Lampedusa. Questa Europa si nutre di schiavi, mentre proclama diritti

Lara Ricciatti
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L’indignazione é un sentimento che dovrebbe essere riservato a chi non ha il potere di cambiare le cose. Per gli altri può esserci solo il rimpianto, di non aver scelto o di aver deciso male. Siamo stanchi di piangere morti. Siamo stanchi di riuscire a parlare di immigrazione solo in occasioni tragiche, mentre assistiamo, con indifferenza, alla continua strage di diritti umani che impunemente si compie ogni giorno nei CIE.

In una giornata amara come questa, dove siamo colpiti da una tragedia enorme nelle acque di casa nostra, abbiamo il dovere di esprimerci con chiarezza e determinazione, provando a fare quello che una classe politica dovrebbe fare: guardare verso un orizzonte più ampio. Invocare l’aiuto dell’Unione europea nella gestione del fenomeno migratorio, ha sempre avuto il sapore dell’alibi per mascherare le proprie inefficienze. Veniamo da anni in cui gli italiani hanno accettato che la condizione di migrante fosse di per se un reato, dimentichi del nostro recente passato (e del nostro presente).

Pretendiamo che l’Europa non lasci sola l’Italia ad affrontare la marea di disperazione che viene dal sud, ma lo stato centrale fa la stessa cosa con le proprie “terre di confine”, come Lampedusa. Abbiamo accumulato un forte deficit di credibilità su questo tema, che possiamo recuperare soltanto in due modi: cancellare immediatamente la legge Bossi-Fini e le tante “prigioni di Guantanamo” sparse per la penisola; proporre all’Europa un piano credibile per l’integrazione e la gestione dei flussi migratori.

É evidente che la politica di stampo leghista (ma condivisa anche da altri, anche a sinistra) non funziona. Sbarrare le porte non ha mai fermato nessuna migrazione, perché si migra, si scappa per forze maggiori: la fame, la guerra, la speranza.

Ma anche le politiche europee non sono esenti da critiche. L’Europa risponde al fenomeno della migrazione con il Frontex (peraltro con scarsi strumenti), vale a dire l’Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell’unione europea. Che tradotto vuol dire: rafforzamento del controllo delle frontiere, pattugliamenti, rimpatri. É evidente che non si possa accogliere tutti, ma é altrettanto evidente che questo modo di gestire il problema é troppo costoso, in termini di vite umane (per i migranti), di dignità (per noi). Ragioniamo, invece, su un ufficio europeo per l’immigrazione nei posti di confine, di un Italia porto d’Europa verso il sud. Condividiamo i problemi, saremo più forti nel cercare le soluzioni.

Ed invece l’Europa politica continua a percepirsi solo come un mercato. Sceglie di essere austera, ignorando la fame dei suoi cittadini, sceglie di essere invalicabile con chi cerca una opportunità. Le politiche di controllo delle frontiere, così come sono concepite oggi non fermano le persone, ma i loro diritti. Le nostre pagine di cronaca sono colme di sfruttamenti e di morti di lavoratori senza nome e dalla nazionalità incerta. Questa Europa si nutre di schiavi, mentre proclama diritti. Lo ripeto in ogni sede oramai, perché da qualunque punto si parta si arriva allo stesso nodo: trasformare l’Europa dei mercati nell’Europa dei cittadini.

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Devono cambiare le nostre leggi, il nostro sguardo, le nostre priorità , la nostra economia, la nostra accoglienza…

Daniela De Robert

Ora sono tutti d’accordo. Questi morti non ci dovevano essere. Gli altri, i 25mila degli ultimi 20 anni invece potevano andare. Era necessario che morissero in massa sotto i nostri occhi, a centinaia, giovani, uomini, donne, bambini perché l’Italia, l’Europa e il mondo aprissero gli occhi su questo dramma umanitario che ha trasformato il Mediterraneo in un gigantesco cimitero senza croci, senza lapidi, senza nomi e senza memoria.

Le ripetute richieste di aiuto e di intervento del sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini sono state accolte dal Papa, ma non dal governo italiano, che adesso si affretta a rendere omaggio alle vittime, a proclamare il lutto, a piangere su quelle vite finite. Troppo presi da lotte politiche che poco hanno a che vedere con la vita della gente, italiana o straniera che sia, nata qui o sbarcata nella speranza di rinascere.

E’ troppo poco ed è troppo tardi, verrebbe da dire. Ma forse non sarà troppo tardi per i prossimi. Forse, se i governi e le istituzioni nazionali e sovranazionali faranno sul serio, questa tragedia potrebbe servire a ripensare le politiche migratorie, finora più orientate alla protezione delle frontiere, alla sicurezza della fortezza Europa, al respingimento di quegli uomini e quelle donne i cui corpi oggi sono allineati sul molo di Lampedusa o sepolti nel piccolo cimitero dell’isola o sono stati accolti dal mare. Quegli stessi per i quali oggi l’Italia proclama il lutto nazionale. Quei bambini privati del diritto a crescere e a diventare adulti.

“Loro non smetteranno, loro non si fermeranno” dice Giusi Nicolini. Dobbiamo cambiare noi. Ha ragione il sindaco. Devono cambiare le nostre leggi, il nostro sguardo, le nostre priorità , la nostra economia, la nostra accoglienza, la nostra sensibilità , la nostra politica. Dobbiamo cambiare noi. E in fretta.

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Se rimani muori, se parti sai che potresti morire

Sabrina Ancarola

Se rimani muori, se parti sai che potresti morire. Decidi di andare, di vendere quel poco che hai, di prestare la tua vita agli aguzzini perché se c’è una minima speranza di vivere devi sfruttarla per te e per i tuoi figli. Allora sali su un qualsiasi mezzo che ti potrebbe portare dall’altra parte e passi giorni di fame, di freddo, di morte sempre in agguato.

Se riesci ad arrivare rischi di essere rinchiuso in una cella, trattato come un criminale, ma forse, se sarai liberato e non sarai rispedito nell’inferno da cui provieni, potresti anche costruirti una vita dignitosa.
19.800 sono i migranti morti nel Mediterraneo dal 1988 ad oggi , 19.800 uomini, donne e bambini che sognavano, come tutti, una vita migliore. Ascanio Celestini ieri su Il Fatto aveva scritto: “A Lampedusa ci sono due buche, una per i vivi e una per i morti” le due buche sono il cimitero e il centro per l’accoglienza degli stranieri.

Oggi leggo dell’ennesima tragedia in mare, al momento si contano 93 morti e 250 dispersi, leggo di testimoni che descrivono scene di terribile sofferenza, leggo di chi ha tentato di tutto per salvare dalla morte donne incinte, bambini e uomini e leggo anche i deliri razzisti di un esponente della Lega.

Leggo i commenti degli italiani brava gente, il solito adagio che inizia con “io non sono razzista ma”.
Leggo l’appello del Papa, quello di Napolitano e quello di Letta, il solito appello che fa richiamo alla responsabilità dell’Europa.

Quanto odio dev’essere ancora rilasciato dalle menti ottuse che non accettano che il mondo dovrà cambiare in ogni modo nonostante i loro richiami ad un patetico patriottismo?

Quanti dovranno ancora morire nei nostri mari prima che si decida di cambiare l’insensata rotta di un sistema capitalistico che porta solo alla distruzione delle persone e delle risorse del pianeta?