40 anni cdb S.Paolo – l’articolo di Riforma

Quarant’anni a San Paolo

Gianna Urizio
Riforma, n° 39 del 18 ottobre 2013

La sala è affollata e fa caldo, nonostante ventilatori e finestre aperte. Si vogliono ricordare e celebrare i quarant’anni della Comunità di base di San Paolo a Roma. Membri della comunità, amici e amiche, nuovi soggetti che in questo spazio hanno trovato possibilità di esistere e solidarietà: associazioni di immigrati, come gli afgani, di disabili, di gruppi di solidarietà con i palestinesi, scuole di italiano, gruppi di teatro, una miriade di realtà che costituiscono la varietà della società civile di oggi. Assenti i partiti.

Domenica 2 settembre 1973 un gruppo di cattolici della Basilica di San Paolo fuori le Mura, seguendo l’abate, celebrarono per la prima volta la messa in questi locali. Veniva così sancita la rottura. Nasceva la Comunità di base di San Paolo. Ma da anni un gruppo si incontrava il sabato per preparare insieme al giovane abate l’omelia della domenica, seguita poi in basilica da più di 3000 persone. Un percorso comune, in quegli anni, a molte realtà cattoliche sparse in tutta Italia, dalle Puglie a Pinerolo, dalla Sicilia a Genova, passando per Roma e Firenze, che avevano seguito con interesse il Concilio Vaticano II e da lì avevano preso le mosse per rinnovare «dal basso» la chiesa. Non costruire un’altra chiesa ma una chiesa «altra», per citare una celebra frase di Don Franzoni.

Tutte queste realtà colsero di sorpresa le gerarchie ecclesiastiche, inizialmente titubanti ma alla fine convinte a combattere questo virus che stava infettando la Chiesa cattolica. Si trattò di un movimento entusiasta, tumultuoso, disordinato e spontaneo, spesso – come ha ricordato la sociologa Maria Antonietta Macioti dell’Università di Roma – organizzato attorno a un leader. E l’abate della Comunità di San Paolo, Giovanni Franzoni, lo fu per questa comunità.

Nell’incontro è stato ripercorso il lungo cammino compiuto: dall’uscita dalla basilica alla partecipazione della rete di comunità di base, l’impegno civile e politico: erano gli anni del dibattito sul divorzio e poi sull’aborto, che costò a Giovanni Franzoni, e al gruppo di sacerdoti che lo seguirono, dapprima la sospensione a divinis e poi la riduzione allo stato laicale, ma anche la diffusione delle teologie della liberazione, di cristiani per il socialismo e una lunga stagione che avvicinò i protestanti a questo percorso, in un dialogo e dibattito forte e importante, che ci cambiò tutti e produsse quell’esperienza ecumenica che fu il giornale Com – Nuovi tempi, oggi Confronti. Un percorso che ha sempre intrecciato riflessione teologica a partire dalla propria fede e un impegno civile. Un dibattito che è andato evolvendosi con l’evolversi dei temi della nostra società.

Così dalle battaglie sul divorzio a – in anni più recenti – il dibattito sulla pace, sul fine vita e sul testamento biologico, la legge 40, l’immigrazione e l’impegno per la solidarietà con i popoli oppressi. Molte sono state le testimonianze che abbiamo potuto ascoltare: argentini, cileni, uruguaiani, oggi palestinesi, afgani, marocchini. Accanto a queste voci, le testimonianze delle associazioni di disabili, quelle di sostegno ai bambini di strada, Asinitas che insegna l’italiano agli stranieri e lavora sui temi dell’immigrazione e degli sbarchi (chi ricorda il bel documentario finanziato dall’8×1000 valdese Come un uomo sulla terra?), alle quali sono stati offerti spazi di incontro in una società che li dimentica facilmente.

Anche Franca Long, della chiesa valdese di piazza Cavour, ha ricordato la ricchezza del costante confronto che è avvenuto a Roma, tra protestanti e cattolici, grazie al giornale Com – Nuovi tempi, un’impresa ecumenica unica in Italia, non solo su temi religiosi, ma sulla nostra testimonianza di cristiani nella società. Per le donne, infine, Long ha ricordato l’apertura dei temi su l’«Altra metà del cielo», un’intensa riflessione sui temi delle donne nella chiesa e naturalmente nella società.

Un cammino che non si è arrestato, ma, come abbiamo potuto constatare con gioia, continua anche in questi anni dove la solidarietà verso gli ultimi e i dimenticati torna a essere una parola «straniera».