo riflettiamo sul nome: di “deroga costituzionale” e sulla dichiarazione per cui essa vale solo in questa occasione. Esistono le “deroghe costituzionali”? Si, se per esse si intende una deroga al principio generale inserita nello stesso testo della Costituzione; appunto: “Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.” Al principio generale che vede possibile il referendum confermativo, si oppone la deroga nel caso di decisione a maggioranza qualificata.

Ma si può inserire nella Costituzione un rigo che dica: “Solo per questa occasione, si fa deroga al…”? Non avrebbe senso. O si fa una revisione costituzionale che modifica il testo anche per le volte a venire, o non si fa.

Dunque, non è una revisione ma una sorta di “deroga extra legem”. D’altra parte, se così non fosse, l’iniziativa non avrebbe alcuno scopo razionale: noi vogliamo sveltire il procedimento di revisione costituzionale riducendo da tre ad uno i mesi di intervallo nella doppia deliberazione, e questo perché ci serve, in questa occasione, procedere con una certa urgenza. E che facciamo? Tanto per cominciare, una revisione costituzionale con tanto di doppia delibera ad intervalli trimestrali e con procedura ordinaria e non abbreviata (come prevede l’art. 72 IV comma della Costituzione), per poi fare la revisione che ci interessa con la nuova procedura. Cioè raddoppiamo l’iter per fare prima!

Chiunque capisce che anche questo non avrebbe alcun senso, proprio perché non sarebbe una soluzione definitiva, ma un espediente utile solo in questa occasione. E, infatti, in solare violazione dell’art. 72, che esclude che, per le leggi costituzionali, le commissioni abbiano potere deliberante, si sta cercando, appunto, di risolvere la questione con procedura abbreviata, in commissione, senza passare dall’aula. Appunto: come per una legge ordinaria. Il che, in buona sostanza, significa evitare ogni possibile ostruzionismo e ridurre tutto ad una questione di pochi giorni (ed in pieno periodo estivo, quando la gente non ci fa caso). Ma, soprattutto, si evitano possibili dissensi dei parlamentari Pd. In queste condizioni, la doppia delibera –ove pure si facesse luogo ad essa, ma non è affatto scontato- diventa un passaggio di carte fra commissioni e, prima di Natale, la nuova normativa sarebbe bella e pronta, giusto per quando si prevede che i “saggi” abbiano terminato i loro lavori e preparato la loro “riforma”. E, forse, per essa, potremmo prevedere la stessa procedura abbreviata, per far presto e magari evitare lo scoglio del referendum.

Infatti, mentre è relativamente più semplice “controllare” i componenti di una commissione, diventa molto più difficile evitare dissensi in una votazione in aula. Facciamo un conto:

Alla Camera la maggioranza dei due terzi (utile ad evitare il referendum) è 420 voti, sappiamo con certezza che sono contrari M5s e Sel (totale 146) cui potrebbe unirsi la Lega (18 seggi), per cui, se, fra i gruppi minori (Uv, Svp, Udc ecc.) e nel Pd ci fossero 57 defezioni, la maggioranza dei 2/3 non ci sarebbe.

Peggio ancora al Senato, dove M5s e Sel (61 seggi), con la Lega potrebbero raggiungere 68 voti (occorre poi vedere quale sarà l’atteggiamento dei 7 senatori dei collegi di Val d’Aosta, Trentino ecc, e di Ciampi), per cui potrebbe bastare la defezione di una trentina di Pd.

Mentre una votazione in Commissione e, soprattutto l’assenza di un dibattito in Aula, eviterebbe incresciose crisi di coscienza ai parlamentari Pd….Ma, che si vada sino in fondo con questa procedura non è ancora definito, per cui staremo a vedere.

In ogni caso la cd. “legge costituzionale”, sostanzialmente, ha il processo di formazione di una legge ordinaria anche nel caso si desse luogo alla doppia deliberazione ad intervalli trimestrali (cosa, peraltro, della quale non siamo affatto certi).

Non si tratta di una noiosa questione di procedure parlamentari, ma di un fatto sostanziale: l’intervallo dei tre mesi nella doppia delibera fu pensato dall’Assemblea Costituente come necessario perché l’opinione pubblica potesse essere coinvolta nel dibattito e far valere la sua voce, mentre è intuitivo che un intervallo di un mese rende impossibile tale coinvolgimento e riduce la discussione ad una “affare fra partiti”.

Similmente, l’esclusione della procedura abbreviata, è funzionale al pieno coinvolgimento di tutti i parlamentari –e non solo dei vertici dei partiti- nella discussione. E l’irregolarità non sarebbe sanata neppure da un voto finale in aula senza possibilità, per i parlamentari, di discutere la norma o presentare emendamenti.

E voi questa me la chiamate una legge costituzionale? Per di più, stabilendo un precedente che potrà essere ulteriormente allargato in futuro quando, secondo i dettami della Jp Morgan e simili, qualcuno deciderà che è arrivato il momento di mettere mano alla prima parte della Costituzione, quella che parla dei diritti dei cittadini.

E il tutto deciso da un Parlamento di lacchè nominati per grazia regia, che grazie alle magie del “Porcellum”, ha una maggioranza dei 2/3 che rappresenta si e no 22 milioni di elettori su 49 milioni di aventi diritto e 35 milioni di votanti.

Ma non si può parlare di rottura costituzionale in questo caso, quando si può usare questa espressione? Conosco bene il ministro proponente, Gaetano Quagliariello, che fu studente di Scienze Politiche nella mia stessa facoltà una trentina di anni fa e lo ricordo un po’ debole in diritto pubblico e costituzionale (Gaetano, ricordi l’esame di Costituzionale comparato… il libro di Guarino… la scivolata sull’art. 49…? Anche se poi l’esame andò bene..).

Forse un rapido corso di richiamo di diritto costituzionale per i nostri governanti e Presidenti delle Camere non sarebbe cosa così inutile…

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IL GOVERNO LETTA DEVE DURARE FINO AL 2015. PERCHE’?

Aldo Giannuli
www.aldogiannuli.it

In vista del dies irae del 30 luglio pv, il Presidente della Repubblica si è affrettato a “chiudere la finestra di ottobre”, per eventuali elezioni, e, stando ai resoconti giornalistici, ha aggiunto che le intese di aprile –quando accettò di essere rieletto- erano per un esecutivo che durasse sino al 2015. Implicitamente, il Presidente ci ha fatto sapere di un patto i cui termini sono ben diversi da quelli fatti trapelare nell’immediatezza dell’accordo: allora si parlò di un esecutivo di durata breve, con il compito di cambiare la legge elettorale, fronteggiare l’immediatezza della crisi e poi andare a votare.

Poi, man mano, la riforma elettorale è andata scivolando in avanti e si è iniziato a dire che il governo “non ha scadenza” e che si sarebbero dovute fare anche altre riforme istituzionali mettendo mano alla Costituzione; donde la nomina del comitato dei “saggi” di cui abbiamo già detto. E qui spunta che una scadenza c’era, il 2015, dunque non tanto a breve.

Si tratta dei due anni che, prevedibilmente, una revisione costituzionale comporta, considerato che essa richiede, oltre al tempo necessario a trovare una intesa, l’approvazione delle due Camere in doppia lettura, con intervallo di tre mesi fra l’una e l’altra. Ma questo se non ci sono incidenti di percorso, magari l’approvazione di un piccolissimo emendamento che richiederebbe di nuovo la doppia lettura con il trimestre di intervallo. E poi bisogna considerare anche la possibilità di un ostruzionismo da parte del M5s e, magari, di Sel che, con i loro 200 parlamentari e passa, potrebbero bloccare i lavori per mesi e mesi, anche perché nel processo di revisione costituzionale non è possibile stroncare l’ostruzionismo ponendo il voto di fiducia al governo. Niente paura: il governo avanza un disegno di legge di deroga alle procedure previste dall’art. 138 riducendo ad un mese l’intervallo fra le due deliberazioni.

E che nel processo di revisione della Costituzione abbia voce in capitolo l’esecutivo è una novità assoluta. Questa procedura eccezionale consisterebbe in una sorta di deroga una tantum, per sveltire i lavori finalizzati ad una limitatissima riforma costituzionale, come l’abolizione del voto di fiducia da parte del Senato, così da evitare un blocco come quello seguito alle elezioni di febbraio. Ma, come fa notare il costituzionalista Alessandro Pace (Repubblica 8 giugno 2013), la proposta governativa dovrebbe essere approvata con procedura ordinaria, per cui faremmo passare il principio per cui una legge ordinaria può derogare alla Costituzione e questo potrebbe essere ripetuto per qualsiasi altra revisione. Di fatto stiamo aprendo la porta alla disarticolazione dell’art. 138 e, con esso, della stessa attuale Costituzione.

D’altra parte, se tutto quello che c’è da fare è emendare il nostro bicameralismo, basta riscrivere l’art. 94 ed al massimo le prime due righe dell’art. 81. E per fare questo nominiamo una commissione di quaranta “saggi”? Il dubbio che sorge è che questa specie di Sinedrio debba preparare una revisione organica della Costituzione e che la “deroga” attuale sia solo la legittimazione di ben più sostanziose prossime deroghe. Anzi, ad essere proprio maliziosi, sorge il sospetto è che il testo della nuova Costituzione sia già pronto e giaccia in qualche cassetto (della Jp Morgan per caso?). Ma noi non siamo così prevenuti e non lo diciamo.

Però non possiamo tacere che, di fatto, siamo alle soglie di una vera e propria rottura costituzionale: l’art. 138 fa parte della Costituzione e non può essere modificato con procedura ordinaria, anzi, per la delicatezza della sua funzione, è l’ultimo per il quale si possa pensare una procedura tanto disinvolta.

E qui veniamo al ruolo del Capo dello Stato. Tutto fa intendere che la partita della revisione costituzionale –ben oltre che la questione dell’art. 94- abbia fatto parte delle trattative che portarono alla rielezione di Napolitano che oggi, infatti, blinda il governo per evitare quelle elezioni che sospenderebbero questo processo così avviato. Dunque, Letta deve durare perché il Presidente vuole che la Costituzione cambi, in tutto o in parte. Ma dove sta scritto che il Presidente della Repubblica possa farsi promotore del cambiamento costituzionale? Qualche studio di diritto costituzionale ci fa pensare che il Presidente abbia, piuttosto, il compito di garantire la Costituzione vigente. A cambiarla –e secondo le regole previste da essa stessa- devono pensare altri. E, pertanto ci si attende che il Presidente rifiuti di firmare il Ddl governativo, per la palese violazione dell’art. 138 e, con esso, la lettera e lo spirito della Costituzione e che, ne investa la Corte Costituzionale. O magari che indirizzi un messaggio alle Camere per avvertire del carattere anticostituzionale della norma che stanno per varare. Ma questo non accade e non accadrà, per la semplice ragione che Napolitano è interno al progetto.

Occorrerà riflettere molto attentamente su cosa ha rappresentato la Presidenza Napolitano negli equilibri costituzionali, qui ci limitiamo ad osservare che il Presidente ha spostato l’accento della sua azione più sulla garanzia dei patti internazionali dell’Italia (dai patti Ue agli accordi di Marrakesh, per non dire dei patti impliciti rappresentati dai titoli di debito pubblico) che su quella della Costituzione. Di fatto, negli ultimi quattro anni, Napolitano, più che rappresentare la Nazione all’estero (come prescrive la Costituzione), ha piuttosto rappresentato la Ue e la Bce presso il governo ed il Parlamento. Una sorta di “commissario agli atti”. Ed, in questa inedita metamorfosi della figura del Capo dello Stato, si sono determinate una serie di alterazioni nei rapporti fra istituzioni della Repubblica. Per molto meno, l’allora Pds stava per chiedere la messa in stato d’accusa di Cossiga per attentato alla Costituzione. E’ arrivato il momento di dire che siamo ad un passo dalla rottura costituzionale e dal colpo di Stato “bianco”.

Qualcuno ha osservato che “Napolitano sta cercando di limitare i danni”. Altro che limitare i danni, Napolitano è il danno.