Rispondere al papa di R.LaValle

Raniero La Valle

Gli risposero
(Marco 8,28; Luca 24,19)

La Comunità San Francesco Saverio di Trento, il gruppo di credenti “Chiccodisenape” di Torino, la Comunità di San Paolo di Roma, la Scuola di antropologia “Vasti”, i gruppi di “Noi siamo Chiesa”, la Comunità di Sant’Angelo e il Laboratorio Sinodalità laicale LaSila di Milano, donne cattoliche e moltissimi altri gruppi e persone, per parlare solo dell’Italia, stanno preparando le risposte ad un questionario. Ma questa volta dovranno usare carta, busta e un francobollo, e spedire le risposte entro il 31 dicembre a Mons. Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo dei vescovi, c/o Segreteria del Sinodo, via della Conciliazione 34 – 00120 Città del Vaticano, perché si tratta di rispondere a tutte o ad alcune delle trentotto domande che il papa Francesco ha fatto rivolgere a tutta la Chiesa per prendere decisioni pastorali e teologiche su temi cruciali della famiglia e della condizione umana sulla terra. E’ una novità.

Fu Pio XII che per primo fece un timidissimo accenno a un’opinione pubblica nella Chiesa, alludendo a una qualche voce in capitolo dei fedeli, ma la cosa non ebbe alcun seguito. Arrivò poi il Concilio, e la parola la diede ai vescovi, ma poi fu tolta anche a loro: Paolo VI decise da solo sulla contraccezione e ne blindò il divieto nella “Humanae vitae”, e poi si inventò un Sinodo dei vescovi senza alcun potere, senza collegialità e con i dibattiti tenuti segreti, e riservati al buon uso del papa. Così per cinquant’anni la grande idea riformatrice del Concilio di una Chiesa identificata col popolo di Dio e governata dal papa e dai vescovi in comunione con lui è rimasta lettera morta, e non a caso la compagine cattolica è giunta alla crisi devastante che ha portato alle dimissioni di Benedetto XVI.

Ed ecco che ora riappare il popolo di Dio nella sua identificazione con la Chiesa, a lui sono rivolte le 38 domande e si innesca un grandioso processo sinodale e collegiale che dalla attuale consultazione dei fedeli (ma anche, se vogliono, dei non credenti) giungerà fino al Sinodo straordinario del 2014, dedicato ai problemi più urgenti, e a quello ordinario del 2015, in cui si prenderanno determinazioni pastorali ed evangeliche più mature e a lungo termine riguardanti i temi antropologici su cui oggi la Chiesa torna a riflettere.

È la svolta che ci si aspettava da papa Francesco, dopo le grandi parole da lui dette nei primi sette mesi di pontificato, da cui già si poteva capire quale sarebbe stato il cammino. Come il Concilio, evento altrettanto innovatore, il processo sinodale e collegiale oggi avviato ha la finalità di un annuncio della fede in quei modi “che la nostra età esige” (un’età in cui è mutata l’autocomprensione degli esseri umani), ma ora il papa ha esteso la platea dei chiamati a prendere la parola per dire quali sono le esigenze che la nostra età pone alla fede.

Durante il Concilio i moderatori proposero ai vescovi quattro domande per sapere cosa ne pensassero della collegialità, dell’episcopato, del diaconato e di altri problemi interni alla Chiesa, e sulle risposte impostare i documenti. Successe un putiferio, ma così il Concilio prese la sua strada. Oggi le domande sono 38, perché le questioni da dirimere sulla terra sono ancora di più di quelle da dirimere nella Chiesa, e le domande sono rivolte a tutti.

Non è populismo, né demagogia, né democrazia; è che la salvezza, come canta la liturgia del Natale, scende dall’alto ma anche germina dalla terra, è che il popolo di Dio, come diceva la Lumen Gentium, nell’aderire alla fede trasmessa ai santi una volta per tutte “con retto giudizio penetra in essa più a fondo e più pienamente l’applica nella vita”. Per questo ad essere interpellati sono i membri del gregge, perché il gregge non ha solo il fiuto ma ha la parola, cioè il gregge è diventato un popolo, e anche il pastore ora se n’è accorto.

Ma funzionerà la consultazione, davvero chiunque è abilitato a mandare le sue risposte al Sinodo, oppure varranno solo i documenti che perverranno attraverso le gerarchie delle diocesi e delle conferenze episcopali? Certo non tutti nella Chiesa sono contenti: forse si è osato troppo, può darsi che la cosa sia sfuggita di mano, può darsi che qualcuno nelle Sacre Logge ora vorrebbe tornare indietro. Tuttavia il fatto è che il papa ha fatto pubblicare le domande, gli uffici della Santa Sede le hanno fatte mettere su Internet (basta un clic per conoscerle!) e il nuovo segretario del Sinodo, mons. Baldisseri in diretta alla Radio Vaticana ha detto che la consultazione è canalizzata attraverso i vescovi, “però liberamente ciascuno potrà inviare un testo”, e poi lo ha confermato rispondendo a un quesito del National Catholic Reporter.

Dal punto di vista teologico sono chiari i fondamenti di questa svolta: la fede trasmessa dagli apostoli è anche la fede degli uomini della “cerchia degli apostoli”, di cui parla il Concilio, ovvero la fede dei discepoli che attraverso una ininterrotta successione di secoli, tramandata e arricchita dalla universalità dei fedeli, è giunta fino a noi. E’ la successione discepolare che viene dalle donne del sepolcro, dai discepoli di Betania e di Cana, dal “discepolo che Gesù amava”, e dagli altri come loro.

È giusto quindi che ad essere interrogati sui problemi della sopravvivenza della fede nel nostro tempo non siano solo i successori degli apostoli ma anche i discepoli. Se se ne vuole trovare una ragione nelle precedenti esternazioni di papa Francesco, si può trovare nell’osservazione da lui fatta nelle omelie a Santa Marta, riguardo a quelle comunità cristiane del Giappone che nel XVII secolo, dopo la cacciata dei missionari stranieri, erano rimaste senza sacerdoti per più di duecento anni. “Ma quando dopo questo tempo sono tornati di nuovo altri missionari, hanno trovato tutte le comunità a posto: tutti battezzati, tutti catechizzati, tutti sposati in chiesa, e quelli che erano morti, tutti sepolti cristianamente. Non c’erano preti. E chi aveva fatto tutto questo? I semplici battezzati!”.

Nell’intervista alla Civiltà Cattolica, ricordando il “sentire cum Ecclesia” di S. Ignazio, Francesco ha spiegato che «il popolo è soggetto. E la Chiesa è il popolo di Dio in cammino nella storia, con gioie e dolori. E l’insieme dei fedeli è infallibile nel credere… Non è dunque un sentire riferito ai teologi». Poi ha chiarito che questo non significa dimenticare “la santa madre Chiesa gerarchica”, ma ha sottolineato: «Io vedo la santità nel popolo di Dio paziente: una donna che fa crescere i figli, un uomo che lavora per portare a casa il pane, gli ammalati, le suore che lavorano tanto e che vivono una santità nascosta. Questa per me è la santità comune”. Ed è per questo che Francesco ha detto più volte che i vescovi non devono stare soltanto davanti o in mezzo al gregge, ma anche dietro al gregge, perché c’è “un fiuto del gregge” e spesso è lui ad aprire il cammino e a indicare nuove strade.

Ma, ancora, non c’è solo la successione degli apostoli e dei discepoli; c’è la successione di quella porzione del popolo di Dio in mezzo a cui si è dato l’evento dell’incarnazione; sono le folle, di cui Gesù chiedeva: “chi dice la gente che io sia?” Dunque figure cruciali del Vangelo non sono solo gli apostoli, non solo i discepoli e le discepole, ma anche le folle che seguivano Gesù e che, interrogate, rispondevano magari sul divorzio e la legge di Mosè. Perché Gesù non chiedeva solo di seguirlo, ma di rispondergli, e questa richiesta era naturalmente rivolta a tutti. Domandava di chi fossero l’immagine e l’iscrizione sulle monete di Cesare, domandava che pensassero del Messia, domandava che cosa era successo a Gerusalemme in quei giorni di Pasqua, e anche i ciechi gli rispondevano, e Pietro, e i discepoli di Emmaus; sicché oggi chiamati a rispondere, come destinatari delle domande, sono anche tutti gli uomini e le donne di buona volontà.

Così nella Chiesa c’è un compito di annuncio, di testimonianza ma c’è anche un compito di interrogare e un compito di rispondere. Ma se la novità sta nelle domande, la rivoluzione sta nelle risposte. Se si apre la strada delle risposte, e se l’interrogazione del papa e dei vescovi sarà fatta con verità così che essi prendano a cuore le risposte, pur ciascuno mantenendo la sua autorità e il suo ruolo, allora non sarà più il cambiamento di papa Francesco, ma sarà il cambiamento della Chiesa, e poi forse ne verranno molte altre cose; e addirittura, in prospettiva più lontana, “alla fine dei giorni verranno i popoli al monte santo del Signore”, “ognuno con il suo Dio” (Michea) portando con sé le loro risposte sulla loro lunga traversata nella storia.

Però quelle da inviare al Sinodo non dovrebbero essere solo risposte solitarie e improvvisate. Perché il rispondere incrementi la comunione ecclesiale dovrebbero esserci risposte date in comune; bisognerebbe che si creassero in innumerevoli modi, in città e in campagne, nelle parrocchie e in ogni altro mondo vitale dei Gruppi di risposta permanente alle domande che la Chiesa via via si fa e si farà sulle grandi ed evolutive questioni dell’antropologia del mondo di questo tempo. E per rispondere ognuno dovrebbe pensare e studiare, e anche pregare, e ogni anche piccolo gruppo potrebbe avere la sua spiritualità la sua caratteristica e il suo nome; e potrebbero essere gruppi vecchi e nuovi, gruppi di risposta cattolici ed ecumenici, cristiani e interreligiosi e interculturali, ognuno con i suoi attrezzi di lavoro, con le sue risorse di cultura e di esperienza.

E se questi gruppi si dissemineranno e saranno in comunione tra loro, allora non sarà più solo qualche zelante religioso o laico che risponde a questionari inattesi, ma saranno pezzi di una umanità che risponde a un Dio che la interroga, che le chiede: “che cos’è l’uomo? Tu chi dici che io sia?”.