25 novembre 2013: sciopero, outing e giustizia di M.Lanfranco

Monica Lanfranco
www.womenews.net

Ci sono molte ragioni, quest’anno, per prestare attenzione al prossimo 25 novembre, (data scelta nel 1999 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite come Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne), e tre sono le parole chiave per raccontarne le pratiche politiche che la percorreranno, da nord a sud: sciopero, outing e giustizia. Tre modi, che si intrecciano, per essere attive e presenti.

“Scioperiamo. Per fermare la Cultura della violenza”: la proposta, partita mesi fa, ha fatto presa in decine di città grandi e piccole, che quel giorno, sul posto di lavoro come nelle case, vedranno le donne fermarsi, per qualche minuto, e indossare qualcosa di rosso, o appendere un drappo rosso alla finestra.

Al sito www.scioperodelledonne.it è consultabile la mappa che via via disegna le adesioni, e costruisce una mosaico nel quale, per la prima volta in Italia, si dà un nuovo significato alla pratica storica del sindacato.

Parte da Torino la seconda proposta, quella di smascherare l’offesa che le donne violentate spesso subiscono: sentirsi in colpa, e provare vergogna per ciò che è accaduto. A distanza di oltre trent’anni dal celebre video Processo per stupro è ora di dire, anche pubblicamente, basta. E, se possibile, è ora che lo dicano forte e chiaro le stesse donne che hanno subìto violenza. Lo propongono XXD, rivista di varia donnità e il Centro Studi e Documentazione Pensiero Femminile di Torino.

La pratica collettiva del coming out è al centro della loro azione: dire in pubblico una verità scomoda, che Nessuna colpa, nessuna vergogna (così si chiama l’iniziativa) può essere ascritta alle donne nella violenza. Sul blog www.xxdonne.net è pubblicata la lista delle associazioni, enti e persone che aderiscono alla manifestazione.

Infine la parola giustizia, scelta dal team italiano del movimento V-day per lanciare, dal 25 novembre, la strada che arriverà al prossimo 14 febbraio. Nel 2013 più di 200 città italiane hanno visto piazze, scuole, centri commerciali riempirsi di donne e uomini decisi a mettere fine alla violenza sulla donne danzando sulle note di Break the chain; circa 300.000 persone in Italia hanno scelto non di festeggiare il San Valentino dei fiori e dei cioccolatini, ma di celebrare il rispetto che si deve a chi vive al nostro fianco: una madre, sorella, figlia, fidanzata, amica.

Per l’anno 2014 Eve Ensler e il movimento V-Day chiedono di non lasciare che l’energia liberata nelle piazze si spenga. Di non permettere che la connessione creata tra le persone di tutto il mondo si disperda nel labirinto delle singole routine quotidiane. La parola chiave sarà infatti per il 2014 giustizia: giustizia per le donne maltrattate e uccise, ma anche per quelle che iniziano ora il loro percorso fuori dal silenzio.

Informazioni su http://www.onebillionrising.org/, https://www.facebook.com/groups/onebillionitalia/ e http://www.onebillionrising.org/167/nico-corradini-italy/ .

E un buon 25 novembre per chi vorrà sentirla come una data importante.

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Noi saremo ovunque!

Coordinamenta femminista e lesbica di collettivi e singole
www.womenews.net

Le riflessioni in vista della assemblea convocata a Roma al 22 di via dei Volsci alle ore 19,30 per poter decidere insieme e condividere le iniziative verso il 25 e per il 25.

In questi anni abbiamo percorso diverse strade, insieme a tante altre compagne e gruppi di Roma e di fuori Roma, con cui ci siamo rapportate e che hanno partecipato con noi ai momenti nazionali di discussione collettiva, analizzando e riflettendo sulla nostra condizione di genere oppresso e cercando di non dimenticare la necessità del rapporto continuo e dialettico tra teoria e prassi, tra pensiero e pratica politica, sempre convinte che l’analisi sia momento fondante di ogni presa di parola e di azione, per non rischiare di lottare contro noi stesse e contro il nostro stesso percorso di liberazione.

Il nostro percorso di analisi e di lotta contro la violenza maschile sulle donne ci ha condotte ad indagare non solo sugli effetti e sui risultati manifestamente sotto gli occhi di tutte e tutti, ma sulle ragioni strutturali che della violenza maschile sono causa.

Siamo partite dalla riflessione sulle nostre esperienze nei territori, che sono diversificate a seconda dei percorsi delle compagne che della Coordinamenta fanno parte: dalle lotte condotte in questi anni contro i Cie e la violenza di genere esercitata in quelle strutture, alle lotte sui posti di lavoro, dalle esperienze contro la medicalizzazione delle esistenze a quelle all’interno dell’università, da quelle contro la devastazione ambientale e la difesa del territorio a quelle per l’occupazione delle case e degli spazi collettivi… estraendone gli aspetti dell’oppressione di genere e intrecciandoli con l’analisi teorica, con la storia e la memoria del movimento femminista e dei movimenti di lotta. E, allo stesso tempo, abbiamo indagato la violenza di genere che ognuna di noi ha subito nel corso della sua vita, più o meno consapevolmente, più o meno mascherata, non necessariamente eclatante, ma sottile e pervasiva, dalla scuola, agli ambiti lavorativi, alla famiglia, al controllo sui nostri corpi…

Consideriamo questa duplice indagine un momento necessario ed imprescindibile da cui partire per poter organizzare e determinare forme di resistenza, di reazione, di azione e di costruzione di un percorso collettivo contro la violenza maschile sulle donne. Percorso nel quale sono essenziali l’autonomia e la costruzione di forme di autorganizzazione e di autodifesa, il rifiuto della vittimizzazione e della delega.

Vogliamo ribellarci e aiutare le donne a ribellarsi. Pensiamo che la lotta contro la violenza maschile sulle donne sia inscindibile dalla lotta contro la società capitalista/neoliberista che è l’involucro dentro il quale, oggi, si perpetua la società patriarcale. È necessario oggi smascherare i meccanismi con i quali questa società esercita violenza e violenza di genere.

In questa prospettiva la pratica dei momenti separati risulta indispensabile per elaborare in autonomia, riconoscere il ruolo della divisione sessuata della società e del sistema patriarcale in genere, senza preoccuparsi costantemente del confronto con chi è portatore, consapevole o meno, di valori dominanti. Separatismo inteso come momento di analisi necessario ogni qual volta ci si confronta con un tipo di oppressione interclassista e trasversale. Uno spazio che rende possibile un percorso di liberazione che parta veramente dal privato, consapevoli che l’egemonia culturale in cui siamo immerse, con i suoi debiti corollari di metodo democratico come unica relazione conflittuale possibile, e di pacificazione sociale come orizzonte ineludibile, ha fatto si che i meccanismi e i valori della società patriarcale siano fortemente introiettati anche da noi stesse. Ambito separato in cui praticare la liberazione individuale ed elaborare pratiche conflittuali che, non rimanendo confinate ad uno spazio chiuso e vittimizzante, corrano parallele alle altre lotte che come soggetti politici portiamo avanti.

Crediamo infatti fermamente che né la lotta di genere, né quella di classe siano sufficienti da sole. Vanno invece coniugate in una visione più ampia che intrecci le oppressioni di razza, genere e classe e ne distingua i meccanismi di riproduzione all’interno del neoliberismo e del patriarcato. È essenziale una critica radicale al sistema capitalistico, e alla sua versione neoliberista per smascherare i dispositivi che favoriscono la divisione gerarchica e sessuata della società, i rapporti di subordinazione in genere e quelli di mercificazione, relegando in limiti sempre più angusti la donna in quanto soggetto subalterno, caricandola di funzioni produttive e riproduttive funzionali al profitto.

La nostra lotta non può essere categoriale e settoriale e non può essere ridotta a difesa di vittime da tutelare e meno che meno a categoria che pretende privilegi e trattamenti differenziati. La visione e le lotte categoriali e settoriali producono privilegi per poche a discapito della stragrande maggioranza delle altre, perché sono il frutto di una visione parziale che nasconde i meccanismi originari di oppressione e perché ci riducono a specie protetta da salvaguardare, bisognosa di riserve in cui sopravvivere, delegando la nostra difesa al sistema patriarcale che diventa così paradossalmente allo stesso tempo nostro carnefice, salvatore e tutore.

Vogliamo smascherare anche l’ideologia emancipatoria delle social-democratiche, che riducono la lotta delle donne ad un assordante sgomitare per ottenere posti di comando e fare carriera, partecipando alla conservazione e allo sviluppo della società patriarcale e borghese. La violenza di genere si definisce anche a partire dalla funzionalità che assolve nel mantenimento del sistema di potere. Una violenza dunque che si esplica e si auto-alimenta negli stereotipi di genere, nello sfruttamento lavorativo, nelle istituzioni: dalla scuola, passando per la sanità, fino alle istituzioni totali come le carceri, come i Cie….

La condivisione e la consapevolezza, le idee e le pratiche significano anche la riappropriazione di una cultura conflittuale, di cui sono portatori i movimenti femministi e antagonisti in genere, che viene sempre più marginalizzata e criminalizzata. Riappropriazione che passa per la lotta contro i deliri securitari e il controllo sociale, contro la devastazione dei territori, la medicalizzazione, la gerarchia, l’espropriazione costante di tempi e modi di vita, contro lo sfruttamento, e, in generale, contro l’oppressione e la violenza di razza, genere e classe; riappropriazione che deve anche confrontarsi con l’enorme patrimonio che abbiamo ricevuto in eredità dal pensiero e dall’azione femminista. Vorremo trovare insieme forme di autodifesa e autorganizzazione e farci noi stesse luogo di trasmissione di tale sapere.

Riscoprire ciò che fu il movimento femminista rivoluzionario e saper rideclinare i suoi principi sulle nuove forme che il potere ha assunto all’interno della società pacificata e neoliberista, che procede frammentando il processo di soggettivazione per rendere sempre più problematico il riconoscimento di classe e di genere ed erodere spazi di autonomia e alterità. Partire dal privato e riconoscerne la valenza politica significa anche questo: assumere su noi stesse il patrimonio dell’esperienza e il sapere del nostro corpo, caricarci della responsabilità politica della nostra storia e della nostra consapevolezza, ed essere in grado di manifestarne la potenza.

Il femminismo non può abbandonare mai la lotta di liberazione che è possibilità di comunicare, di dare voce a tutte le lotte del presente come del passato e alle loro ragioni. E’ portare fuori ogni lotta dall’ambito riduttivamente femminile, è vanificare così tutti i tentativi di ghettizzazione. E’ smascheramento dei codici linguistici del potere che costituiscono la rete essenziale del controllo sociale. E’ capacità di investire tutti gli aspetti della vita: dal lavoro all’eros, dai sogni ai linguaggi quotidiani, dalla politica all’arte…. E’ rivoluzione totale.

Per questo il nostro 25 novembre sarà un momento di sintesi e di ripartenza. Portare a sintesi quello che finora ci siamo dette significa essere nei vari processi di alterità e di uscita da questa società proprio perché l’oppressione di genere viene esercitata dalla società patriarcale in tutti i momenti della vita e sta a noi renderla esplicita, manifesta e combatterla. Ripartire da qui significa attuare forme di mobilitazione che, scegliendo ambiti di volta in volta diversi che vengono dalla presenza e dall’esperienza delle compagne nei territori, ne estraggano le valenze di genere.

Abbiamo solo l’imbarazzo della scelta. Dalla rivendicazione delle occupazioni abitative e sociali, separate e non, che aprono per noi spazi di autonomia economica e politica, al rifiuto del concetto di legalità e alla rivendicazione della disubbidienza alla norma, dal rifiuto della vittimizzazione al riprendersi il controllo politico, fisico, psichico delle nostre vite, dalla consapevolezza dell’uso strumentale che viene fatto della violenza su di noi, al rifiuto di ogni delega e al riappropriarsi dei meccanismi dell’autodifesa…… dal battersi contro i Cie , strumento forte di controllo sociale con la detenzione amministrativa che ci riguarda da vicino più di quanto possiamo pensare, alla condanna delle guerre “umanitarie” che ripropongono nel terzo mondo la strumentalizzazione della violenza sulle diversità e sulle donne per perpetuare il dominio neocoloniale….fino alla necessità imprescindibile di smascherare il ruolo di una parte delle donne nell’oppressione della stragrande maggioranza delle altre donne e degli oppressi tutti.