Carlo Maria Martini – profeta e padre per tutta la Chiesa di C.Albini

Christian Albini
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Papa Francesco parla di Carlo Maria Martini: «La memoria dei padri è un atto di giustizia. E Martini è stato un padre per tutta la Chiesa. Anche noi alla “fine del mondo” facevamo gli esercizi con i suoi testi». Sono parole pronunciate durante l’udienza privata del 30 agosto in cui gli è stata presentata la Fondazione Carlo Maria Martini con cui la Provincia d’Italia dei Gesuiti, con la partecipazione dell’Arcidiocesi di Milano, vuole promuovere la conoscenza e lo studio della sua vita e delle sue opere, e tenere vivo lo spirito che ha animato il suo impegno, favorendo l’esperienza e la conoscenza della Parola di Dio nel contesto della cultura contemporanea.

Uomo di discernimento e di pace

A un anno dalla morte del cardinale, il Papa non ha usato parole di cortesia e circostanza, ma ha avuto uno slancio con cui ha dichiarato tutta la sua stima per il confratello, definendolo «profeta e uomo di discernimento e di pace», ricordando anche il ruolo di mediazione con cui ha allentato le tensioni in seno alla congregazione generale della Compagnia di Gesù del 1974. Indicando nel fare memoria di Martini un atto di giustizia, Francesco ha risposto indirettamente all’accesa ostilità di certi ambienti cattolici nei suoi confronti. Anche dopo l’elezione di Bergoglio, c’è stato chi si è prodotto in acrobazie dialettiche per dimostrare la sua distanza dal «progressista» (inteso in senso dispregiativo) Martini. Papa Francesco non ha avuto paura di essere esplicito, anche se diversi mezzi d’informazione cattolici, nel riportare le sue parole, hanno tralasciato proprio l’appellativo di profeta. Un episodio rivelatore di una questione che resta non risolta nell’attuale momento storico della Chiesa cattolica.

Una difficile memoria

Martini resta controverso per la sua visione ecclesiale. Lo ricorda Giacomo Costa, direttore di Aggiornamenti Sociali, in un’editoriale dedicato alla sua eredità, mettendo però in guardia da letture fuorvianti.
«In varie occasioni – scrive p. Costa –, fino agli ultimi giorni della sua vita, il card. Martini aveva dato voce al sogno di una Chiesa rinnovata. Sarebbe tuttavia riduttivo sostenere che stiamo assistendo alla realizzazione di quel sogno, magari come “vittoria postuma” nei confronti di quella parte dell’establishment ecclesiale che non si è mai mostrata “entusiasta” nei confronti dell’ex vescovo di Milano: facendolo, si schiaccerebbero una sull’altra le figure di Martini e di Bergoglio, mortificando le specificità di entrambi magari sulla scorta della comune appartenenza alla Compagnia di Gesù, smarrendo la novità di papa Francesco e, per converso, relegando Martini in un passato ormai superato. Oltre che semplificata, questa lettura sarebbe profondamente ingiusta: nulla potrebbe essere più lontano dall’autentico spirito di appartenenza e di servizio alla Chiesa – proprio di Martini come di Bergoglio – della legittimazione dell’idea che essa si regga su scontri, del tutto mondani, tra fazioni o lobby».

La fatica del pluralismo e dell’alterità

L’eredità di Martini consisterebbe soprattutto in un metodo, in uno stile, di cui Costa individua due linee portanti: il dialogo con la Parola, che per il credente è un atto incessante di ascolto e discernimento che getta luce sempre nuova sulle vicende umane, e il dialogo tra le coscienze. La coscienza era per lui il luogo interiore della relazione con Dio, dove ha luogo l’articolazione tra carità e verità, dove ogni uomo ha la capacità di riconoscere e scegliere il bene. Il dialogo con l’altro, con la sua coscienza, diventa così occasione di scoperta del bene e del vero di cui è depositario, in un processo di scambio e apprendimento reciproco. A questo metodo corrisponde una visione di Chiesa che non conosce tutte le risposte e le elargisce prima ancora di ascoltare le domande. Ciò significa, a partire dall’unica fede che è sempre in cammino, praticare un pluralismo di opzioni politico-sociali, di atteggiamenti pastorali, di percorsi spirituali. È uno sguardo positivo sulla diversità nella Chiesa, vista come ricchezza, che al di fuori della Chiesa sa anche vedere il positivo dell’alterità. Ecco perché la memoria di Martini è controversa: il pluralismo e l’alterità costituiscono una fatica. È più facile la posizione fissista di chi ritiene di possedere già la verità e fuori di sé vede solo il negativo. Eppure, basterebbe guardare con franchezza all’esempio di Gesù, il quale faceva saltare le divisioni convenzionali tra giusti e peccatori, tra sacro e profano, tra credenti e no.

La fatica dell’amore

Anche Carlo Maria Martini ha conosciuto delle fatiche. La più dura è stata probabilmente quella degli ultimi anni, segnati dall’avanzare del Parkinson. Don Damiano Modena, che gli è stato accanto fino alla fine dopo il rientro in Italia da Gerusalemme, ne ha lasciato una testimonianza intensa e scritta con finezza nel recente Carlo Maria Martini. Il silenzio della Parola (Corriere della sera – San Paolo). Sono pagine che aiutano a capire meglio la vita di questa persona e la sua statura. Quando la fine si avvicina, emerge la verità di un uomo.

Tutte le considerazioni che si possono fare sul suo ministero episcopale e sui suoi scritti risultano monche, se non si tiene conto della verità di Martini che questo racconto lascia trasparire. Il libro descrive la perdita progressiva della mobilità, dei sensi, della parola. Un impoverimento progressivo e una crescita della sofferenza che facevano svanire gli incarichi ecclesiali, i viaggi, gli onori, la ricchezza di esperienze di tutta un’esistenza… Eppure, stando in questa fatica Martini perseverava, resisteva. È il segno della sua autenticità: non era animato da ideologie o ambizioni personali. Nell’avanzare della malattia, continuava a pregare. Continuava a incontrare gli amici. Continuava ad ascoltare le persone. Continuava a fare progetti. Continuava a coltivare l’ironia. Continuava a gustare un cioccolatino o un gelato. Continuava ad amare la Chiesa.

È emblematico l’episodio del promemoria inviato a Benedetto XVI nell’aprile 2011 per condividere le proprie preoccupazioni sui mali della Chiesa a cui segue l’invito del Papa a un incontro, dopo ci sarà l’ultimo abbraccio a Milano, nel giugno successivo. C’è stato chi ha dipinto Martini come un arrivista che faceva da contraltare al Papa per mettersi in mostra. Un uomo invalido e vicino alla fine che fa un passo del genere lo fa solo per amore, dove la comunione sull’essenziale sta assieme alla franchezza di dire ciò che non va. Il libro ha accenni sobri e anche teneri sul rapporto di reciproca stima tra il cardinale e Ratzinger. Si può immaginare che sia stato una componente della storica scelta di quest’ultimo.

La fatica di Martini nelle sue prove è stata anche fatica di credere, ma non resa. Ha prevalso la perseveranza nell’amore, come attestano alcune parole degli ultimi mesi tormentati. L’amore per gli altri: «Vorrei dirvi una cosa. Vorrei dirvi che se anche dall’altra parte non ci fosse nulla, sono felice di aver vissuto questa vita e di averla condivisa con voi». E l’amore per il Signore: «Oh Gesù! Accetto questa debolezza di non poter parlare, essa mi tocca fin nelle radici del mio essere, perché sono fatto per comunicare. La accetto per amore tuo e per tutto quello che hai fatto per me».