Clericalismo politico

Marcello Vigli
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L’anno si chiude con il ritiro da parte del governo Letta del decreto legge Salva Roma, già approvato in entrambi i rami del Parlamento per di più dopo un voto di fiducia, su pressante e ben motivato intervento del Presidente della Repubblica. Un fatto mai accaduto in oltre sessanta anni di storia repubblicana.

Mai il sistema istituzionale era stato investito da una così grave crisi nel suo funzionamento ai più alti livelli. Governo e Parlamento si sono rivelati in evidente stato confusionale senza che, come in altre circostanze analoghe, fosse possibile trovare una formale giustificazione mediatica che avesse un lontano aspetto di credibilità.

Non è stato credibile neppure il tradizionale rimbalzo delle responsabilità. Il tentativo delle opposizioni di rovesciare la colpa sul governo non è riuscito perché, come ha denunciato il Presidente Grasso, anche i loro parlamentari si erano ampiamente coinvolti nella corsa agli emendamenti Nessuno può dichiararsi immune. Neppure il Presidente della Repubblica è stato risparmiato dallo scandalo, che pur lui stesso ha fatto esplodere.

Lo si può considerare il frutto – distruttivo o a lunga andare “benefico”? – della massiccia presenza in Parlamento di una componente antisistema indisponibile ad ogni compromesso, come non lo era stato il Pci, per scelta, né avevano potuto esserlo i cosiddetti gruppi “fuori dell’arco costituzionale” perché assolutamente minoritari. Neppure i berlusconiani lo sono stati, per la presenza al loro interno della parte peggiore del personale politico della Prima Repubblica.

Lo è diventato invece il Movimento 5 Stelle riconosciuto come terzo polo parlamentare e che rappresenta l’autentica novità politica di quest’anno.

Esso costituisce, da un lato, una indubbia manifestazione della capacità reattiva degli elettori italiani di non rassegnarsi a rifugiarsi nell’astensione o nell’annullamento della scheda, dall’altro, una grossa incognita per la radicale diversità di orientamento ed eterogeneità di provenienza sociale dei suoi elettori. Questa lo ha costretto fin qui all’immobilismo, favorendo il cosiddetto stato di necessità invocato per giustificare la soluzione governativa delle Grandi Intese.

Per di più la ferrea guida di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, impegnati solo a raccogliere l’eredità berlusconiana e gli esiti della crisi del Pd, condiziona ogni iniziativa dei suoi Gruppi volta a ritagliarsi un ruolo autonomo nella dialettica parlamentare. Proprio la dura lotta contro il pasticcio del decreto Salva Roma mostra, invece, il loro potenziale d’intervento.

Un altro esempio di quella reattività dell’elettorato è stato, anche, il successo, non del tutto scontato, delle primarie indette dal Pd per la scelta del suo segretario. Anch’esso ha rappresentato la volontà di contare di oltre due milioni e mezzo di elettori decisi a non perdere l’occasione di poter condizionare gli eventi futuri.

Molti di loro sapevano che il loro candidato non avrebbe vinto, ma erano certi che solo una forte partecipazione avrebbe dato credibilità e forza al vincitore e, con esso, al Partito democratico. Non è dato di sapere se l’uso che Renzi ne farà consentirà al Partito di imporre una svolta alla vita politica italiana, ma l’interrogativo impegna chi guarda la futuro e non chi riflette sul passato.

A conferma che la forza per evitare il disastro finale viene solo dall’iniziativa dal basso si può aggiungere la considerazione che non necessariamente essa deve coinvolgere masse di partecipanti perché le cose cambino.

E’ stato sufficiente che un clandestino registrasse con il telefonino il trattamento antiscabbia a cui erano stati sottoposti i reclusi del Centro di prima accoglienza di Lampedusa e che il Tg 2, proprio alla vigilia della Giornata internazionale dei diritti dei migranti voluta dall’Onu, ne rilanciasse il 18 dicembre in prima serata le immagini, per ottenere la cacciata della Cooperativa responsabile della gestione.

La conseguente scelta solitaria del parlamentare del Pd, Khalid Chaouki, di rinchiudersi nel Campo e di tempestare colleghi e autorità con informazioni sulle condizioni dei reclusi, è andata oltre, costringendo il Ministero degli Interni allo svuotamento del Centro.

Analogamente nel Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria a Roma un successo, pur se meno radicale, è stato ottenuto per l’iniziativa di alcuni immigrati passati all’azione cucendosi le labbra, ottenendo subito il sostegno di altri che hanno avviato lo sciopero della fame.

Con queste iniziative dai Centri, la domanda di rivedere radicalmente la legislazione sull’argomento ha acquistato forza e sollecitato l’urgenza di affrontare, intanto, il problema del loro funzionamento sul quale sempre più numerosi sono quelli che giungono a chiedersi se al prolungamento della detenzione non contribuisca anche l’interesse delle cooperative e delle associazioni che li gestiscono a lucrare più a lungo sulle rette pagate dallo Stato per il loro servizio.

Pur se solo sospettato, questo sfruttamento delle altrui disgrazie è indice del più generale degrado della moralità percepito nel Paese.

Qualcuno pensa che resti solo rivolgersi al papa!!!

Lo hanno pensato gli immigrati del Cie di Ponte Galeria inviandogli una lettera, ma anche i due responsabili del “popolo” dei forconi, che avevano disertato l’adunata di piazza del Popolo a Roma largamente inquinata dalla presenza fascista. Si sono aggregati, con un nucleo di loro adepti, alla folla raccolta in piazza San Pietro per l’angelus del papa, in cerca di legittimazione.

Non sono certo i primi a cercarla perché dal patto Gentiloni, attraverso il fascismo e la subalternità dei partiti “laici” alla Dc, fino a Craxi e Berlusconi non sono mancati politici “non cattolici” alla ricerca della benedizione papale. Anche la diversità del Pci, che ambiva ad una impossibile alleanza alla pari, è venuta meno nei suoi eredi fra i quali l’attenzione al ricatto dei “valori non rinunciabili” è molto alta.

Agli aspetti negativi del bilancio va aggiunta, così, anche la conferma che il clericalismo politico ha contagiato anche la contestazione più radicale.

Non solo non si è verificata un’accelerazione nell’avvio di quella battaglia per la laicità delle istituzioni e soprattutto della vita politica, che ci si sarebbe attesa dal nuovo clima istaurato da papa Francesco, ma si può anzi dire che il consenso che lo circonda incrementa il clericalismo dei politici.