40 anni cdb S.Paolo – La relazione di Maria Immacolata Macioti

A quaranta anni dalla fondazione

Maria Immacolata Macioti

Premessa

Devo in primo luogo dire che mi ha fatto piacere questo invito da parte della Comunità di S. Paolo a parlare nel quarantesimo anniversario della sua nascita. Tanto più che non ho mai fatto parte di questa né di altre Comunità di Base, pur conoscendo e avendo un po’ seguito, dall’esterno, la nascita di queste istanze.

Vengo da una famiglia cattolica, vicina, all’epoca, al Vaticano. Mio padre era cameriere segreto di Sua Santità; Luigi Traglia, che è stato cardinale e vice gerente di Roma, era un suo amico d’infanzia. Ai miei fratelli ed a me è quindi occorso di averlo come officiante per battesimi e cresime, per la celebrazione dei nostri matrimoni. Più volte da ragazzina ho accompagnato mio padre a ricevimenti in casa Sacchetti a Via Giulia, frequentati da alti prelati. Conoscendo queste mie origini, il professor Ferrarotti, con il quale mi ero laureata, mi ha proposto di fare una ricerca sull’élite religiosa, nell’ambito di una più vasta sua ricerca sulle diverse élite al potere. La cosa, inutile dirlo, mi ha molto interessata e ho risposto subito positivamente, immaginando che non mi sarebbe stato difficile orientarmi in merito. Per vari motivi ho poi circoscritto la ricerca ai vescovi del Piemonte e del Lazio. Tra quelli del Piemonte ho così conosciuto e incontrato Monsignor Luigi Bettazzi vescovo di Ivrea, il cui pensiero mi era sembrato già molto interessante prima di questo incontro.

Non ho avuto difficoltà neppure con i vescovi del Lazio –avevo una lettera di presentazione di monsignor Salimei, del Vicariato di Roma- e ho così conosciuto dom Franzoni, all’epoca abate di S. Paolo fuori le Mura, il più giovane tra i miei intervistati, all’epoca. Mi ricordo distintamente di lui come di una figura di particolare interesse, attento alle problematiche contemporanee e al sociale. Con Franzoni avevamo potuto parlare, allora, anche degli scout, movimento che ben conoscevo nella sua versione femminile, avendo fatto parte per anni e anni dell’AGI, Associazione Guide Italiane.

È quindi ovvio che le sua vicende, le difficoltà vissute dalla comunità di S. Paolo già nei primi tempi di vita abbiano attirato la mia attenzione. Cominciavo ad occuparmi di Sociologia della Religione: un fenomeno come quello delle Comunità di base non poteva non interessarmi moltissimo. Ero tra l’altro andata per qualche giorno all’Isolotto, ospite di un loro membro, mi sembra si chiamasse, di cognome, Protti , apprezzando l’impegno della comunità in senso ecclesiale ma anche sociale, seguendone lo scontro con il cardinal Florit.

Stavo vivendo, in quegli anni, in un clima culturale ben diverso da quello della mia infanzia e giovinezza. Prendevo atto della stratificazione della società, dell’esistenza della lotta di classe, del fatto che esistevano intellettuali che sembravano voler sposare la causa del proletariato. Percepivo la chiesa cattolica, nei suoi vertici, come strettamente legata al potere. Sempre più difficile mi sembrava scorgervi legami stretti con l’insegnamento di Gesù in Galilea, per come ci era stato tramandato.

La mia maturazione portava decisamente verso una impostazione laica, laddove la Comunità di S. Paolo sembrava invece percorrere sentieri analoghi ma sempre restando nell’alveo della appartenenza religiosa. Negli anni ho poi incontrato più volte Giovanni Franzoni: al Convegno sui mali di Roma, che all’epoca aveva aperto molte speranze, presso la Idoc, a Com Nuovi Tempi e poi in relazione a qualche attività con la rivista “Confronti”, la stessa testata che ha poi favorito una mia ripresa di contatti anche con Luigi Sandri e con altri della Comunità di S. Paolo. Ho incontrato Franzoni in un convegno, anni fa, in Campidoglio. Era oggetto di dibattito la costruzione di una cinquantina di nuove chiese a Roma. A me non sembrava ce ne fosse tanto bisogno: semmai pensavo, si sarebbe potuto pensare a luoghi deputati ad incontri tra diverse religioni. Franzoni prese la parola ipotizzando luoghi in cui fossero presenti elementi simbolici basilari di varie religioni, quali ad es. l’acqua, il fuoco. Senza esserci parlati in precedenza, senza alcun accordo precedente, siamo stati in quell’occasione i soli due relatori che non avessero speso parole a favore della erezione delle nuove chiese cattoliche, poi puntualmente realizzate.

Tutto ciò per dire che vi ringrazio per questa occasione di essere con voi in un anniversario importante come quello dei 40 anni, a riflettere con voi sulla vostra storia e sull’impatto che queste vicende hanno avuto o non hanno avuto sulla più vasta società.

Tipicità/atipicità

Entrando nel vivo del discorso vorrei da subito dire che ci sono stati e ci sono aspetti tipici e altri atipici, mi sembra, nella vostra esperienza. Tra gli aspetti tipici, condivisi, quello del riunirsi della comunità intorno a un personaggio carismatico: Franzoni, in questo caso; altrove, un don Mazzi o altri. Una caratteristica, dicevo, condivisa tra le Comunità di Base, in comune con molti altri gruppi religiosi e spirituali dei nostri giorni. Il che pone subito un qualche interrogativo circa la possibilità di questa e di altre realtà consimili ad andare avanti, a continuare a crescere, a rafforzarsi pur nell’assenza, prima o poi inevitabile, del leader carismatico.

Ma nel caso della Comunità di S. Paolo mi sembra interessante ed atipico il processo di separazione dalla gerarchia vissuto da un gruppo di credenti con il proprio vescovo: un caso credo unico, almeno in Italia, quello di un vescovo che preferisce la condivisione con coloro che la pensano in modo analogo al suo su temi basilari quali la scelta dei diseredati, degli oppressi, ma anche dell’importanza di un certo pluralismo pur all’interno della chiesa con riguardo ad esempio alle scelte politiche, alla libertà di espressione.

E poi, a Roma. Perché va bene Firenze, vanno bene altre città. Ma Roma non è solo la capitale dello stato italiano ma è la sede del Vaticano, della curia. E sono lontani i tempi della messa in discussione della curia come struttura di potere da parte di un pontefice, ammesso che questa linea si traduca poi in dati di fatto. Comunque, aprire una comunità del dissenso proprio a Roma, nel centro della struttura di potere del cattolicesimo è stato certamente un atto particolare, del cui impatto forse i fedeli stessi si sono accorti con il tempo: o almeno lo immagino.
La Comunità di San Paolo è nata intorno alla condivisione di interessi sia per il sociale che per tematiche più decisamente religiose. I grandi temi dell’epoca, l’America Latina, il Vietnam ecc. sono stati certamente interessi condivisi, hanno attratto interesse, suscitato confronti, dibattiti.

Si è trattato di un processo di maturazione vissuto insieme dal Vescovo e dai laici che ne condividevano idee e presupposti. Momento determinante, di rottura, la lettera pastorale La terra è di Dio (luglio 1973). Che non poteva particolarmente piacere alla borghesia dell’epoca. Una lettera pastorale che ha potuto scrivere e rendere pubblica avendo maturato la decisione delle proprie dimissioni.

Ma non solo di temi sociali quali la povertà e l’esclusione si occupa la giovane Comunità, che affronta presto problematiche quali la riforma della chiesa ma anche tratta tematiche di tipo liturgico, parla di riforma liturgica e, nel 1972, partecipa ad incontri biblici. Non solo: la comunità ha preso posizione contro il Concordato tra Chiesa e Stato, che privilegia la chiesa cattolica sulle altre. Contesta l’idea stessa di un unico partito di cattolici, la DC. Prenderà posizione, pubblicamente, a favore del divorzio.

Un lungo percorso

Franzoni ha già lasciato l’Abbazia di S. Paolo, o meglio ha dovuto lasciare l’abbazia di S. Paolo, la stessa comunità ha lasciato la basilica, quando c’è il Convegno diocesano sui mali di Roma (12-15 febbraio 1974), un fatto notevole, all’epoca, seguito con grande interesse anche da vari sociologi. Io certamente ho potuto essere presente, seguire le attività di Mons. Luigi Di Liegro, l’intervento di Franzoni. Era uscito da poco il libro di Ferrarotti Roma da capitale a periferia (Laterza 1971), in cui si denunciavano i responsabili di speculazioni selvagge. Il sociologo parlava con chiarezza delle responsabilità di ordini religiosi (v. i salesiani), della chiesa: il convegno è stato visto, è percepito inizialmente come un indicatore di una volontà di interrogarsi in merito, di correggere questa scandalosa situazione.

Però contemporaneamente don Sardelli , che aveva aperto la scuola popolare all’Acquedotto Felice e gli altri che avevano firmato con lui la Lettera ai cristiani di Roma, don Gerardo Lutte, all’epoca salesiano, troppo vicino ai borgatari di Prato Rotondo, lo stesso don Franzoni sono oggetto di atteggiamenti ostili; si nega loro, nella sostanza, ascolto. Problemi di giustizia e di carità, annuncia il Cardinal Poletti. Chiamato a fare la relazione di base, nella fase preparatoria, un sociologo cattolico, De Rita, che annualmente presenta ancora oggi lo stato del paese cercando sempre immagini sfolgoranti, che attirino l’attenzione, mai mettendo in dubbio gli equilibri esistenti, gli interessi costituiti. Che, all’epoca, non ha mai chiamato in dubbio le responsabilità della chiesa in quanto tale. Discuterà, certamente, della speculazione a Roma: ma questo potrà al più riguardare qualche singolo prelato mal consigliato, non certo i vertici della chiesa. Gli interventi privati, la linea di supplenza non vengono messi in discussione.

Comunque, come dicevo, la Comunità di S. Paolo è pienamente partecipe delle fasi preparatorie, è presente durante le giornate di dibattito. Prende posizione con le altre Comunità di Base, ripropone il documento di Franzoni La terra è di Dio.

La relazione finale di Tavazza apre molte speranze, poiché riprende critiche alla preparazione del convegno, riprende il duro giudizio sulla disumanità del capitalismo, la richiesta di un maggiore coinvolgimento della comunità ecclesiale, la richiesta di rinnovamento della pastorale.

Di diverso tenore, più diplomatica, come verrà notato da più parti, la relazione conclusiva del cardinal Poletti, in cui si sottolinea la natura religiosa e sociale insieme del convegno.
Pochi in effetti saranno poi e poco sostanziali i mutamenti derivati da questo generoso sforzo.

Non è certo possibile ripercorrere passo passo la vita della Comunità, e del resto è stato già fatto egregiamente da Davide Palumbo e da altri: ma mi sono soffermata sul convegno sui mali di Roma proprio perché era stato vissuto da molti come un periodo particolarmente significativo, di grandi speranze. Presto ridimensionate.

Ricorderò brevemente la questione della legge sul divorzio e il relativo referendum abrogativo, l’essersi questa comunità schierata decisamente a favore di un no all’abrogazione della normativa, cioè a favore del rispetto dell’autonomia dei cattolici e anche del rispetto di uno stato laico. Non stupisce che dopo le sue pubbliche prese di posizione in merito, Franzoni sia stato sospeso a divinis. Fa piacere ricordare l’indignazione condivisa, in merito, tra molte testate cattoliche e dalla Federazione delle Chiese evangeliche italiane. Né stupisce che si sia giunti ben presto alla riduzione allo stato laicale, il 2 agosto del 1976 . Misura che colpirà anche Luigi Sandri, dei dehoniani.
Da allora ad oggi è continuata l’esperienza della comunità, che ha aperto ancora confronti con altre consimili realtà italiane, aiutato la conoscenza di libri di credenti scontenti della curia e di una gestione di potere da parte dell’istituzione ecclesiastica, ribadito la propria convinzione circa il pluralismo politico, e prendendo posizione anche per la libertà di voto nel referendum 17 maggio 1981 sull’abrogazione della legge sulla interruzione volontaria della gravidanza.

Ricordo ancora la durezza degli scontri, all’epoca, il fatto che molte donne che non ne avevano mai avuta la necessità avevano dichiarato, in pubbliche manifestazioni e cortei, di avere aborto. Alla facoltà di Magistero dove all’epoca era incardinata Sociologia avevamo organizzato un dibattito in merito, e ricordo che io stessa avevo preso la parola per dire che non capivo perché mai i cattolici avrebbero dovuto imporre a chi non aveva la loro stessa posizione il non poter ricorrere a questo mezzo estremo, che certamente nessuna donna avrebbe preso alla leggera. Si capiva che una donna cattolica convinta delle proprie scelte non volesse abortire. Ma perché negare questa possibilità a donne poco fortunate, che non condividevano le stesse convinzioni?

Recentemente sul n. 32 di “Adista notizie” è uscito un pezzo dedicato alla “Comunità cristiana di base di S. Paolo: 40 anni, un soffio. Di concilio”, a firma di Valerio Gigante. In esso si ricordano i vari fronti su cui, negli anni, si è impegnata la comunità, sempre dalla parte del rispetto degli altri, come nei casi Welby ed Englaro. Si ricordano le pubbliche prese di posizione contro la guerra, a sostegno delle ragioni dei palestinesi e di Gaza; il contrasto alla campagna del Card. Ruini per l’astensionismo, nel 2005, sul referendum per la legge 40. Si dà conto delle tante attività tuttora in piedi, in difesa di categorie in difficoltà come quella dei cittadini con handicap, degli anziani, dei tossicodipendenti e ancora un laboratorio di religione, un gruppo biblico, un gruppo donne: non certo superflua oggi, in Roma, una riflessione di genere, visto le uccisioni di donne che pesano sulla città, e non solo.
Si dice, in sintesi, che questa Comunità ha continuato ad essere attiva, non ha rinunciato ad avere una propria visione critica sulla chiesa e sul mondo di oggi.

Di più, ci dice che è riuscita –cosa non semplice e piuttosto unica- a mantenere saldi i rapporti con il territorio: cosa che non hanno saputo o potuto fare, ad esempio, i partiti politici della sinistra: la celebre scuola di Frattocchie è ormai uno sbiadito ricordo destinato alla scomparsa. Se mai qualcuno ancora la ricordasse.
Tutto bene, allora?

Qualche appunto

Diciamo che il libro di Palumbo aveva evidenziato già alcuni punti su cui, nel tempo, la Comunità ha poi avuto ripensamenti, tra cui un certo schematismo interpretativo, posizioni forse ingenuamente marxiste ecc. Non è su questo che vorrei tornare. Vorrei invece sottolineare alcune fragilità attuali o, almeno, quelle che a me appaiono tali.
In primo luogo, come accade in ogni piccola realtà che è nata e si è sviluppata intorno a un amata figura di riferimento, il rischio è quello di non riuscire a prescinderne, di non riuscire a sviluppare discorsi e comportamenti successivi, a partire da quelli già condivisi. In un altro campo, quello dei NMR, stiamo interrogandoci in molti su quel che accadrà di Damanhur, una federazione di comunità fondata da alcune persone in Piemonte, a partire da un sogno, dalla volontà di Oberto Airaudi, ricordato come il fondatore e la guida, fino alla sua scomparsa nell’estate 2013. Riuscirà Damanhur ad andare avanti, a continuare a svilupparsi, ad accrescersi e consolidarsi, priva del suo amato capo carismatico?

Si tratta di un problema largamente condiviso, che attiene anche ad alcune importanti CdB come quella dell’Isolotto, come quella di S. Paolo. Don Ciotti, don Mazzi, don Gallo, Franzoni sono stati punti di riferimento importanti. Riusciranno, le comunità da loro fondate, in un futuro che si spera lontano, a vivere una piena esistenza al di là dei fondatori?

La trasmissione

Un ulteriore problema che intravedo, ma non ho dati circa la struttura della Comunità e non sono quindi certa di quanto vado dicendo, è quello della trasmissione. Certamente, 40 anni di attività sono tanti, c’è da rallegrarsi di questa lunga durata. Ma forse sono state soprattutto figure storiche che hanno portato avanti il dibattito, le attività, gli impegni. O c’è stato un ricambio generazionale? Perché questo sarebbe essenziale, se si vuole pensare a una continuità ulteriore nel tempo, a impegni futuri per i prossimi decenni, quando i fondatori saranno forzatamente meno presenti, meno attivi. E, di nuovo, si tratta di un problema condiviso con le altre CdB., in genere con ogni comunità e piccolo gruppo che si basa sul volontariato e non è inserito in una vera e propria ottica organizzativa e istituzionale.

La comunicazione, la visibilità

Ultimo punto, anche questo non specifico della Comunità di S. Paolo ma condiviso, mi sembra quello della comunicazione, della visibilità. Che nella odierna società dell’immagine è di grande rilievo.

Quello che la Comunità ha fatto e continua a fare è certamente noto ai suoi membri, è noto al più ampio settore dei cattolici del dissenso, delle chiese evangeliche. Ma dubito che se ne sappia molto, oggi, al di fuori di questo ambito. Nella più vasta società, negli ultimi venti anni, l’attenzione è stata soprattutto appuntata su altri fenomeni. Le avventure o disavventure di Berlusconi, quello che pensavano la Santanché o Lupi o altri ancora, il timore per la sicurezza, tema molto sottolineato in funzione anti-immigrati dall’allora Min. Maroni, e simili. Non è stato possibile un normale dibattito civile su temi di interesse per il paese, mi sembra. Si è forse discusso fino in fondo il mondo delle scuole, dell’intercultura? Il ruolo delle università, uscite piuttosto svilite dalla riforma Gelmini? Università in cui oggi sono a rischio proprio le facoltà umanistiche, quelle meno direttamente collegate ad aziende finanziatrici, ammesso che si voglia davvero un modello in cui sono i fondi privati a determinare gli studi e le ricerche. Si è forse aperto il dibattito, fino a tempi molto recenti, sul pensiero di importanti teologi, un tempo celebri? Sul ruolo delle CdB?

Si è vissuto in un clima di pesante normalizzazione, sia con riguardo alla società civile che alla chiesa intesa nel senso ampio di “popolo di Dio”. E a questo ha certamente contribuito l’operato del Card. Ruini, l’alleanza troppo a lungo protratta tra Vaticano e Berlusconi, sempre difeso fino a tempi recenti, per quanto indifendibile. Non stupisce che in questo clima la sociologia abbia vissuto un certo declino, che le CdB. siano pressoché scomparse dallo scenario pubblico.

Credo però che sarebbe molto importante, proprio in un’epoca come quella in cui stiamo vivendo, che ci si sforzasse da parte della Comunità di S. Paolo così come da altre CdB. di uscire da un cerchio conchiuso, di portare a un più ampio pubblico istanze, temi, riflessioni del paese reale.

Credo sarebbe importante uno sforzo del genere da parte della comunità: importante per voi ma anche per noi tutti.
Non è, questa, un’epoca propizia; è pressoché scomparsa anche la sociologia, almeno la sociologia critica, mentre nelle parole di Letta uscito da una delle più gravi bufere risuonava, una volta di più, non casualmente, una citazione di Benedetto Croce. L’Italia è un paese in cui si preferisce lo schema teorico onni-riassuntivo la bella frase tornita alla ricerca sul campo. Le proprie idee alla realtà. L’accordo Vaticano-Stato italiano, al dissenso motivato.

La Comunità di S. Paolo, che tanto si è impegnata a favore delle frange più deboli della società, credo dovrebbe oggi ripensare con forza a un proprio ruolo di sensibilizzazione e di comunicazione. È certamente importante ed ammirevole quanto è stato già fatto, il percorso compiuto, la durata. Ma temo che mai come oggi i tempi richiedano un rinnovato impegno. Altrimenti, il rischio è quello di una piccola isola felice di democrazia in un paese dove questo termine ha perso significato e viene utilizzato solo strumentalmente, in modo altamente demagogico.

Sarà possibile tutto questo, un allargamento del dibattito, un più ampio confronto con la chiesa nel suo insieme, con la società? Qualche spunto positivo sembra oggi di intravederlo. SDembra tramontato il sogno di un Ratzinger circa il ritorno a una chiesa pre-Riforma; proprio grazie alle sue dimissioni si è verificata una certa de-sacralizzazione della figura del pontefice. Sembra caduta ogni ipotesi di combattimento contro il liberalismo, contro il relativismo. Qualche speranza forse c’è.