Per una Comunità di Base, miniatura della vera Chiesa di Cristo di G.DeCapitani

don Giorgio De Capitani
www.dongiorgio.it

Non so quante Comunità di Base esistano oggi in Italia. Mi riferisco alle Comunità attive, che agiscono sul posto. Già dire “base” dovrebbe far pensare a qualcosa di concreto, di incarnato nella località. Purtroppo, avendo vita difficile, o vivono allo stato latente o sono tanto timide da non rischiare il limite di sopravvivenza, per finire poi in uno sterile anonimato.

So per certezza che esistono preti d’avanguardia, solitamente carichi di età e di sofferte esperienze pastorali. Forse più al centro e al sud che al nord d’Italia. Qui da noi, nella diocesi milanese, i preti preferiscono convivere con il conformismo più stantio, per non mettere in gioco il posto o la carriera. Ma forse anche perché il clima stesso della chiesa ambrosiana crea un’acquiescenza di involutiva tradizione secolare.

Ai tempi del cardinale Giovanni Colombo (ha guidato la diocesi milanese dal ’63 al ’79), noi preti sessantottini eravamo tacciati di orizzontalismo, nel senso che ci impegnavamo troppo nel sociale, verso gli altri, pensando poco al verticale, a Dio e agli aspetti tipicamente religiosi. Oggi direi che l’orizzontalismo andrebbe rivisto: i preti milanesi preferiscono rimanere comodamente sdraiati, su posizioni orizzontali, senza mai scattare d’orgoglio per qualcosa che li rimetta in piedi. Passano il tempo nell’accidia pastorale più deprimente, mentre il progresso passa sopra la testa delle comunità amorfe come i loro pastori.

Certo, i preti milanesi (scusate se insisto) sono super-attivi, nel corpo ma spenti dentro: si danno da fare in mille cose, ma con una tale noiosa ripetizione del già fatto, pur cambiando qualche vestito, da lasciare preclusa ogni possibilità innovativa. Le porte sono sbarrate, le finestre chiuse: dentro casa si spostano i mobili, le sedie, i tavoli, in realtà si tratta solo di un novismo esteriore. L’estrosità non difetta, ma la creatività profetica è ben altra cosa.

Non credo che esista una parrocchia nella diocesi milanese che aspiri ad essere una Comunità di Base. I cristiani d’oggi neppure sanno che cosa sia. E succede che i credenti laici se la prendano quando la gerarchia comanda il passo, e poi, quando viene a mancare il prete-guida, subito c’è la gara al potere. E così il laicato si veste di clericalismo, di un clericalismo peggiore del peggior clericalismo ecclesiastico di preti che, se non altro, dopo secoli e secoli di errori, forse oggi qualcosa hanno capito, anche perché, trovandosi alle strette, sentono la necessità della collaborazione del laicato, su cui scaricano di colpo responsabilità in modo dissennato.

Una Comunità di Base non è la piattaforma perché i laici si prendano la rivincita sul clero. Dovrebbe, invece, essere il riscatto di quella democrazia, in nome della quale il potere si trasforma in servizio, togliendo però a questa parola (usata in modo strumentale per sottomettere i fedeli, umiliandoli), tutto ciò che sappia di soggezione o di obbedienza supina.

La Comunità di Base toglie, dunque, al potere ogni sua valenza autoritaria: sia i preti che i laici si mettono totalmente al servizio, non di una struttura ma della verità: una verità che va incarnata nella realtà locale. Che cos’è la verità? Cerchiamo di essere chiari.

Per noi credenti, la verità è la Parola di Dio che si è incarnata nella storia. Dunque, la nostra prima preoccupazione consiste nel leggere la storia, il momento presente, alla luce di una Parola, quella di Dio, che è anzitutto “profetica”. Essa va colta così: nella sua profezia. Il che comporta di non accontentarsi mai di ciò che dice la Chiesa-struttura, la Chiesa dottrinale, la Chiesa gerarchica. La Chiesa stessa dovrebbe, anzitutto, esaminarsi ogni giorno per verificare fino a che punto è rimasta fedele o ha tradito la Parola profetica di Cristo. Ma non lo fa o, se lo fa, non lo fa con quella “parresia” – usando un termine che troviamo nel libro degli Atti degli apostoli – la quale, come commenta Carlo Maria Martini, esprime “la capacità di testimoniare liberamente e coraggiosamente il messaggio cristiano anche in un mondo ostile. Nel mondo greco essa (la parresia) significava la libertà di parola che spettava nell’assemblea al cittadino che godeva dei pieni diritti civili, e di conseguenza il coraggio e la franchezza con cui tale principio poteva venire esercitato”.

Certo, non confondiamo tale diritto di parola con quella mania di dire ciò che si pensa, senza far seguire una testimonianza. Martini parla di “capacità di testimoniare”, in libertà e con coraggio. A me non sembra che tale testimonianza sia molto presente nella Chiesa, anche tra i laici che preferiscono invece lamentarsi o proporre iniziative su iniziative, senza poi impegnarsi attivamente.

Non confondiamo, dunque, la Comunità di Base con un’assemblea di gente che parla e discute, senza venire poi a nulla di concreto. Ma soprattutto, come primo punto, va messa la necessità di ascoltare una Parola, quella di Dio, che provoca in tutta la sua radicalità. Bisogna puntare al meglio di una Chiesa perché sia al servizio dell’Umanità, e non sia invece fine a se stessa. Il meglio richiede il massimo di ricerca della verità, che illumina il cammino, che è dunque progresso.

Certamente, la Comunità di Base è ricerca della Verità, ma al fine di servire l’Umanità, nella località del proprio ambiente di vita. Ecco perché l’ideale sarebbe che ogni parrocchia diventi Comunità di Base.

Basterebbero dieci, o forse meno, Comunità di Base per convertire la Diocesi di Milano. Dieci parrocchie che vivano la Parola incarnata di Cristo: che si confrontino ogni giorno con essa. Testimoniandola nelle piccole cose, nelle iniziative pastorali, dando priorità ai valori Umani. Ma come è possibile se i preti anzitutto, e anche i laici, rimangono tuttora chiusi in un mondo tipicamente religioso, tra le quattro mura di tradizioni che hanno spento il soffio vitale dello Spirito?

Ci vuole ben altro che il cardinale parli di umanesimo, quando sanno tutti che il suo modo di intendere l’umanesimo non è altro che buttare fumo negli occhi dell’uomo moderno, alle prese con una società dis-fatta e dis-Umana, e che avrebbe bisogno di essere fortemente provocato sull’Umanesimo integrale, e non su una restaurazione religiosa che punta su un nuovo vestito, su un nuovo linguaggio, ma sempre in linea con la peggiore deformazione mentale o di visuale dell’Umanità.

Per chiarire meglio, vorrei dire che è la Chiesa a doversi urgentemente convertire all’Umanità liberata da Cristo da ogni pastoia. Una struttura ci vuole, certamente. Non mi fa problema il fatto di essere cristiano, e neppure di essere cattolico. Il mio vero problema sta nel fatto che mi costringono a obbedire ad una struttura, come se questa fosse tanto sacra da sostituire Dio stesso, strumentalizzandolo come alibi per fare tutto il contrario del piano originario di Dio sul mondo.

La Comunità di Base dovrebbe essere un luogo, dove non ci si senta soffocati da un autoritarismo mortificante o da un laicismo altrettanto becero e ottuso, ma dove predomini la ricerca della verità liberante, dove l’Umanità faccia sentire tutti i suoi richiami.

La Comunità di Base non è per nulla particolare, anche se fosse piccola. Respira tanto Umanesimo da avere i polmoni pieni di ossigeno. Il divino viene da sé, perché in ogni realtà umana c’è l’incarnazione della Parola di Dio, di una Parola, che, incarnandosi, non ha perso nulla dell’Infinito.

Finché non si prova, finché non si rischia, scommettendo il tutto per il tutto, non si potrà mai onestamente dire che le Comunità di Base possono costituire un pericolo per la Chiesa. Perché aspettare l’irreparabile? Perché sfidare sempre la promessa di Dio, che non permetterà mai che il suo disegno sul mondo possa essere distrutto?