Prostituzione, alcol, droga: dentro i centri di accoglienza di chi chiede asilo

Jacopo Storni
Corriere della sera, 9 settembre 2013

Dovrebbero essere luoghi di transizione dove i profughi da guerre e carestie vengono protetti e ospitati in attesa dell’asilo politico. Finiscono per diventare gironi danteschi dove la delinquenza è la quintessenza di chi attende all’infinito un permesso di soggiorno. Alcol, droga, prostituzione. Sono i centri di accoglienza per richiedenti asilo (i cosiddetti Cara), almeno a giudicare dalle testimonianze raccolte da alcuni degli ospiti delle strutture. I centri italiani attualmente operativi sono otto, quasi tutti al sud. Potrebbero ospitare complessivamente circa 4mila persone, ma dentro ce ne stanno molte di più. Il sovraffollamento è cronico, accentuato anche dai nuovi arrivi dall’Egitto e dalla Siria. L’attesa estenuante.

Il ministero dell’Interno, responsabile dei centri, dice che i profughi vengono ospitati «per un periodo variabile di 20 o 35 giorni». Ci restano più di un anno. E costano circa 5 milioni al mese. I migranti provengono soprattutto da Afghanistan, Pakistan, India, Iraq, Eritrea, Somalia, Nigeria. Hanno vitto e alloggio gratuito e percepiscono un piccolo supporto economico mensile. Possono uscire dai centri quando vogliono, ma spesso le strutture si trovano in aperta campagna, distanti anni luce da una grande città.

È il caso di Castelnuovo di Porto, dove il Cara si trova a 30 chilometri da Roma. Circa 400 gli ospiti (secondo la Prefettura di Roma). Quasi mille (secondo i migranti accolti). Trascorrono le giornate in balia della noia. Impossibile trovare un lavoro senza il permesso di soggiorno. Qualche settimana fila liscia, un paio di mesi si superano. Ma poi? Le giornate diventano sterili fotocopie, ingredienti amorfi di una vita senza orizzonti scritti. Disagio esistenziale che sconfina nella devianza. Capita che le camere si trasformino in ricettacoli di prostituzione, dove i rifugiati pagano le rifugiate per sfogare istinti repressi.

Tutto questo lo raccontano i richiedenti asilo, come Jean Daniel (nome di fantasia), proveniente dall’Africa subsahariana e ospite da quasi un anno al Cara di Roma: «Ho fatto sesso con le nigeriane che esercitano la prostituzione dentro il centro. Ci appartiamo nelle camere che per l’occasione vengono lasciate vuote. Una prestazione costa mediamente venti euro». Alcune donne, spiega sempre Jean Daniel, «vanno a prostituirsi nella periferia di Roma, lasciano il centro dopo cena e rientrano all’alba».

Un altro ospite di Castelnuovo di Porto ci parla dello spaccio di sostanze stupefacenti: «Girano spinelli, si fuma sotto gli occhi degli operatori che gestiscono il centro, nelle stanze, nei corridoi, dappertutto». E poi ci sono gli «ospiti abusivi», tutti quei migranti che non avrebbero diritto di accedere al Cara ma che, riuscendo ad eludere i controlli dei gestori, entrano clandestinamente nel centro: «Dormono nei materassi stesi a terra».

Tante le associazioni che denunciano situazioni esplosive dentro i Cara. Tra queste l’Arci (dove abbiamo incontrato alcuni dei migranti ospiti a Castelnuovo di Porto) secondo cui «in tutti i Cara d’Italia si esercita la prostituzione e in molti casi c’è anche lo spaccio di droga». Non solo: «Spesso in queste strutture sono presenti minori, quasi sempre non accompagnati» spiega Livia Cantore, responsabile asilo dell’associazione. E poi: «C’è una perenne situazione di degrado, sporcizia, sovraffollamento, mancanza di servizi igienici, persone abbandonate a loro stesse, servizi che dovrebbero essere offerti e invece mancano».

La società che gestisce il Cara di Roma, la francese Gepsa, non vuole commentare le testimonianze dei migranti e rimanda la palla alla Prefettura di Roma. Che dice: «Se i migranti sono testimoni di episodi di microcriminalità, potrebbero denunciarli». E si smarca dalle responsabilità di ciò che avviene all’interno della struttura perché «è un luogo di accoglienza» dove «gli ospiti sono persone libere».