Questo non è un paese per insegnanti

Marina Boscaino
www.globalist.ch

Dicono che non è vero; poi, puntualmente, è vero. Sono anni che l’offensiva sugli Invalsi – di cui una parte del mondo della scuola contesta metodo e merito – va avanti implacabilmente, mentre i ministri di turno tentano di rassicurare che testare gli studenti italiani con gli Invalsi non ha alcun intento punitivo.

A smentire la melina dei suoi predecessori ci ha pensato, però, Carrozza, che nel recente decreto istruzione, all’articolo 14, prevede una sorta di formazione coatta per i docenti che abbiano classi che falliscono i test. Stanziamento previsto: 10 milioni di euro.

La capacità didattica verrebbe dunque misurata attraverso l’abilità maggiore o minore che gli studenti dimostrano di rispondere correttamente ai test. Ecco come vanificare – con un irresponsabile colpo di spugna intriso di inconsapevolezza, ignoranza, autoritarismo – anni di ricerca e di pratiche che si sono basati su modelli formativi che con i test Invalsi non hanno (fortunatamente) nulla a che fare; ecco sposata ed imposta definitivamente una prospettiva non coerente con la nostra prospettiva didattica democratica, meno “meccanizzata”, basata sulla pluralità dei punti di vista e sinergia tra conoscenze, competenze e abilità, e con essi dei saperi analitico-critici complessi.

Ecco piegati epistemologie e pratiche didattiche all’asservimento alla sintassi del pensiero unico di stampo neoliberista, alla possibilità di una risposta sola, che nega definitivamente la complessità del reale. Oltre a riproporre il perenne problema della demagogica tendenza a far “parte uguali tra diversi” – non tenendo conto delle oggettive differenze socio-culturali che caratterizzano la popolazione scolastica italiana; oltre a confermare i sospetti di molti di una valutazione forzosa e censoria, volta – chissà – a screditare ulteriormente la miracolosa compagine dei docenti italiani, che continua responsabilmente a portare avanti la scuola, nonostante il più drastico taglieggiamento di fondi che l’Occidente in crisi economica abbia prodotto; oltre a ribadire l’inconsistenza di un governo che a parole dice “ascolto” e nei fatti autoreferenzialmente emana provvedimenti muscolari, sconfessando dichiarazioni evidentemente di maniera; oltre a tutto questo, il provvedimento sfata i miti della valutazione come strumento di miglioramento e di intervento diretto sul sistema, sostanzialmente affermando: se i ragazzi falliscono gli Invalsi è colpa vostra.

Non importa quali siano le vostre competenze disciplinari e relazionali; non importa quale sia la vostra esperienza. Non importa che, a fronte dei tagli, sono secoli che non esistono piani di formazione e aggiornamento degni di questo nome; né che, sempre per lo stesso motivo, le vostre classi siano intasate di studenti o che, per la revisione delle classi di concorso, voi siate stati sostanzialmente degradati a tappabuchi, a prescindere dalle vostre specifiche qualità professionali. Non importa, ancora, che – nonostante tutto – dalle vostre scuole escano studenti con un livello culturale riconosciuto e rispettato nel mondo. L’asfittica e pervasiva visione test-centrica vince. E determina conseguenze cui è sottesa la stigmatizzazione. Pazienza se non hanno fatto altro che affermare il contrario.

L’aggiornamento dei docenti viene trasformato in un obbligo attraverso un decreto che non tiene conto del contratto di lavoro. Attribuendo di fatto ad un ente non autonomo dal ministero il compito di valutare l’operato degli insegnanti. Ecco la prima conseguenza immediata del regolamento sul , recentemente approvato.
Questo non è un paese per insegnanti.

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Riparte la scuola: laicamente in Francia, con nuove promesse in Italia

Uaar, Unione degli atei e degli agnostici razionalisti
www.uaar.it

In questi giorni riaprono le scuole e alcune novità interessanti arrivano dall’Italia e della Francia. A Roma il consiglio dei ministri ha approvato un decreto legge che garantisce nuove risorse a scuola e università. La ministra dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza, annuncia lo stanziamento di 400 milioni di euro. Tra i provvedimenti presi ci sono stabilizzazione del personale, nuove assunzioni, sgravi per le famiglie sull’acquisto dei libri di testo, contributi e agevolazioni che premiano il merito. Non mancano tuttavia le ombre.

Fa notizia anche l’introduzione dell’Imu per le scuole private deciso dal consiglio dei ministri. Dopo molti mesi di trattative sull’Ici per le strutture commerciali della Chiesa e le lamentele degli istituti cattolici, l’esecutivo precedente guidato da Mario Monti aveva “risolto” con un nulla di fatto. Ora il premier Enrico Letta, dopo aver annunciato prima l’esenzione, ha reintrodotto l’Imu (compresa nella Service tax) per le scuole paritarie che fanno capo a onlus. L’espediente di ricondurre istituti privati a enti formalmente senza scopo di lucro viene largamente utilizzato tra gli altri anche dalla Chiesa cattolica, sebbene spesso le rette siano tutt’altro che leggere. I ministri hanno discusso la questione e stabilito, vista la difficoltà nel reperire le coperture finanziarie, di cancellare le agevolazioni prima annunciate. Non male, anche se sarebbe stato doveroso farlo in ogni caso. Non è del resto detto che la conversione in legge non riservi nuove sorprese.

Intanto in Francia il ministro dell’Istruzione Vincent Peillon ha introdotto in tutte le scuole, a partire dal 9 settembre, una “carta della laicità”. Una presa di posizione chiara contro il comunitarismo e l’ingerenza del confessionalismo nella scuola, per ribadire come l’ambiente scolastico debba essere uno spazio neutro. Sebbene il documento sembri generalmente condiviso, ci sono dubbi sulla sua concreta applicazione al di là delle enunciazioni retoriche. Alcuni punti – come la possibilità di portare il velo per le mamme che forniscono aiuto durante le attività scolastiche – vanno chiariti, suggerisce il Défenseur des droits Dominique Baudis. Da qualche mese è stato istituito dal governo un Osservatorio sulla laicità, per stilare una eventuale legge che affronti anche questioni controverse come il caso dell’asilo Baby Loup. Ancora, c’è anche chi parla di “islamofobia” e spiccano i commenti di alcune confessioni religiose. In particolare il Conseil français du culte musulman che lamenta presunte “allusioni” alla religione islamica che possono contribuire alla “stigmatizzazione”. Anche gruppi evangelici creazionisti non hanno accolto bene la carta: sostengono che impedisca loro di insegnare teorie in contrasto con l’evoluzionismo.

Nel complesso il documento rappresenta un passo avanti importante, quantomeno per il valore simbolico che assume come presa di posizione ufficiale del governo socialista a favore della laicità. La Francia, viene subito chiarito, è una repubblica “laica” che “rispetta tutte le credenze” (art. 1). Vige la “separazione tra le religioni e lo Stato”, che è “neutro verso le convinzioni religiose e spirituali” (art. 2). La laicità “garantisce la libertà di coscienza a tutti” e “permette la libera espressione” delle proprie convinzioni “nel rispetto di quelle altrui e nei limiti dell’ordine pubblico”: “ognuno è libero di credere o non credere” (art. 3). Proprio la laicità nella scuola “offre agli studenti le condizioni per costruire la loro personalità” ed “esercitare il loro libero arbitrio”, tutelandoli “da tutte le forme di proselitismo e di pressione che gli impedirebbero di fare le proprie scelte” (art. 6). Non solo, ma è la condizione per “l’accesso a una cultura comune e condivisa” (art. 7) e “permette l’esercizio della libertà di espressione”. Essa implica “il rigetto di ogni violenza e discriminazione, garantisce l’uguaglianza tra ragazze e ragazzi e si fonda su una cultura del rispetto e della comprensione dell’altro” (art. 9). Si chiede inoltre al personale scolastico di farsi promotore di questi valori (art. 10) e di mantenere una “stretta neutralità”, evitando di “manifestare le loro convinzioni politiche o religiose nell’esercizio delle loro funzioni” (art. 11).

L’insegnamento deve essere “laico”, aperto alla “diversità delle visioni del mondo” e “nessun argomento deve essere a priori escluso dalla discussione scientifica e pedagogica”. Per questo lo studente “non può invocare una convinzione religiosa o politica per contestare a un insegnante il diritto di trattare una questione nel programma” (art. 12). Inoltre, non ci si può appellare a esenzioni religiose per non seguire le regole comuni (art. 13). Viene ribadito, come già avviene da anni, il divieto di portare simboli religiosi negli edifici scolastici (art. 14).

La laicità, nella scuola come altrove, rimane in Italia ancora un tabù e viene tuttora messa da parte, come è evidente ad esempio con l’imposizione del crocifisso negli istituti pubblici e l’ora di religione cattolica. Mentre in Francia la laicità viene sostenuta senza compromessi dalle istituzioni. Positivo comunque che la politica si mostri da noi più attenta che in passato alla necessità di investire nell’istruzione (non nei diplomifici) come chiave essenziale per il futuro del paese.