Sinodo. Il dibattito e’ aperto di F.DeGiorgi

Fulvio De Giorgi*
www.viandanti.org

L’ampio contributo di mons. Müller (Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede), apparso sull’Osservatore Romano il 23 ottobre scorso, circa le questioni che saranno al centro del prossimo Sinodo straordinario, è stato oggetto di svariati commenti sulla stampa quotidiana italiana. Qualcuno ha perfino presentato tale intervento come una correzione del magistero del papa. Lasciando ad ognuno la responsabilità delle proprie interpretazioni, vorrei proporre una diversa lettura che parte dal presupposto che le Congregazioni di Curia (compresa quella per la dottrina della fede) siano ciò che “negli eserciti si chiama l’intendenza”, a servizio cioè della Santa Sede.

Un compito specifico del Sinodo

Meritoriamente, dunque, mons. Müller ha redatto lo status quaestionis: ha riassunto con precisione il magistero, soprattutto il magistero recente. È stato più rapido (com’era inevitabile per un articolo di giornale) sulla parte storico-teologica, destinata sicuramente in seguito a maggiori approfondimenti. Non ha toccato, poi, per nulla una lettura dei segni dei tempi, un discernimento della realtà attuale dei processi storici in corso e dei problemi più dolorosi per i fedeli, un’analisi sulla condizione storica di oggi: questo sarà infatti, certamente, uno dei compiti specifici del Sinodo. I livelli di lettura delle questioni sono infatti diversi. E la consultazione corale dell’episcopato, ma anche delle famiglie e dei fedeli, è previamente necessaria, così da avere molti elementi per un approfondimento pastorale di tali processi storici.

Dio sta nei processi della storia

Il papa ha affermato: “Dio si manifesta in una rivelazione storica, nel tempo. Il tempo inizia i processi, lo spazio li cristallizza. Dio si trova nel tempo, nei processi in corso. Non bisogna privilegiare gli spazi di potere rispetto ai tempi, anche lunghi, dei processi. Noi dobbiamo avviare processi, più che occupare spazi. Dio si manifesta nel tempo ed è presente nei processi della storia. Questo fa privilegiare le azioni che generano dinamiche nuove […] Se il cristiano è restaurazionista, legalista, se vuole tutto chiaro e sicuro, allora non trova niente. La tradizione e la memoria del passato devono aiutarci ad avere il coraggio di aprire nuovi spazi a Dio. Chi oggi cerca sempre soluzioni disciplinari, chi tende in maniera esagerata alla ‘sicurezza’ dottrinale, chi cerca ostinatamente di recuperare il passato perduto, ha una visione statica e involutiva. E in questo modo la fede diventa una ideologia tra le tante. Io ho una certezza dogmatica: Dio è nella vita di ogni persona, Dio è nella vita di ciascuno. Anche se la vita di una persona è stata un disastro, se è distrutta dai vizi, dalla droga o da qualunque altra cosa, Dio è nella sua vita. Lo si può e lo si deve cercare in ogni vita umana. Anche se la vita di una persona è un terreno pieno di spine ed erbacce, c’è sempre uno spazio in cui il seme buono può crescere. Bisogna fidarsi di Dio”.

Crescere nella comprensione

Dunque mons. Müller ha, in realtà, utilmente segnato il punto finora raggiunto, dal quale la Chiesa prenderà le mosse per crescere e svilupparsi ulteriormente. Sempre il papa, infatti, afferma: “San Vincenzo di Lerins fa il paragone tra lo sviluppo biologico dell’uomo e la trasmissione da un’epoca all’altra del depositum fidei, che cresce e si consolida con il passar del tempo. Ecco, la comprensione dell’uomo muta col tempo, e così anche la coscienza dell’uomo si approfondisce. Pensiamo a quando la schiavitù era ammessa o la pena di morte era ammessa senza alcun problema. Dunque si cresce nella comprensione della verità. Gli esegeti e i teologi aiutano la Chiesa a maturare il proprio giudizio. Anche le altre scienze e la loro evoluzione aiutano la Chiesa in questa crescita nella comprensione”.

Ponendosi sul livello teologico, giustamente mons. Müller sottolinea come la riflessione non possa prescindere dalla realtà essenziale del sacramento del matrimonio, che implica la sua indissolubilità. Ma insieme, con Benedetto XVI, ricorda che la questione dei divorziati risposati è “un problema pastorale spinoso e complesso”. Nel paradigma tridentino pre-conciliare infatti la pratica pastorale era derivata in modo chiaro e sicuro dalla “sicurezza dottrinale” (che, allora, forniva prospettive adeguate ai tempi e alla relativa ecclesiologia) ed era: i divorziati risposati vivono in peccato mortale e per loro non c’è salvezza. Con Giovanni Paolo II e con Benedetto XVI si è avvertita l’insufficienza umana di tale approccio e, alla luce del Concilio, è emerso che se la proposta ecclesiale si fermasse a questo, sarebbe legalistica e lontana dai vissuti reali. Si è avviata dunque una via nuova: di accoglienza, di misericordia, di discernimento tra “le diverse situazioni” (Familiaris consortio, n. 84). Così che Benedetto XVI non ha detto ai divorziati risposati: vivete in peccato mortale e per voi non c’è salvezza, ma ha detto: “Sappiate che il Papa e la Chiesa vi sostengono nella vostra fatica”. Il punto di vista si è sviluppato, crescendo in profondità di carità cristiana e in capacità di lettura seria di vissuti e di storie personali. E ora?

Il nodo dell’eucaristia

Non credo che il cammino si debba arrestare. C’è il grosso nodo dell’eucaristia ai divorziati risposati: finora, come ben rileva mons. Müller, esclusa. Ma questa esclusione, se era coerente con il vecchio paradigma, non appare così interna all’approccio di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Senza la presunzione di avere soluzioni chiare e sicure, segnalo due difficoltà.

Se si ammettessero percorsi di vita cristiana, che cioè conducono alla salvezza, ma che prescindono dall’eucaristia, ne fanno a meno, ciò produrrebbe – nella Chiesa – due vie separate, ma entrambe ecclesiali, per la salvezza: una eucaristica ed una extra-eucaristica. Ma quale allora la relazione tra eucaristia e Chiesa? E tra eucaristia e orizzonte escatologico?

Se poi si dicesse che i divorziati risposati possono ricevere l’eucaristia se vivono tra loro come fratello e sorella, se cioè si riducesse il problema all’atto sessuale, ciò verrebbe a mutare i termini reali del consenso matrimoniale sacramentale, che sarebbe ridotto solo all’aspetto naturale, direi secolarizzato: io accolgo te come mia sposa e prometto di fare sesso solo con te, finché morte non ci separi.

Il Sinodo, dunque, è chiamato a sviluppare la comprensione del deposito della fede in modo più pieno e approfondito, per giungere a nuove e più soddisfacenti soluzioni pastorali, affinché rifulga, nella piena carità evangelica, la bellezza sacramentale così bene indicata da mons. Müller: “Il matrimonio sacramentale appartiene all’ordine della grazia e viene inserito nella definitiva comunione di amore di Cristo con la sua Chiesa. I cristiani sono chiamati a vivere il loro matrimonio nell’orizzonte escatologico della venuta del regno di Dio in Gesù Cristo, Verbo di Dio incarnato”.

* Docente di Storia dell’Educazione all’Università di Modena e Reggio Emilia. Coordinatore del Gruppo di Riflessione e Proposta di Viandanti.