Siria. La morte per fame imposta dalla UE

Redazione
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Ha fatto il giro del mondo il caso di Nasr una bambina di Homs morta di fame “per l’assedio imposto dalle truppe di Assad”. Notizia per metà falsa. Completamente vera, invece, quella di Farida, dodici schegge di granata nel cervello che non potevano essere rimosse perché il generatore dell’0spedale di Aleppo era senza carburante. Ma anche in questo caso la colpa non è “di Assad” ma delle sanzioni economiche imposte alla Siria dall’Unione Europea.
Un crimine di cui nessuno parla. Sanzioni responsabili della spaventosa miseria che, insieme alle epidemie, sta flagellando la Siria. Sanzioni economiche che i ministri degli Esteri dell’Unione Europea – Bonino in testa – (con buona pace dei “digiuni di Pace” e le lacrime di coccodrillo) annunciano di confermare, intendendo affrontare la fame che sta dilagando in Siria con due miliardi di euro in “aiuti umanitari”, (e il conseguente foraggiamento di sempre più compiacenti ONG) e con l’apertura di “corridoi umanitari” .

Corridoi umanitari?

Nel Diritto internazionale, il termine “corridoio umanitario” (humanitarian corridor), è generalmente inteso come una fascia di territorio di un paese in guerra in cui le attività belliche vengono sospese per consentire il passaggio di convoglî per il trasferimento dei profughi e per l’assistenza alle popolazioni. Corridoi umanitari, in questi giorni, sono chiesti, ad esempio, dalla Croce Rossa Internazionale e dal Presidente di turno del Consiglio di Sicurezza dell’ONU; ma, nell’agosto di un anno fa, erano stati chiesti (insieme alla istituzione di “zone cuscinetto” e “No Fly Zone”) anche dai ministri degli Esteri di Francia e Gran Bretagna e dalla Turchia. Nell’ottobre di quest’anno, stessa richiesta dal vice ministro degli esteri italiano Lapo Pistelli, all’ultimo incontro dei “Paesi Amici della Siria” (quelli, per capirci, che stanno supportando gli assedi dei “ribelli” a numerose città della Siria).
Il governo di Damasco e la Russia hanno sempre evidenziato come la richiesta di apertura di “corridoi umanitari” rischia di configurarsi come una palese violazione della sovranità dello stato siriano e, quindi pretesto per scatenare la guerra. Vi è a tal proposito la davvero sospetta richiesta di “corridoi umanitari a guida turco-saudita” avanzata un anno fa da Anthony Zinni, inviato USA per il Medio Oriente, il quale – dopo aver specificato che gli aiuti sarebbero stati scortati da militari – aggiungeva che se le truppe di Assad fossero intervenute “avrebbero la peggio, come accadde a quelle di Saddam”.
Corridoi umanitari come possibile quinta colonna per una invasione, quindi. Ma poi c’è un altro aspetto della questione corridoi umanitari; e cioè il suo lasciare intendere che in Siria esisterebbero delimitati territori dove la popolazione sta soffrendo la fame e dove bisogna concentrare gli aiuti. Non è così. Oggi tutta la popolazione siriana è allo stremo, addirittura alla fame. E questo non solo per le distruzioni, gli assedi, i blocchi stradali. dei “ribelli”, ma per il collasso dell’intera economia nazionale determinata dalle sanzioni.

Le sanzioni alla Siria

Le prime sanzioni (sostanzialmente di ordine militare) contro la Siria risalgono al 9 maggio 2011; il 23 settembre 2011, Catherine Ashton, Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell’Unione europea, presenta una nuova serie di sanzioni, di taglio prevalentemente economico: oltre all’embargo del petrolio, anche il divieto alle aziende europee di qualsiasi intervento nell’industria petrolifera siriana (pur se finalizzato al ripristino della funzionalità degli impianti colpite da atti bellici o terroristici); il divieto di costituire joint-ventures con aziende siriane; il divieto di fornire alla Banca centrale siriana banconote e monete prodotte nell’UE; il congelamento dei beni di 18 entità bancarie e commerciali siriane aventi sede in paesi dell’Unione Europea; il divieto di fornire coperture assicurative per contratti stipulati con aziende siriane. Nell’aprile 2012 le sanzioni conoscono un ulteriore inasprimento con il divieto di esportare in Siria prodotti e tecnologie “dual use”, inseriti – cioè – nel famigerato Regolamento N. 1334/2000 del Consiglio dell’Unione Europea che dovrebbe elencare prodotti e tecnologie utilizzabili per costruire manufatti sia ad uso civile che militare. In realtà l’inserimento in questo Regolamento di componenti quali, ad esempio, alcuni tipi di circuiti elettronici (oggi comunemente inseriti nella stragrande maggioranza delle apparecchiature) impedisce di fatto (anche per il lunghissimo iter burocratico che dovrebbero seguire le aziende) l’esportazione in Siria di ricambi per alcune produzioni, quali quelle farmaceutiche o alimentari.
Ma vediamo da vicino gli effetti delle sanzioni che – secondo la Ashton avrebbero dovuto “aiutare il popolo siriano a realizzare le sue legittime aspirazioni”. Uno degli studi più approfonditi è “The syrian catastrophe: socioeconomic monitoring report first quarterly report (january – march 2013) prodotto dal Syrian Centre for Policy Research (una struttura accademica che, tra l’altro, non può certo dirsi “Pro-Assad”).
Qualche dato da questo documento.
L’economia siriana, sostanzialmente in ascesa fino ai primi mesi del 2011, (l’ultimo decennio registrava un tasso medio di crescita del PIL del 4,45% all’anno), già nella seconda metà di quell’anno (anche, per l’instabilità dovuta agli scontri militari tra bande di “ribelli” ed esercito regolare) conosce una contrazione del 3,7% ; nel gennaio 2012 la contrazione, rispetto all’anno precedente sale al 18,8 per cento, nel dicembre la contrazione arriva all’81% con un tasso di disoccupazione al 35% (contro il 10,6 pre crisi), mentre sono 3 milioni coloro che non hanno più un reddito.
Bloccate le esportazioni di petrolio da parte dello stato siriano (ma non da parte dei “ribelli”) e con le aziende impossibilitate a rifornirsi di pezzi di ricambio, quello che era uno dei paesi più floridi del Medio Oriente precipita in un abisso di miseria.

Un Paese alla fame

Una tragedia testimoniata da questo davvero toccante appello – pubblicato in Italia dal quotidiano “Avvenire” – delle Suore Trappiste in Siria
“…In città ci si inventa qualcosa, si vende di tutto pur di guadagnare almeno il pane. Si affitta un’auto, ci si improvvisa trasportatori verso destinazioni pericolose, dove nessuno accetta di andare. Come George, padre di tre figli, che pur di lavorare è morto in questo modo ai confini della Turchia, ucciso da cecchini, “liberatori della Siria”. In molte campagne i contadini non osano seminare: troppo pericoloso. E poi manca il gasolio, senza gasolio non vanno le pompe dell’acqua, con cosa si irriga ? E i trattamenti e i concimi, molti dei quali importati, soprattutto dopo che sono state bruciate fabbriche chimiche e magazzini, sono costosissimi e, anche se si dispone di denaro, spesso introvabili. I più poveri, che hanno solo qualche mucca, la stanno vendendo: tra mangimi e foraggi il costo degli alimenti è al minimo 60-70 lire siriane al chilo, quando un litro di latte si vende a 25. I rapimenti, in tragica crescita, e la delinquenza, sono un’altra conseguenza delle sanzioni. Certo, direte: che ingenuità! Le sanzioni sono fatte apposta per esasperare un Paese, e un Paese esasperato significa pressione sui suoi politici e quindi un intervento democratico efficace. È ciò che vogliono i vostri politici. Ma la nostra domanda è: lo volete anche voi? Volete davvero questo? Volete avere responsabilità sulla sofferenza e la morte di tante persone innocenti, in nome di un “intervento” che loro non vi hanno chiesto? Sì, il popolo siriano vuole la sua libertà e i suoi diritti, ma non così, non in questo modo. Così si uccide la speranza, la dignità, e anche la vita fisica di un popolo.” (.)
“Vi imploriamo di riflettere su una guerra a cui si dà il consenso in nome di una sedicente prassi democratica. Stiamo parlando delle sanzioni internazionali, e della strage quotidiana che provocano. Ci commuoviamo e ci indigniamo (giustamente) alla notizia che in un bombardamento sono morti bambini e donne. Perché non ci sconvolge il fatto che ci siano intere famiglie ridotte alla fame a causa nostra? Pensate sia più duro morire improvvisamente sotto le bombe, o morire di inedia, un giorno dopo l’altro? È più crudele raccogliere il corpo dei propri figli sotto le macerie, o vederli lamentarsi e soffrire per giorni per la mancanza di cibo e medicine? Le sanzioni stanno uccidendo molto più delle bombe. Uccidono i corpi; uccidono la speranza.
Siete convinti che bisogna pur pagare un prezzo per ottenere libertà e democrazia? Allora digiunate, voi, nelle piazze europee, a favore della Siria. E lasciate che qui ognuno scelga se e come dare la vita per ciò in cui crede. Costringere un popolo alla fame, alla rabbia, alla disperazione, perché si ribelli, è forse metterlo in grado di esercitare una scelta democratica? Che razza di idea di democrazia e di libertà è mai questa? Il lavoro è una grande forza per un popolo, dà dignità, crea prospettive, educa alla libertà vera. Uccidere il lavoro è un altro modo di uccidere vite. Le sanzioni internazionali sono uno strumento iniquo, perché ipocrita: lascia l’illusione di non sporcarsi le mani con il sangue altrui.”

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Siria, la pace che nessuno vuole

Fulvio Scaglione
www.famigliacristiana.it

Ieri, e per la terza volta quest’anno, le forze armate di Israele hanno colpito sul territorio della Siria. Il governo Netanyahu aveva avvertito che non avrebbe tollerato alcun trasferimento di armi, chimiche o “tradizionali”, dalla Siria agli Hezbollah del Libano e ha mantenuto la parola: ieri i jet israeliani sono arrivati dal mare per colpire, nei pressi del porto di Latakia, una batteria mobile di missili anti-nave di fabbricazione russa.

L’episodio fa capire quanto intricata sia diventata la situazione della Siria e intorno alla Siria e quanto ancora lontane siano le prospettive di pace, nonostante che gli ispettori Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opcw) abbiano annunciato che tutti gli impianti per la produzione di armi chimiche dell’esercito di Assad sono stati neutralizzati.

In Siria, a dispetto di due anni e mezzo di guerra civile e di 120 mila morti (metà dei quali civili), il regime di Bashar al Assad non pare intenzionato a cedere. Il fronte dell’opposizione democratica, peraltro, è più diviso che mai: ogni volta che si parla di trattative, questo o quel “fronte” si dissocia, mandando a monte qualunque prospettiva di tregua e facendo probabilmente un gran favore ad Assad. In ogni caso, l’opposizione è del tutto incapace di tenere a bada i gruppi armati che si ispirano ad Al Qaeda e che utilizzano senza scrupoli una strategia del terrore non dissimile da quella dei gruppi filo-governativi: solo qualche giorno fa un’autobomba è esplosa a Damasco uccidendo 50 civili.

Intorno alla Siria, si sono attenuati ma non placati i “giochi” per la supremazia in Medio Oriente. Di Israele si è detto, colpisce la Siria per tenere a bada il Libano e le formazioni armate degli sciiti. Arabia Saudita e Qatar continuano a finanziare l’insurrezione contro Assad, anche per mettere in crisi l’Iran che invece l’appoggia, trovandosi però a rivaleggiare con la Turchia di Erdogan, che ha impugnato la bandiera della rivolta sunnita proprio per contendere all’Arabia Saudita la palma di Paese leader della regione.

Tutti costoro speravano nell’intervento armato che gli Usa hanno prima minacciato e poi revocato. Intervento che ora, con gli impianti chimici di Assad fuori uso, si allontana a dismisura. Cosa di cui sta cercando di approfittare il nuovo presidente iraniano Rohani, che ha preso a parlare con Obama in un inedito dialogo diplomatico che riguarda anche lo sviluppo dell’energia nucleare in Iran.

Spettatori interessati e ormai quasi disperati sono Libano e Giordania, vasi di coccio tra tanti vasi di ferro. In Libano si sono ormai installati più di 800 mila profughi siriani (quelli, almeno, ufficialmente registrati) e il conflitto del Paese confinante è sempre in procinto di trasferirsi anche dalle parti di Beirut, come i frequenti scontri tra sunniti e sciiti dimostrano. In Giordania i profughi siriani sono 1 milione e 300, più di un sesto della popolazione autoctona, e il Paese è sull’orlo del collasso.

Servirebbe con urgenza una solida tregua, se non una pace, per provare a rammendare almeno alcuni degli strappi più vistosi. Ma nessuno dei Paesi citati sembra volerla, perché tutti sperano di volgere in qualche modo la situazione a proprio favore. Un’illusione. Gli unici che possono pensare di guadagnarci qualcosa sono Israele (perché la crisi siriana di fatto tiene bloccati i suoi più temibili avversare, l’Iran e gli Hezbollah del Libano), Assad (perché pochi mesi fa era minacciato addirittura dagli Usa e ora non più) e la Russia (perché ha sempre sponsorizzato Assad). Di sicuro, quelli che ci rimettono sempre sono i cittadini della Siria.