L’amico americano non e’ poi cosi’ amico

Massimo Fini
ilfattoquotidiano.it

Forse non tutto il male vien per nuocere. Chissà che il Datagate non apra finalmente gli occhi all’Europa, non le faccia capire che gli Stati Uniti, oggi, non sono più il nostro maggior alleato ma, oltre che un competitor economico sleale, un nemico e forse il principale. Per la verità è da tempo, da quasi un quarto di secolo, che avremmo dovuto prendere le distanze dall’“amico americano”, dal 1989 quando si dissolse l’Unione Sovietica. Fino ad allora questa alleanza sperequata con gli Stati Uniti, simboleggiata e concretizzata dalla Nato, era stata obbligata perché solo gli americani avevano il deterrente atomico per dissuadere “l’orso russo” dal tentare avventure militari in Europa Ovest.

Era chiaro, o almeno appariva tale, che se l’Urss avesse osato sganciare la Bomba su Berlino o su Parigi o su Roma missili sarebbero partiti dall’America in direzione di Mosca. Per la verità la cosa non era poi così scontata. Almeno da quando a metà degli anni Ottanta Ronald Reagan, in un momento di brutale franchezza o di inizio di Alzheimer, si lasciò sfuggire che “l’Europa potrebbe essere teatro di una guerra atomica limitata”.

Comunque sia, l’Alleanza Atlantica è stata per quasi settant’anni lo strumento con cui gli americani hanno tenuto l’Europa in stato di sudditanza, militare, politica, economica, culturale e psicologica. Avevamo, è vero, anche un debito di riconoscenza verso di loro: ci avevano liberati dal nazifascismo. Ma, come ha detto la Littizzetto, “quando scade il mutuo?”.

Sono passati settant’anni. Il mutuo è scaduto. Il pericolo russo non esiste più, anzi la Russia (se si ingoia il rospo del genocidio ceceno, e non è poco) si presenta oggi come un alleato più credibile degli attuali Stati Uniti. In fondo la Russia, almeno nella sua parte al di qua degli Urali, è culturalmente (Dostoevskij, Tolstoj, Cechov, Gogol, Puskin) più vicina all’Europa dell’America. E i nostri interessi di europei non solo non coincidono più con quelli americani, ma divergono. Noi non possiamo avere la stessa politica aggressiva nei confronti del mondo arabo-musulmano. Se non altro perché questa gente ce l’abbiamo sull’uscio di casa e non a diecimila chilometri di distanza.

Qualche cauto tentativo di sfilarsi dall’abbraccio dell’“amico americano” da parte di alcuni Paesi europei c’è stato. La Germania non è andata in Iraq, la Spagna di Zapatero si è ritirata. Noi italiani invece ci siamo andati, in “missione di pace” naturalmente e i nostri militari, credendo alle menzogne dei nostri politici, hanno piazzato il loro quartier generale quasi nel centro di Nassiriya con le tragiche conseguenze che conosciamo. Mentre olandesi, canadesi, francesi, polacchi se ne sono andati o se ne stanno andando dall’Afghanistan, noi italiani ci restiamo.

Alleati fedeli, fedeli come solo possono esserlo i cani, ma nello stesso tempo sleali perché non combattiamo e paghiamo i Talebani perché non ci attacchino e persino ci proteggano. Spendendo così inutilmente 800 milioni di euro che potremmo utilizzare meglio dalle nostre parti. Ma lasciamo perdere l’Italia, un Paese senza, svuotato di tutto, che geopoliticamente non conta più nulla perché ha perso il suo ruolo di terra di confine fra Est e Ovest. È l’Europa nel suo insieme che, approfittando anche del Datagate, deve prendere le distanze dall’Alleanza Atlantica. Anzi liberarsene al più presto. E che gli americani continuino pure a spiarci, ma almeno da nemici e non, beffardamente, da alleati.