Medio Oriente, la nuova offensiva di John Kerry

Cipmo
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Negli ultimi giorni la stampa israeliana è piena di indiscrezioni su un importante cambio di passo nell’iniziativa USA in Medio Oriente. Fino ad oggi, gli Stati Uniti si sono limitati ad assistere, o al massimo a cercare di fungere da facilitatori, durante i 20 incontri che si sono svolti finora, dopo la ripresa dei negoziati avutasi a fine luglio grazie agli strenui sforzi del Segretario di Stato Usa. Ma fino ad ora i rappresentanti israeliani e palestinesi si sono limitati a “fare melina”, ribadendo le rispettive posizioni di principio.

Così, di intesa con il Presidente Obama, Kerry ha annunciato la volontà di arrivare, entro l’inizio del 2014, alla presentazione di proposte complessive, su cui le parti dovranno prendere posizione.

Secondo le notizie avutesi, un team di oltre 160 esperti sta collaborando alla elaborazione di queste proposte, sotto la guida di Martin Indyk, inviato speciale per il negoziato, mentre per gli aspetti di sicurezza il riferimento è il Generale John Allen, già comandante delle truppe USA in Afghanistan.

È appunto dalla sicurezza che sono partiti gli americani, presentando nelle scorse settimane alcune idee elaborate da Allen, con la presunzione che se non si danno sostanziali garanzie di sicurezza agli israeliani, sarà difficile che si riescano a fare passi in avanti. Molti anni fa, in un importante libro scritto a due mani, Sari Nusseibeh, storico esponente palestinese, e Marc Heller, tra i più importanti analisti israeliani, affermavano che il negoziato tra israeliani e palestinesi è asimmetrico, in quanto gli israeliani devono dare indietro una cosa concreta, come la terra, ricevendo in cambio una cosa volatile, come le promesse di pace. Per questo, ogni accordo deve essere accompagnato da garanzie di sicurezza forti e credibili.

Tra le idee avanzate da Kerry, ci sarebbe una permanenza di truppe israeliane per un lungo periodo, 10-15 anni, lungo la valle del Giordano, ed una presenza “invisibile” israeliana insieme a quella palestinese alla frontiera con la Giordania, per prevenire il contrabbando di armi e l’afflusso di terroristi. Nei precedenti negoziati era stata proposta la presenza di forze internazionali, o USA, ma su questo versante la resistenza di Netanyahu è davvero forte.
Ovviamente, i palestinesi sono assai meno che entusiasti, e lo hanno espresso chiaramente, ma probabilmente attendono di vedere il pacchetto complessivo, prima di esprimersi. Se sulla questione dei confini e su Gerusalemme le proposte fossero meno indigeste, il menù finale potrebbe risultare meno indigeribile.

A tutt’oggi, da parte israeliana non sono state innalzate barricate. Il confronto con gli USA è stato molto aspro, dopo l’accordo preliminare con l’Iran raggiunto a Ginevra, ora l’obbiettivo primario è quello di influire il più possibile sull’accordo finale con Teheran, che dovrebbe essere raggiunto entro sei mesi.

Kerry è tornato a Gerusalemme dopo appena una settimana, e questa volta sarebbe intenzionato ad avviare una discussione più complessiva. Le basi di riferimento sarebbero, secondo il suo intervento al Saban Forum svoltosi la settimana scorsa a Washington, i “Parametri”: le linee guida presentate da Clinton a Camp David II nel dicembre 2000; e i negoziati di Annapolis, svoltisi tra l’allora Premier israeliano Olmert e il Presidente palestinese Abbas nel 2007-2008, in cui da parte israeliana erano state avanzate proposte molto aperte. Riferimenti, va detto, che saranno sicuramente stretti a Netanyahu, che non ha mai accettato di fare di Annapolis la base da cui ripartire.

Quello a cui puntano gli Stati Uniti, come ha anticipato il Presidente Obama alla stessa Conferenza, non è un accordo dettagliato, ma un accordo di principio, da riempire poi nei particolari in successive trattative. Naturalmente, il Presidente USA dovrà fare i conti con le agguerrite lobby filo-israeliane, particolarmente influenti nei due rami del Congresso.

È importante notare che il quadro internazionale è in rapida evoluzione, ed è finita oramai la pregiudiziale contrapposizione tra Russia e USA in sede di Consiglio di Sicurezza ONU.

Se, di fronte ad una proposta formale USA, le parti non riuscissero a mettersi d’accordo, non sarebbe impossibile concepire la possibilità di una risoluzione impegnativa allo stesso Consiglio di Sicurezza, l’ultima cosa che il Premier israeliano vorrebbe.

D’altronde, è improbabile che Netanyahu possa spingersi molto avanti, dato che è in minoranza all’interno del suo stesso partito, il Likud, oramai dominato dagli oltranzisti, e che la sua attuale coalizione comprende anche partiti di estrema destra come HaBayit HaYehudi, a meno che non riesca a sostituirli imbarcando i laburisti.

Un quadro, come si vede, irto di contraddizioni. Ma lo scenario ha subito una brusca accelerazione.