Femminicidio. Ancora una volta altri interessi sul corpo delle donne

Titti Di Salvo
http://27esimaora.corriere.it

Da ieri è legge il decreto “Norme per la sicurezza, di contrasto della violenza di genere, di protezione civile e di commissariamento delle province”. Un nome che dice tanto. È importante chiedersi perché un decreto cosi esplicitamente “Omnibus” viene riconosciuto nel senso comune come decreto ‘contro il femminicidio’.
Le ragioni sono fondamentalmente due.

La prima. Perché grazie al lavoro dei movimenti delle donne e dei Centri antiviolenza, all’impegno del nuovo Parlamento – che ha il maggior numero di donne dall’inizio della Repubblica – e alla determinazione della Presidente della Camera, Laura Boldrini, dall’inizio della legislatura il contrasto alla violenza contro le donne è entrato nel discorso pubblico, che finalmente ne ha riconosciuto la rilevanza politica.

C’è però un’altra ragione. Per furbizia o per scelta, per sciatteria o superficialità, nel decreto questo tema fa da scudo e da velo ad altri temi, che alle orecchie delle persone non sarebbero arrivati con lo stesso impatto positivo. Pochi sanno che il decreto parla dell’uso dell’esercito in funzione di ordine pubblico, del presidio militare dei territori in presenza di grandi opere (la Tav della Val di Susa?), di vigili del fuoco, di furti di rame, di commissariamento delle province.

Comunque sia andata – furbizia, superficialità, scelta – è stato un errore. Ed è stato un errore del Governo.

La scelta di decreti “Omnibus”, che contengono cioè di tutto un po’, non è nuova e da tempo la Corte Costituzionale e il Presidente della Repubblica ne hanno stigmatizzato l’uso fino ad affermare la loro incostituzionalità: perché si chiede al Parlamento di esprimersi con un unico voto su argomenti talmente diversi da determinare giudizi differenti.

In questo caso mettere insieme, nello stesso testo, violenza contro le donne e uso dell’esercito a presidio delle grandi opere da un lato ha avuto il senso di usare il corpo delle donne come schermo dietro cui trascinare gli altri argomenti, dall’altro ha determinato la certezza che il decreto sarebbe stato approvato a maggioranza.

Un errore serio, dunque, perché inevitabilmente quella scelta avrebbe provocato la rottura dell’unità con cui il Parlamento fino ad ora aveva affrontato il tema della violenza.

Certo, se l’approccio è securitario, l’anello di congiunzione tra tutti gli argomenti affrontati è l’ordine pubblico. Ma di questo stiamo parlando? Di questo parla la Convenzione di Istanbul? Temo che al fondo della scelta sbagliata ci sia un equivoco culturale: la violenza maschile contro le donne affrontata con il Codice Penale, nonostante le affermazioni politicamente corrette sulla funzione solo sussidiaria della repressione penale.

Infatti, se è vero com’è vero che le radici della violenza sono profonde e si ritrovano nello squilibrio di potere che esiste nei rapporti tra uomini e donne, in quella incapacità di molti uomini di accettare la libera scelta di una donna, di relazionarsi di fronte a un rifiuto, è dalla scuola, dalla cultura, dall’educazione sentimentale che bisogna partire per cancellare lì gli stereotipi che nutrono quella violenza, che riempono i libri di testo, che affollano gli schermi televisivi e i cartelloni pubblicitari e che cancellano perfino la memoria delle donne che hanno fatto la storia, l’Italia e l’Europa.

Il decreto esce dal Parlamento migliorato in alcune parti grazie anche al nostro lavoro. Continua a non convincerci la soluzione trovata sull’impossibilità di ritirare la denuncia di fronte ad una violenza subita. Non solo perché, come dicono i centri anti-violenza, non aiuta ad aumentare la percentuale molto bassa di denuncie, ma perché fa emergere, con evidenza, l’equivoco di fondo che attraversa il decreto: l’idea di mettere in sicurezza le donne da se stesse.

Il gruppo di Sinistra ecologia e libertà non ha partecipato al voto. Non potevamo pensare di votare a favore del permesso di soggiorno alle donne straniere vittime di violenza, a favore del finanziamento ai centri antiviolenza e contemporaneamente a favore della militarizzazione del territorio della Val Susa. Non potevamo pensare di astenerci sull’irrevocabilità della querela e contemporaneamente astenerci dal giudicare l’uso dell’esercito in funzione di ordine pubblico in quei territori.

Pensiamo che questo sia stato un modo per rispettare il Parlamento e anche la voce di molte donne fuori.