Negoziato con i palestinesi? Per Netanyahu il nodo è sempre l’Iran

Michele Giorgio
Nena News

Roma, 24 ottobre 2013 – Altro che negoziato israelo-palestinese. È stato l’Iran e il suo programma nucleare a dominare l’incontro, di sette ore, di ieri a Roma tra il segretario di stato Usa John Kerry e il premier israeliano Netanyahu. Che nell’incontro con la stampa, prima di quello a Villa Taverna, ha ribadito che il programma nucleare iraniano deve essere smantellato. «L’Iran non deve avere capacità di costruire armi nucleari, che vuol dire che non dovrebbe avere centrifughe per l’arricchimento, non dovrebbe avere un impianto ad acqua pesante per il plutonio, che è usato solo per armi nucleari» – ha detto Netanyahu – dovrebbero liberarsi del loro materiale fissile e non dovrebbero avere impianti nucleari sottoterra, che si trovano sottoterra per una sola ragione: scopi militari».

È la versione israeliana delle intenzioni iraniane e Netanyahu, peraltro, evita di parlare dell’unico arsenale atomico esistente in Medio Oriente: quello israeliano.

Kerry ha riaffermato la disponibilità americana a tentare l’iniziativa diplomatica con Teheran, rilanciata a Ginevra grazie alle aperture del presidente iraniano Hassan Rowhani, che tanto irrita israeliani (e sauditi). Ma con «gli occhi ben aperti». «Avremo bisogno di sapere che verranno adottate azioni che renderanno chiaro e limpido, assolutamente certo, intrinsecamente sicuro a tutto il mondo che qualsiasi programma venga portato avanti è davvero un programma pacifico», ha aggiunto Kerry. Che ha rassicurato Netanyahu: Washington non allegerirà, per ora, le sanzioni all’Iran.

Subito dopo, riferiva online il quotidiano Haaretz, Kerry avrebbe fatto diverse domande a Netanyahu su questioni riguardanti un eventuale accordo con i palestinesi, prima fra tutte quella dei confini del futuro Stato di Palestina. Non si conosce la risposta di Netanyahu. Ma più di tante parole parlano le azioni. Dall’inizio dell’anno l’espansione delle colonie israeliane nei territori del futuro Stato palestinese è stata del 70%.

Una commissione ministeriale inoltre ha approvato la proposta di legge del deputato Ya’akov Litzman per la quale il governo potrà negoziare sullo status di Gerusalemme solo se avrà il sostegno di almeno 80 parlamentari sui 120 della Knesset. «Netanyahu ha promesso di non negoziare su Gerusalemme. La legge nasce per mantenere questa promessa e conservare Gerusalemme unita (sotto il controllo di Israele, ndr)», ha spiegato Litzman.

Kerry recita il suo ruolo, sostiene che il negoziato israelo-palestinese ripreso a luglio procede nella giusta direzione. In verità la trattativa è paralizzata. Lo conferma anche l’allarme lanciato da Tzipi Livni, la ministra della giustizia responsabile delle trattative con i palestinesi.

«Uno stallo può portare a uno Stato palestinese che sarebbe imposto e non sarebbe il risultato di negoziati in cui sono rappresentati gli interessi di Israele – ha detto Livni al Congresso ebraico mondiale in corso a Gerusalemme – credo nel processo di pace non come a un favore all’Ue o agli Usa, è nel nostro stesso interesse». Parole evidentemente indirizzate a Netanyahu.

Allarme che due giorni fa ha lanciato anche il presidente palestinese Abu Mazen, per il quale è inacettabile la proposta che vuole confini dello Stato palestinese sotto controllo militare d’Israele, con l’accusa esplicita: un fallimento dei colloqui sarebbe da imputare solo a Israele. Ieri Abu Mazen ha usato toni più morbidi e si è detto pronto a incontrare in ogni momento Netanyahu. «Non possiamo permetterci il lusso di fallire, ci sarebbero gravi conseguenze sull’avvenire della pace e della stabilità della regione» ha detto dopo l’incontro con il presidente dell’Ue, Herman Van Rompuy.

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La colonizzazione di Hebron e il silenzio degli USA

Emma Mancini
Nena News

Bibi chiama, il governo risponde. Ieri a Roma, durante l’incontro tra il primo ministro israeliano e il segretario di Stato Kerry, Netanyahu ha preso di mira la città di Hebron: necessario costruire più insediamenti, incrementare il numero di coloni israeliani e rafforzare così la presenza nella città palestinese. “La creazione di colonie israeliane a Hebron è il simbolo della profonda connessione ebraica con la città”.

Un appello giunto nel pieno dei negoziati con la controparte palestinese e che difficilmente può rappresentare una spinta positiva per il dialogo. Israele non solo non intende fare concessioni, come scrive il quotidiano israeliano Ha’aretz, ma mostra chiaramente la volontà di consolidare l’occupazione militare nei Territori Occupati. Washington non replica, trincerandosi dietro un silenzio stampa che da tre mesi avvolge il negoziato in corso e che è lo specchio della debolezza del dialogo e della stessa mediazione statunitense, incapace ad alzare la voce contro l’alleato israeliano.

Immediata è arrivata la risposta del governo di Tel Aviv. Oggi il ministro dell’Abitazione, Uri Ariel – membro del partito ultranazionalista Casa Ebraica e colono -, ha annunciato la costruzione di cento nuove unità abitative per coloni ad Hebron: “La terra già c’è – ha detto Ariel alla Army Radio – Stiamo preparando il progetto di costruzione. Speriamo di iniziare a costruire entro l’anno”.

Hebron resta nel mirino, città sotto assedio: i circa 200mila palestinesi residenti vivono sotto il controllo militare di circa 2mila soldati, chiamati dal governo di Tel Aviv a “proteggere” i 600-700 coloni insediatesi nella Città Vecchia, cuore economico e sociale di Hebron. Dopo gli Accordi di Oslo, la comunità palestinese ha assistito al veloce declino delle condizioni di vita: impossibilità a muoversi liberamente in Città Vecchia, chiusura di decine di migliaia di negozi, occupazione di case e attacchi quotidiani a persone e proprietà da parte di coloni e esercito.

E mentre Bibi preme sull’acceleratore della colonizzazione, il presidente palestinese Abbas tenta di parare i colpi. Dalla Lituania, dove si trova in visita, Abbas ha reiterato l’intenzione di non accettare alcuna delle precondizioni poste al dialogo dalla controparte israeliana. E ieri, durante un incontro con il presidente del Consiglio Europeo Herman Van Rompuy, il presidente dell’ANP ha fatto appello all’Unione Europea e alle compagnie internazionali perché pongano fine alle collaborazioni economiche e commerciali con le colonie israeliane nei Territori Occupati: “Chiedo alle compagnie europee e straniere che fanno affari nelle colonie di cessare le loro attività, una violazione del diritto internazionale”.

Non un passo contro Israele, ha tenuto a specificare Abbas, ma contro gli insediamenti illegali costruiti su terra palestinese. Una dichiarazione che mostra l’approccio ormai scelto dalla leadership palestinese: rinuncia alla Palestina storica e fedeltà alla soluzione a due Stati, con l’obiettivo di creare uno Stato palestinese in Cisgiordania e Gerusalemme Est (meno del 20% del territorio palestinese pre-1948). Nena News

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Israele, fuori la Ue da Gaza

Redazione
Nena News

Le autorità israeliane hanno negato l’accesso a Gaza a una delegazione ufficiale del Parlamento europeo in missione per ragioni umanitarie. E’ quanto riporta l’agenzia stampa palestinese Maan News, precisando che la visita, secondo il governo di Tel Aviv, avrebbe “rafforzato Hamas”.

La delegazione Ue, composta da sei membri di una commissione rappresentativa di sei stati, era attesa a Gaza dal 27 al 30 ottobre, per un viaggio centrato su questioni umanitarie, sociali ed economiche. La visita avrebbe dovuto toccare scuole, ospedali, strutture dell’UNRWA, centri di distribuzione alimentare, centri di riabilitazione sociale e sportiva. E invece mercoledì scorso, con un’e-mail, le autorità israeliane hanno comunicato alla delegazione che non l’avrebbero lasciata passare al valico di Erez.

I membri della delegazione sono “stupiti e sgomenti” , come ha dichiarato Emer Costello, capo della delegazione presso il Consiglio legislativo palestinese. “Nonostante gli interventi da parte del Presidente del Parlamento europeo e di altri illustri parlamentari – ha aggiunto Costello – le autorità israeliane impediscono ai membri eletti di una delegazione ufficiale di effettuare una visita umanitaria in questo piccolo paese devastato e impoverito “.

Sebbene Tel Aviv abbia giustificato nell’e-mail la decisione per “non rafforzare Hamas, un’organizzazione terroristica considerata tale anche dall’Unione Europea”, per Margret Auken, membro danese della delegazione, l’intento ben diverso: “Penso – ha dichiarato Auken – che la ragione per la quale il governo israeliano sta facendo questo è quella di punire l’Ue per le linee-guida sugli insediamenti. (Tel Aviv) vuole sbarazzarsi delle direttive, ma è ovvio che questo non accadrà”.

Le direttive dell’Unione Europea proibiscono di fare affari o finanziare organismi israeliani che si trovano al di fuori del territorio israeliano e al di là della cosiddetta Linea Verde del 1967: Cisgiordania, Gerusalemme est, Gaza e le alture del Golan, territori occupati e mai riconosciuti come parte di Israele dal diritto internazionale. Nei territori palestinesi si moltiplicano di giorno in giorno le costruzioni illegali che vanno ad ingrossare le colonie di Tel Aviv, alcune delle quali sono presenti da oltre 40 anni. La Striscia di Gaza è sotto assedio israeliano dal 2007, anno della vittoria di Hamas alle elezioni palestinesi nel territorio. Nena News.