«Cari genitori, aiutate i vostri ragazzi»

Valeria Viganò
www.unita.it

La parola omofobia significa paura degli omosessuali. Contiene un capovolgimento di significato che mette chi la pratica in uno stato patologico. La fobia sposta la collocazione della responsabilità dal soggetto omosessuale a chi invece teme l’omosessualità. Ma ha in sé anche una giustificazione psicologica, è una parola ambivalente. La paura di chi è maggioranza genera un comportamento di disprezzo e schifo, ripulsa verso chi ha una sessualità diversa. Ed è una paura essenzialmente culturale.

Nella natura esistono 450 specie che praticano legami con lo stesso sesso e sostanzialmente negano e cancellano la definizione dell’omosessualità come contro natura. E nei secoli, in differenti contesti storici, è stata inglobata e praticata senza suscitare riprovazione. Non interessa qui indagare se la dottrina religiosa o le leggi sociali siano stati colpevoli del mutamento. Interessa l’oggi, ancora intessuto di suicidi, uccisioni, aggressioni, di leggi, emarginazioni agite nel nostro paese.

E allora mi rivolgo a quei genitori che vivono la vergogna di avere un figlio o figlia gay e usano metodi coercitivi, di esclusione e espulsione dalla famiglia, ma anche agli altri genitori, quelli che nascondono ciò che per loro rappresenta un problema, vedono ma non condividono, negano e non ascoltano le difficoltà, contribuendo a aumentarle. Mi rivolgo agli insegnanti di ogni grado che tacciono, ignorano, fanno finta di niente davanti alla ferocia dei loro studenti. Ai ragazzi e alle ragazze che per farsi forti denigrano e sfottono pesantemente loro coetanei incolpevoli, ma colpevoli perché non si uniformano a un diktat sottilmente perverso che li accantona. Mi rivolgo a certi ambienti retrogradi che costringono gli omosessuali al silenzio. Il silenzio è una grandissima pena, nella doppia accezione: è pena perché si soffre moltissimo, è pena perché si sconta una condanna. Ma chi può giudicare e applicare il tormento, chi reprime ciò che considera sbagliato? Mi viene una sola risposta: l’ignoranza più stupida.

Gli omofobi sono ignoranti e vogliono rimanere tali. Non importa il livello sociale, il grado di studi, le esperienza esistenziali, l’origine famigliare. La loro ignoranza è mentale, la loro ignoranza è grettezza, la loro ignoranza e potere, la loro ignoranza è violenza. E la derisione della dignità di un altro essere umano, è giudizio morale che imprime un marchio su persone che non fanno del male, che vogliono solo esprimere liberamente i propri sentimenti.

Viverli in una vita piena, oltre le menzogne e quel tragico silenzio di cui parlavamo. Persone che non sono riconosciute nemmeno dallo Stato a cui appartengono, l’Italia, e al quale contribuiscono come tutti gli altri. I doveri sono gli stessi, i diritti no. La sessualità nella società contemporanea è un fluido che scorre in molti rivoli, ma viene sbattuta in faccia ancora in biechi stereotipi che generano il possesso e la sopraffazione. Eppure quel fluido è molto più libero dei modelli imposti nei quali le donne sono merce, due donne sono previste solo eccitanti per il maschile, gli uomini sono checche.
Va oltre le definizioni di omo o eterosessualità, chi ha avuto amori etero si scopre attratto da un simile e capita anche il contrario. I rivoli a furia di scorrere hanno rotto gli argini artificiosi, le persone vogliono essere se stesse. Tutto qui.

E un concetto diverso di donna e di uomo nei quali maschile e femminile si intersecano, anima e animus, leggetevi Platone o Jung. E allora, omofobi, imparate a considerare due occhi, due gambe, due braccia, un cervello come entità umana intera, guardate non alla vostra paura ma alla qualità di chi vi è di fronte, al quali sussurrate schemi, o li prendete a parolacce e pernacchie, o a botte per dare una lezione. Quale lezione? Pensateci, la lezione dovrebbe essere data a voi, e voi dovreste impararla e guarire dal vostro inutile, pericolosissimo terrore.

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Buongiorno omofobi
http://elfobruno.wordpress.com

Lo faccio ogni mattina, quando non ho da lavorare. Mi sveglio, accendo il telefono e poltrisco un po’ a letto. Scorro la lista dei commenti su Twitter e do il buongiorno a chi mi segue. Qualcuno direbbe che sono un fanatico del web, io la vedo un po’ diversamente, ma non è di questo che voglio parlare stamattina.

Stamattina è una domenica molto bella, qui in Sicilia. Il sole, come sempre, è molto caldo, ma c’è quel venticello asciutto, che puoi recuperare nelle pieghe dell’ombra del terrazzino, fresco e ristoratore. Mettici le cicale a far da contorno e la prospettiva di andare al mare, coi tuoi amici di sempre. C’erano tutte le condizioni per augurare e condividere un “buongiorno!”, rigorosamente con un cancelletto davanti (obbedendo alla tacita legge degli hashtag), e proseguire con l’indolenza vacanziera una domenica tutto sommato uguale a tante altre.

E invece.

Apro Twitter e leggo di un quattordicenne, che si è tolto la vita, lanciandosi dal terrazzo condominiale, perché vittima di omofobia. I suoi “amici”, le virgolette sono d’obbligo, lo prendevano in giro e lo escludevano dalla comitiva. Ha lasciato una lettera, in cui spiega le sue ragioni e il suo gesto disperato. E un documento su una chiavetta. Adesso, come sempre, le autorità competenti cercano di capire cosa sia successo, di fronte all’irreparabile.

Eppure le cose sembrano abbastanza semplici. Sarà che le ho vissute sulla mia pelle, quando avevo quattordici anni… E di fronte a episodi come questo, che ormai accadono secondo scadenze trimestrali, non si può non pensare alla pantomima in atto sulla cosiddetta legge contro l’omofobia e la transfobia.

La situazione di questo ragazzo (non chiamiamolo suicida, perché questa persona è stata uccisa dalla società) è molto banale nella sua tragica sequenza. Alcuni ragazzini – nutriti dall’idea che essere “froci”, “ricchioni”, “arrusi” e amenità similari è sbagliato e quindi punibile – si sentono nelle condizioni di discriminare chi viene additato come diverso. A quell’età succede anche per molto meno, basta essere timidi, un po’ più bassi o troppo alti, grassi, ecc. Solo che, contrariamente ad altre situazioni, disprezzare l’omosessuale rientra in un circuito culturale abbastanza diffuso ed esibito come modello sociale condiviso. Basta frequentare stadi e palestre, andare in chiesa, guardare un tg con le dichiarazioni del parlamentare di turno. Tutto suggerisce che esser gay (o lesbica, o trans) è moralmente sbagliato. Quindi punibile col biasimo sociale, e non solo. Questi ragazzini perciò si sono sentiti autorizzati ad emarginare il loro amico, allontanandolo dalla comitiva e prendendolo in giro. E a ben vedere, in fin dei conti, sono vittime dell’omofobia anch’essi.

Questi ragazzi però sono figli, con ogni evidenza, di un contesto sociale che vuole ai margini di se stesso le persone omosessuali e transessuali. E per emarginare dalla società, non solo dai gruppi di adolescenti ma anche dalle realizzazioni sociali più complesse, hai bisogno di escludere categorie intere dall’accesso al rispetto individuale e al diritto pubblico. Modello che ha funzionato, fino a poco tempo fa, con donne, neri ed ebrei. Poca o nessuna tolleranza nei discorsi comuni, molti luoghi comuni e limitazione dei diritti, assenti o dimezzati. Con conseguenze che tutti conosciamo.

Una legge contro l’omo-transfobia, realmente efficace, dovrebbe agire perciò proprio sulla diffusione del pregiudizio omofobo, in quella quotidianità per cui si comincia dando del “frocio” a qualcuno, per poi finire magari, in determinati contesti, con sberle e violenze varie. La legge Mancino, già esistente e riguardante la differenza di nazionalità e di religione, andava semplicemente estesa anche per orientamento sessuale e identità di genere a cominciare dalla propaganda del pregiudizio: per ribadire, cioè, che se si è eterosessuali o persone LGBT si ha tutti/e la stessa dignità e chi contraddice questa evidenza dovrebbe risponderne di fronte la legge. I cattolici e gli omofobi di Pd, Scelta Civica e buona parte del PdL hanno invece operato affinché permanga questa differenza di trattamento: perché si possa continuare a dire in giro, prima in comitiva, poi in ufficio, in chiesa o in Parlamento, che i froci fanno schifo (anche se in modo più gentile).

Il ddl presentato, così com’è, non incide di una virgola sulle cause del male. Mette una pezza sulle conseguenze.

La legge presentata è, in pratica, niente di diverso rispetto a quell’ispettore di polizia mandato oggi sul cadavere del ragazzino a constatare ciò che è successo. Gli omofobi e i transfobici, con quella legge, potranno continuare a disseminare le loro parole di odio e di disprezzo, in nome di una presunta libertà di pensiero difesa da personaggi lugubri e indegni come certi teodem interni al Pd e a Scelta Civica e non solo. Qualche altro deputato potrà continuare a rassicurare, invece, il suo elettorato omofobo che potrà, quindi, proseguire a determinare situazioni siffatte. Qualche prete, dal suo pulpito, potrà leggere gli episodi su Sodoma e Gomorra o il Levitico e trarne conseguenze per tutti. E ragazzini adolescenti continueranno a suicidarsi. Anzi, a essere uccisi da questa società.

Ritornando al discorso di apertura, se tutto questo vi fa essere tranquilli/e con le vostre coscienze, “cari” omofobi e “care” omofobe di cui sopra, il buon giorno oggi è per voi.