Cosa significa per l’Europa il terzo mandato della Signora Merkel

Yanis Varoufakis
megachip.globalist.it

Pochi giorni prima delle elezioni federali tedesche, il commentatore statunitense Bob Kuttner ha invitato la Cancelliera tedesca Angela Merkel ad usare la vittoria elettorale che chiaramente si delineava per invertire la direzione di marcia rispetto la periferia europea. Riferendosi in particolare alla Grecia, Kuttner si è aggiunto a un coro di commentatori che richiedevano un Piano Marshall accompagnato da una remissione del debito di ampiezza generosa, come “fase due” del programma di austerità e di riforme imposto alla Grecia negli ultimi tre anni.. Kuttner ha suggerito persino di chiamarlo “Piano Merkel”, così da offrire alla Cancelliera la possibilità di un perenne ricordo di “amore tenace”, invece di essere perennemente ricordata, per lo meno dai popoli mediterranei, per un’incessante durezza di cuore verso i cittadini di Paesi che andavano in bancarotta quando l’architettura dell’Eurozona si è mostrata carente.

Il problema del nobile suggerimento di Kuttner è che la Germania non può permettersi questa generosità. Perché è impossibile immaginarsi che la Grecia possa essere curata da una combinazione terapeutica di remissione del debito e di investimenti su larga scala, senza simili aperture verso per lo meno il Portogallo e l’Irlanda, cioè gli altri due stati membri dell’Eurozona inizialmente “caduti”, ma che, occorre dire, sono affondati meno della Grecia nel pantano del debito e hanno da tempo mostrato molto più “entusiasmo morale” nell’adozione di misure di austerità.

Come potrebbe la Merkel guardare gli Irlandesi negli occhi e spiegar loro come mai i Greci devono ricevere, innanzitutto dalla Germania, un pacchetto di aiuti multimiliardario fresco fresco mentre loro devono rimanere sotto la cappa dell’austerità? Come potrebbe spiegargli che mentre il governo greco è giustificato per prestiti massicci approvati da un Parlamento di Atene perfettamente cosciente della loro ampiezza e natura, il popolo irlandese, a cui non si è mai chiesto il parere sull’odiosa cambiale emessa dal suo governo per corrompere le banche private, deve continuare a restituire quel prestito illecito fino in fondo?

Lo stesso vale per i Portoghesi: può la Merkel permettersi di presentare ai Portoghesi un tale generoso cambio di atteggiamento verso i Greci dopo che Lisbona, affetta da “merkelite”, l’ha impressionata per tre anni con l’impegno bipartisan di proseguire nell’austerità? No, a meno che lei possa offrire al Portogallo una remissione analoga del debito e analoghe iniezioni di investimenti.

La Merkel sa tutto questo. Sa anche che se dovesse istituire un Piano Merkel per Grecia, Irlanda e Portogallo, la sua ripercussione sulla Spagna e l’Italia sarebbe molto forte e di larga portata. L’Italia, una nazione che ha fatto di tutto per rimanere molto vicina ai vincoli di deficit di Maastricht (il 3% del PIL) a che è un’eccellente esportatrice di prodotti ad alto valore aggiunto, è tuttora provata dalla recessione indotta dai vincoli fiscali imposti da Bruxelles. Continuerebbe a rispettarli se, allo stesso tempo, un Piano Merkel á la Marshall dovesse fare il giro di Grecia, Portogallo e Irlanda? E che dire della Spagna? Madrid, o il suo elettorato, accetterebbe l’idea che mentre la disoccupazione in Spagna balza a oltre il 30%, il vicino Portogallo gode di un boom indotto dal Piano Merkel?

Le buone intenzioni della proposta di Kuttner inoltre non troverebbero sostenitori a Berlino, nemmeno se la Merkel si entusiasmasse all’idea di un Piano Merkel e del lascito positivo che le garantirebbe. Detto in termini spicci, un Piano Merkel dovrebbe essere in offerta al grosso dell’Eurozona, dato che i suoi stati membri potrebbero, e dovrebbero, ragionevolmente rivendicare assistenza. Ma, ahimè, la Germania non ce la farebbe. La Merkel dovrebbe cercare almeno 300 miliardi di euro all’anno per circa un decennio. Anche se gli altri Paesi in surplus, più la balbuziente Francia, potessero essere convinti a sostenere metà della somma, ciò significherebbe che la Germania dovrebbe incanalare circa il 4,5% del suo PIL nel resto dell’Eurozona, come rilancio dello sviluppo nel contesto di un Piano Merkel. Se si pensa che il Piano Marshall costò agli USA il 2% del PIL annuo, si capisce abbondantemente che un vero Piano Merkel è un po’ troppo oltre i limiti.

Ma non sono solo i costi che rendono proibitivo un Piano Merkel. L’economia tedesca è di fronte ad un vero sbarramento di ostacoli il cui impatto si sentirà molto, molto presto. Quando succederà, nessun Cancelliere tedesco, per quanto preoccupato del suo lascito, se la sentirà di dire al Bundestag che la Germania deve finanziare un Piano Marshall europeo per la propria bella faccia.

Il primo di questi problemi incombenti è la diminuzione anticipata della domanda cinese per beni capitali tedeschi. Come gli investimenti cinesi si restringono, grazie al semplice fatto che il loro livello attuale è insostenibile dato il livello effettivo della domanda per output cinesi, la possibilità della Germania di sostituire la domanda decrescente dall’Eurozona (innanzitutto da Spagna e Italia) con domanda addizionale dalla Cina, di fatto svanirà.

Sta anche fermentando una crisi dovuta agli alti, e crescenti, costi dell’energia; il “combustibile” che sta dietro l’industria tedesca fortemente orientata alle esportazioni. Nel Texas, dove attualmente vivo e lavoro, le corporation tedesche (come la BASF) stanno costruendo nuovi impianti di produzione giganteschi alle spese degli investimenti in Germania. Al crescere dei differenziali di prezzo dell’energia tra la Germania e gli USA, ma anche tra la Germania e il resto dell’Europa, l’economia tedesca dovrà stringere sempre più la cinta.

Il terzo mandato della Merkel sarà anche funestato da un contraccolpo politico che sarà abbastanza difficile da parare anche senza un Piano Merkel per l’Eurozona. La demografia del Paese sta stressando il sistema sanitario, quello pensionistico e di sicurezza sociale. Contemporaneamente, la massa crescente di tedeschi che vivono in indigenza e che lavorano in “micro-jobs” senza sbocchi e senza speranza, difficilmente prenderebbero bene un Piano Merkel per Paesi che la stampa tedesca e un buon assortimento di politici, inclusi molti colleghi della Merkel, hanno dipinto per tre anni come dissoluti, adagiati dai debiti, indegni partner dell’Eurozona.

Il dilemma del terzo mandato della Merkel

Stabilito che la Germania non può permettersi di pagare per l’Euro-crisi, cosa può fare la Merkel durante il suo terzo mandato per prevenire la disintegrazione dell’Eurozona e lo smantellamento di fatto dell’Unione Europea che sicuramente seguirebbe?

Mentre è chiaro che la Merkel preferirebbe non fare più di tanto (cioè continuare con la collaudata politica “estendere e pretendere” [1]), sa benissimo che, prima o poi, i nodi verranno al pettine e che l’Eurozona andrà in frantumi a causa delle pressioni telluriche che si muovono sotto la superficie.

Una delle opzioni prese in considerazione da Merkel e colleghi è “amputare e stampare”. Ovvero, ritornare all’idea di una mini unione monetaria, espellere Paesi come la Grecia e il Portogallo, e stampare sufficienti quantità di euro per inondare di liquidità i mercati finanziari della rimanente Eurozona. E’ un gioco pericoloso, come ben capisce anche la Merkel, che verosimilmente causerebbe la morte dell’asse franco-tedesco in quanto il processo di “amputazione” non può finire senza l’espulsione anche della Francia. E dato che l’asse franco-tedesco è uno dei perni dell’Unione Europea, che le diede la luce come un cartello del carbone e dell’acciaio, l’Europa-come-la-conosciamo farebbe testacoda.

C’è anche una seconda opzione, proposta da Stuart Holland, J. K. Galbtaith e da me stesso. La chiamiamo “Modesta Proposta per Risolvere la Crisi dell’Euro” e riteniamo che offra alla Merkel alcune soluzioni immediate, praticabili nell’ambito delle attuali legge europee e degli attuali trattati e, soprattutto, senza bisogno che i contribuenti tedeschi finanzino remissioni di debiti o necessità di investimento nella periferia. L’idea è sfruttare le istituti attuali che non richiedono nessuna di quelle manovre alle quali si oppongono molti Europei, come le garanzie statali, i trasferimenti fiscali e difficoltosi cambiamenti dei trattati, che molti elettorati potrebbero rifiutare. Nel loro insieme le nostre quattro politiche non configurano un Piano Merkel ma un New Deal europeo. Come il suo precursore statunitense, condurrebbe a progressi decisivi in pochi mesi, attraverso misure che ricadrebbero totalmente nella cornice costituzionale che impegna i governanti tedeschi.

1) Un Programma Bancario Mirato sbloccherebbe l’impasse dell’Unione Bancaria con una “europeizzazione” in successione di banche in difficoltà, sotto la giurisdizione degi stati membri stressati fiscalmente. Una dopo l’altra, le banche periferiche in difficoltà cadrebbero nelle braccia del Meccanismo Europeo di Stabilità, che in accordo con la BCE sovrintenderebbe alla loro ricapitalizzazione, risoluzione o acquisizione, prima di rivenderle al settore privato. In tal modo i debiti sovrani già sotto stress potrebbero essere disaccoppiati dalla ricapitalizzazione delle banche, rapidamente ma anche in sequenza, rendendo possibile attuare una vera unione bancaria solo quando l’Europa sarà genuinamente pronta a un meccanismo di risoluzione comune che includa tutte le banche. Quando questo processo finirà e le banche saranno ripulite, il Meccanismo Europeo di Stabilità venderà le sue quote rientrando in possesso (molto probabilmente con interessi) dei capitali che i contribuenti europei avranno immesso nel progetto per ripulire il loro settore bancario (ora unificato).

2) Un Programma Limitato di Conversione del Debito, con la BCE che amministrerà un semplice programma di conversione dei debiti degli stati membri che sceglieranno di parteciparvi. L’essenza dell’idea è che la Banca Centrale paga (in quanto opposto a “compra”) una parte di ogni bond governativo giunto a scadenza, per la porzione di debito pubblico dello stato membro che è permesso “avere” dal Trattato di fondazione dell’Eurozona, detto di Maastricht (qui di seguito “Maastricht-Compliant Debt” o MCD). Per finanziare questi pagamenti (o riscatti), la BCE emetterebbe suoi propri bond (BCE-bond) a suo nome, garantiti soltanto dalla BCE ma rimborsati totalmente dagli stati-membri (a nome dei quali la BCE li ha emessi). Ecco come: a fronte dell’emissione dei bond BCE, la BCE simultaneamente apre un conto debitore per ogni stato membro partecipante, nel quale quest’ultimo è legalmente vincolato a depositare (per coprire il valore facciale e le cedole dei bond BCE). Ma cosa succede a chi sta dietro ai bond BCE nel caso uno stato membro faccia default? Per prima cosa, i conti debitori degli stati membri presso la BCE godrebbero di quello che si chiama stato di super-seniority rispetto a tutti gli altri debiti (ovvero, lo stato membro li ripagherà per primi qualora non potesse ripagare tutti i suoi debiti). In secondo luogo, il Meccanismo Europeo di Stabilità a fronte di un default importante assicurerebbe il rimborso per mezzo del conto debitorio di ogni stato membro partecipante. In definitiva, gli stati membri godrebbero di una grossa riduzione dei tassi di interesse (avendo rifinanziato il loro MCD a tassi bassi sotto la garanzia dalla BCE) senza alcun costo per la BCE o … per la Germania. Invece di monetizzare il debito, o costringere i contribuenti tedeschi a pagare il debito di altre nazioni, la BCE giocherebbe il ruolo di intermediario tra gli stati membri e i mercati monetari, con la copertura del MES. In più, l’emissione di bond BCE aiuterebbe a creare un grande mercato di capitali mobili per i titoli di credito europei che farebbe progredire le riserve dell’Euro.

3) Un Programma di Convergenza e Ripresa guidato dagli Investimenti, per fare in modo che i risparmi europei inattivi si spostino verso investimenti produttivi e, più in generale, per riciclare i surplus globali in intraprese di miglioramento in quelle parti dell’Europa che più ne hanno bisogno. Per far ciò a un livello paragonabile al New Deal rooseveltiano del 1933-1937, tutto ciò che l’Europa deve fare è potenziare la Banca Europea per gli Investimenti (BEI) per amministrare un programma di investimenti che utilizzi la sua capacità a lungo trattenuta di emettere suoi propri bond (mobilitando così risparmi inattivi, a fine di investimento) per coprire il 50% di un massiccio programma pan-europeo di investimenti. Dal canto suo, la BCE si farebbe carico, a nome dell’Eurozona, del rimanente 50% degli investimenti della BEI. E’ questo il modo per iniettare investimenti nella malandata Eurozona senza chiedere al contribuente tedesco di pagare il conto.

4) Un Programma di Emergenza di Solidarietà Sociale, che venga incontro alle necessità basilari causate dalla crisi e finanziato da somme attualmente accumulate nelle viscere del sistema di banche centrali europee e generate dalle stesse asimmetrie che sono la causa della crisi [2].

Quattro politiche per affrontare quattro crisi europee intrecciate, ognuna coinvolgente istituti già esistenti e che non richiedono cambiamenti nei Trattati, o garanzie tedesche o di altre nazioni, né stimoli basati sulle tasse o monetizzazione da parte della Banca Centrale, insomma nessuno di quegli impegni che la “famiglia europea”, la Germania in particolare, è chiaramente impreparata ad affrontare.

Se la Merkel è seriamente interessata al suo lascito, dovrebbe adottare queste proposte. Ciò farebbe diventare il suo terzo mandato sinonimo di quella revisione di cui l’Eurozona ha disperatamente bisogno, senza ipotecare il futuro PIL tedesco o impegnarsi in un oppressivo “matrimonio” federale che non è voluto né dalla Francia né dalla Germania. Tutto ciò che è richiesto è una ragionevole revisione dei compiti delle istituzioni europee.

Ciò che manca è solo la volontà. “Ma perché?”, vi sento chiedere.

La triste risposta sta nel regno della politica. La tragedia europea è che quelli che hanno il potere di riprogettare, e quindi aggiustare, il sistema Euro, come la Merkel al suo terzo mandato, rischiano di perdere molto potere negoziale nell’Eurozona, se lo fanno. In termini succinti, se la signora Merkel usasse il suo potere per mettere a posto l’Eurozona secondo le linee che abbiamo sopra illustrato, sciuperebbe l’esorbitante potere del Cancelliere tedesco (nell’ambito del Consiglio d’Europa) di imporre la politica al resto dell’Europa. Così, difficilmente lo userà nel suo terzo mandato, col risultato che la perfettamente salvabile Eurozona si sta sgretolando attorno a noi. Con costi umani immensi e a beneficio di delinquenti come Alba Dorata.

Epilogo

Lo scorso luglio ho pubblicato un articolo su Handelsblatt che invocava una Germania egemonica piuttosto che autoritaria. Provenendo da un autore greco che si oppone veementemente all’attuale politica tedesca, l’articolo ha provocato consistenti reazioni. Ma il mio argomento era semplice. Se l’Europa vuole prevenire la sua disgregazione, la Germania deve adottare un ruolo egemonico simile a quello giocato dagli Stati Uniti dopo la II Guerra Mondiale. La Merkel ha l’opportunità di farlo adottando politiche come quelle della nostra Modesta Proposta, senza alcun costo per i contribuenti tedeschi e con benefici giganteschi per l’Europa e, per estensione, la Germania stessa. Ma, ahimè, temo veramente molto che non lo farà. Al contrario, non si svincolerà dall’attuale politica di “estendere (la crisi) e pretendere (di starsene fuori)”.

Se succederà ciò, il suo terzo mandato passerà alla Storia come un’opportunità tragicamente mancata.

Note

[1] “Estendere e pretendere” è lo schema favorito dalle banche quando vogliono nascondere il fatto che qualche prestito importante che hanno concesso a imprese o a stati è virato a “non-performing”. Piuttosto di ammettere di aver perso i soldi ed essere costretti a cancellarli come cattivi prestiti, garantiscono un secondo, un terzo e un quarto prestito alla parte che, di fatto, è già in default. Così “estendono” i prestiti e “pretendono” che siano onorati.
[2] Mentre parliamo, in ogni istante un portoghese compra una Volkswagen o un greco spedisce i suoi risparmi in una banca tedesca (per paura che la sua banca greca fallisca) e il Sistema Europeo di Banche Centrali registra (in un sistema di accounting chiamato TARGET2) un attività per la Banca Centrale Tedesca (Bundesbank). Alla fine di ogni anno, le Banche Centrali di Portogallo e Grecia pagano gli interessi alla Bundesbank su queste passività (che ovviamente per la Bundesbank sono attività). Questo interesse che si accumula è il riflesso degli squilibri nell’Eurozona e peggiorano sempre più col divampare dell’Euro Crisi. La nostra modesta proposta, rispetto a ciò, è che questi pagamenti sugli interessi, che sono semplici riflessi della Crisi, si incanalino nel finanziamento dei bisogni basilari di cibo ed energia delle vittime della Crisi. Si noti che nemmeno un centesimo di questi soldi proviene dai contribuenti tedeschi. Tutto ciò che proponiamo è che il Tesoro tedesco (che oggi è l’approdo finale di questi pagamenti sugli interessi) non tragga beneficio dalla sofferenza dei popoli della Periferia.