Monaci, laici e credenti contro la chiusura dell’eremo di Ronzano

Luca Kocci
Adista Notizie n. 35/2013

Non chiudete quell’eremo. È l’appello che da più parti – religiosi, laici, gruppi di base – viene rivolto all’Ordine dei Servi di Maria i quali, per decisione del Consiglio della Provincia di Piemonte e Romagna, si apprestano a chiudere l’eremo di Ronzano e a cederlo ad una associazione di reduci giuliano-dalmati, legata sia al priore provinciale dei serviti sia alla Curia di Bologna.

Un eremo “colpevole” di troppo Vangelo

L’eremo di Ronzano – antico convento di origine medievale sulle colline bolognesi dove, nei secoli, si sono succeduti i frati “gaudenti”, i domenicani e poi i Servi di Maria – negli ultimi decenni è stato una punta avanzata della Chiesa conciliare in Italia. Oltre alle attività condotte dalla comunità dei frati – dalla produzione di vino, miele e kiwi all’accoglienza dei gruppi, e poi gli incontri biblici guidati da p. Alberto Maggi e p. Ricardo Perez del Centro studi biblici di Montefano, gli “incontri del mercoledì”, momenti di riflessione, preghiera e condivisione –, l’eremo è diventato luogo di aggregazione e di confronto fra credenti e non credenti, accomunati dalla passione per il bene comune e dal desiderio di fare un pezzo di strada insieme. Ultima iniziativa di questo tipo quella svoltasi a fine settembre: un seminario di tre giorni cui hanno partecipato, fra gli altri, il teologo Vito Mancuso, don Alessandro Santoro della Comunità delle Piagge di Firenze, Flavia Prodi dell’Università di Bologna, Riccardo Petrella dell’Università del Bene Comune di Bruxelles e mons. Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea.

E allora, vista la storia di Ronzano, l’ipotesi – ma è molto più di un’ipotesi – è che l’Ordine dei Servi di Maria, in combutta con la Curia di Bologna del card. Carlo Caffarra, voglia utilizzare l’occasione dell’oggettiva crisi dell’Ordine (15 conventi dal Piemonte alle Marche ed appena una cinquantina di frati) per liquidare con un tratto di penna – quello che cederebbe l’eremo ai giuliano-dalmati – una realtà fastidiosa perché troppo evangelica e troppo conciliare.

Una realtà ecclesiale viva e conciliare

Ad avvalorare questa ipotesi sono anche le dimissioni di p. Pietro Andriotto, rettore dell’eremo, rassegnate questa estate in polemica con le scelte dei vertici del suo Ordine. «La mia posizione è di netto disaccordo sulla metodologia e sulle conclusioni che il Consiglio provinciale sta adottando in relazione al futuro dell’eremo di Ronzano», scrive Andriotto in una lettera indirizzata ai suoi confratelli. «Non condivido quanto il Consiglio provinciale sta facendo, è una presa di posizione, un giudizio sul modo e sul tipo di presenza religiosa portata avanti all’eremo, è la volontà di far “morire” un’esperienza religiosa realizzata in collaborazione con i laici, si vuole annullare una realtà ecclesiale viva e conciliare». E al priore che gli ricorda la «legge dell’obbedienza», Andriotto risponde che «la soluzione più facile per governare una Provincia, un convento, che sfugge di mano, è quella di affermare il principio di autorità e mettere in sordina tutto il resto. La scorciatoia però è un’illusione, perché nessuna autorità è autorevole senza un gruppo che la riconosca. Una gerarchia senza seguitori è come un pastore senza gregge. Compito del governo della Provincia in questo momento storico non è comandare, imporre, ma mediare tra le diverse forme di vita religiosa, tra diverse espressioni di vocazione, coordinare le differenze, unire i diversi, difendere e garantire le diversità, ragionare sui motivi, far convergere i fini, armonizzare presenze e testimonianze differenti in contesti non omogenei».

Ma il Consiglio provinciale sembra non voler tornare indietro e, nella riunione del 2-3 settembre conferma le decisioni: chiusura dell’eremo e affidamento della gestione per tre anni (rinnovabili) all’associazione dei giuliano-dalmati – senza peraltro chiarire nei dettagli cosa farà a Ronzano, se non un generico servizio di accoglienza – di cui uno dei responsabili risulta essere amico personale del priore provinciale, p. Gino Leonardi, nonché assai vicino alla Curia di Bologna.

Quando l’autorità soffoca la ricerca spirituale

A questo punto la notizia si diffonde all’interno dell’Ordine e si moltiplicano i dissensi. «Il p. provinciale ha sempre opposto le esigenze della ristrutturazione della Provincia. Io mi chiedo se realmente la chiusura di Ronzano sia l’esigenza primaria e più urgente della Provincia, e qual è il progetto di ristrutturazione che il Consiglio provinciale sta portando avanti. Si sta cercando veramente una riduzione delle attività dove non abbiamo più persone da mettere (es. parroci) oppure finalmente si è costituita una maggioranza in Consiglio per chiudere quelle comunità, tipo Ronzano, come da tempo alcuni desideravano?», scrive p. Bruno Zanirato in una lettera inviata a tutti i suoi confratelli di Piemonte e Romagna. «Alcune comunità sono più in grado di vivere valori importanti della vita religiosa, quali l’ospitalità, la convivialità, la collaborazione con i laici, ecc. Eliminarle significa privare alcuni frati di una modalità di vivere la scelta religiosa, impoverire la nostra offerta vocazionale ai giovani, oltre che eliminare una occasione di accostarsi alla fede per tanti laici impegnati».

E p. Benito Fusco – allontanato da Ronzano e trasferito a Budrio nel 2009 dopo aver firmato, insieme ad altri 40 preti, un appello «per la libertà sul fine-vita» a seguito della vicenda di Eluana Englaro (v. Adista nn. 37 e 86/09) – scrive a suoi confratelli che all’inizio di ottobre hanno concluso il Capitolo generale dei Servi di Maria: nel corso dei decenni «i frati, la Chiesa e le sue gerarchie hanno sostituito il modo di amare del Padre di Gesù, rivelato dal Figlio, con altre potenze, fondando su di esse la fede, la vita, le comunità, la Chiesa, e l’ordine stesso della convivenza, e pensando più a gestire strutture che a inventare nuove strade o prendersi cura delle persone. Quali sono queste potenze sostitutive e quali atteggiamenti inducono in chi concede, e ha concesso loro, la sua fede? La dottrina, innanzitutto, che esige solo ortodossia e non ricerca spirituale. Poi l’autorità, che esige solo obbedienza cieca e non liberante. Poi quella sofferenza espiatoria sacrificale in nome di una presunta e autoreferenziale “volontà di Dio”, che esige docilità masochista o crudeltà verso gli altri, e non invece una fraterna collaborazione e misericordia. Di più: i sacramenti concepiti come riti magici, che esigono devozione teatrale ma non conversione della vita. E soprattutto la Parola, che mentre annuncia la vita nuova con prediche o documenti scritti, di fatto, e sfacciatamente, si sostituisce ad essa e perpetua la vecchia vita, quella basata solo sulla legge, mandando così l’amore a farsi benedire. E così sta nascendo un Ordine senza sogni e senza futuro, e comunità che non conoscono e non fanno conoscere l’amore fraterno e la fantasia di Dio».

L’appello dei laici: non chiudete l’eremo

Ma anche dall’esterno, da coloro che da anni frequentano Ronzano, parte un appello – fino ad ora sottoscritto da più di tremila persone – rivolto al Priore e al Consiglio di Piemonte e Romagna dei Servi di Maria. «Chiediamo – vi si legge – di rivedere la scelta sull’eremo di Ronzano» che rappresenta, per quanti lo frequentano, «un luogo di spiritualità conciliare, ispirato al Vaticano II: frati e laici, donne e uomini, credenti e diversamente credenti, insieme per un mondo di uguaglianza, fraternità, condivisione. Un luogo di cultura e ricerca, ove si propongono occasioni di conoscenza e approfondimento della Bibbia, della tradizione cristiana, delle diverse religioni, ma anche delle situazioni dei popoli, specie di quelli un tempo chiamati Terzo mondo, delle problematiche sociali ed etiche, indotte dalla modernità. Uno spazio di fraternità, ove frati e laici si conoscono e intrecciano rapporti di collaborazione e amicizia. Un eremo accogliente, ove chiunque, soprattutto se in ricerca o difficoltà, trovi ospitalità e fraternità. Un ambiente ecologico, che con il suo silenzio e la salubrità favorisce la salute di quanti lo frequentano. Pur nel rispetto delle difficoltà dell’Ordine, che sono all’origine dei provvedimenti, si chiede di aprire un confronto che consenta una soluzione che salvaguardi questa importante realtà ecclesiale, civile, culturale».

La questione, insomma, resta ancora aperta. Il priore provinciale è tornato a Bologna il 2 ottobre, dopo quasi un mese di assenza durante il quale ha partecipato al Capitolo generale dei Servi Maria (cominciato a Pietralba il 19 settembre). Ora dovrà riprendere in mano il “caso Ronzano”. Che probabilmente non immaginava potesse suscitare così tanto clamore.