L’Italia è razzista? Rispondono i giornalisti delle testate per gli stranieri

Lucia Ghebreghiorges
redattoresociale.it

Insulti, intimidazioni, sit in di protesta. Per Cécile Kyenge sono praticamente questione di tutti i giorni, da quando si è insediata al ministero dell’Integrazione. E si intitola appunto “ I giorni della vergogna” il libro in cui il portale StranieriinItalia.it ha scelto di raccoglierei principali episodi e che è stato presentato ieri a Roma alla presenza dell’interessata.

Gli autori, Gianluca Luciano e Eugenio Balsamo, hanno composto un vero e proprio mosaico di attacchi differenziati, sul web, sulla carta stampata, sui muri: quasi tutti a sfondo politico. Non mancano ovviamente le offese del vice presidente del Senato Roberto Calderoli: “Quando la vedo non posso non pensare ad un orango”. O dell’eurodeputato Borghezio: “Faccetta nera, non degna di essere considerata italiana e tanto meno abilitata ad occupare un posto di ministro”. Ma soprattutto ci sono i muri imbrattati, i gruppi Facebook in cui tra sbeffeggi vari si diffondo vere e proprie minacce e istigazioni alla violenza. Attacchi a Kyenge per colpire le politiche di cui si è fatta sponsor: “L’immigrazione uccide”, firma Forza Nuova nei muri e nei manifesti. E sempre da questo gruppo arrivano i manichini insanguinati che hanno dato più volte il “benvenuto alla ministra “in occasione di incontri pubblici, con l’obiettivo di dire no allo ius soli.

E proprio dagli insulti nascono le riflessioni, riportate nel libro, dei giovani stranieri o di origine straniera, che scrivono per le testate coordinate dal portale: alla domanda “L’Italia è un Paese razzista?” le risposte sono diverse e variegate, ma su una cosa convergono tutti: il razzismo c’è e sopratutto cresce il linguaggio razzista. “L’Italia non è razzista – scrive Milton Kwami , redattore di africanouvelles.com – non lo è la stragrande maggioranza degli italiani, come testimonia il cammino del paese per l’integrazione dei nuovi cittadini, che sono stati accolti e che l’hanno eletta seconda patria”. “Un percorso – continua – che ha permesso l’approdo dei deputati di origine straniera al Parlamento e la recente nomina della ministra Kyenge nel governo Letta”.

Per Sorin Cehan, di Gazeta Romaneasca , arrivato in Italia nel 92, il razzismo non è aumentato: se ne parla di più: “con internet c’è più informazione al riguardo e su alcuni atteggiamenti. La gente può sembrare più razzista parlando di quello che ha letto oggi sulla stampa”. “Nonostante le discriminazioni e gli stereotipi – prosegue – a livello privato, rispetto all’immagine pubblica che ne dà la stampa, gli italiani hanno atteggiamenti diversi. Chiedete ad un italiano cosa ne pensa dei romeni, vi dirà che quelli che conosce personalmente sono bravi”.

Samia Oursana , giornalista per il blog italiani più, racconta di non aver avuto esperienze dirette di razzismo, ma in generale per lei “il razzismo esiste. Nel nostro paese non è presente una reale forma di razzismo e odio verso l’altro perché diverso, ma dal mio punto di vista si manifesta più una diffidenza, una rivalità: ci rubano il lavoro, gli assegnano tutte le case popolari, c’è una forma di rivalità, di concorrenza”.

Infine Stephen Ogongo di Africanews, riferendosi agli attacchi alla ministra Kyenge scrive che “ l’Italia non è razzista, ma piena di razzisti a livelli alti ”. Ed è quindi nel linguaggio politico, per lui, che si manifesta sopratutto e si diffonde il seme dell’intolleranza.

Ma come difendersi dalle discriminazioni? L’unica arma è la conoscenza dei propri diritti, secondo gli autori. Per questo la pubblicazione si conclude con una breve guida giuridica in cui, come una sorta di promemoria, si citano i principali provvedimenti italiani e internazionali di contrasto alle discriminazioni.

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Il razzismo in Parlamento

Gad Lerner
Repubblica, 15 gennaio 2014

Dietro i vigliacchi attacchi della Lega al ministro Kyenge si nasconde il tentativo del Carroccio di far dimenticare il proprio passato affarista e “arraffone” e di recuperare – cavalcando le proteste più becere e pericolose – uno spazio elettorale all’estrema destra. Non a caso proprio ieri Salvini ha stretto alleanza a Strasburgo con Marine Le Pen, leader ultranazionalista francese.

Una duplice, speciale vigliaccheria contraddistingue la campagna orchestrata dalla Lega contro Cécile Kyenge. Vigliaccheria numero uno: prima ancora che la linea politica, viene presa di mira la persona in quanto tale, accusata perfino di «favorire la negritudine ». Così ieri a Montecitorio il deputato Gianluca Buonanno è giunto a tingersi il volto per insinuare che per ottenere vantaggi in Italia bisognerebbe farsi «un po’ più scuri». Vigliaccheria numero due: i leghisti agiscono surrettiziamente, pubblicando l’agenda della Kyenge sul giornale di partito senza neanche avere il coraggio di scrivere a che scopo lo fanno. Dico e non dico, lancio il sasso e ritiro la mano. Vigliacchi, appunto.

Un’ipocrisia evidenziata dal segretario Salvini che sogghigna rifugiandosi dietro al diritto alla libertà d’informazione: che male c’è a divulgare degli appuntamenti pubblici? Mentre Roberto Maroni, che pure sarebbe il presidente di una grande regione europea come la Lombardia, finge di cascare dalle nuvole: «Non capisco perché contestare il ministro Kyenge sia un atto di razzismo». Non capisce, poverino?

Per carità, la Lega non è razzista. Con gli africani è dispostissima a stringere affari. Lo ha rivelato un’inchiesta di Claudio Gatti su “Il Sole 24 Ore”: subito dopo l’accordo italo-libico del 2008 per il respingimento in mare dei migranti, il suo tesoriere Belsito — che guarda caso la Lega aveva inserito nel cda della Fincantieri — si diede da fare per vendere al regime di Gheddafi pattugliatori e corvette sulle cui commesse tentò di lucrare col meccanismo dei retropagamenti. Un po’ a te e un po’ a me. La magistratura sta ancora indagando. Se invece una cittadina italiana nata in Congo viene incaricata dal governo di operare per l’integrazione degli immigrati, allora si grida allo scandalo. La si addita al pubblico ludibrio.

La Lega si protende nel disperato tentativo di recuperare uno spazio elettorale all’estrema destra. Ieri Salvini ha stretto alleanza a Strasburgo con Marine Le Pen, leader ultranazionalista d’oltralpe, e chi se ne importa della coerenza federalista. Le stesse camicie verdi che un mese fa al Lingotto di Torino scandivano in coro “Italia vaffa…” non esitano a scendere in piazza coi Forconi che sventolano il tricolore. E quando si fa la posta alla Kyenge gli va benissimo di ritrovarsi fianco a fianco coi fascisti di Forza Nuova.

Resta da chiedersi quale possa essere l’esito di questa offensiva razzista. L’intenzione è evidentemente quella di far dimenticare l’onta del partito arraffapoltrone, funestato dalle ruberie, marginalizzato a Roma ma tuttora bene inserito in tutte le postazioni di sottogoverno nel Nord. Salvini confida nella memoria corta degli esasperati e degli incattiviti dalla crisi che morde. Intuisce che a destra oggi c’è il vuoto e che l’Italia impoverita rimane territorio aperto per le scorrerie dell’antipolitica.

Si tratta di un’operazione non solo cinica, ma pericolosissima. Il classico caso dell’apprendista stregone. Perché è molto improbabile che l’agitazione delle tematiche xenofobe e antieuropee possa resuscitare un movimento screditato innanzitutto fra la gente che per un quarto di secolo aveva illuso, traendone un potere esercitato maldestramente. Assai più probabile, purtroppo, è che la crisi del forzaleghismo su cui s’innesta una tale velenosa campagna di diseducazione di massa, favorisca l’avvento di una nuova destra estrema in grado di rivendicare la sua verginità politica. Fa paura anche solo evocarla, perché il suo biglietto da visita è una violenza che da verbale, “futurista”, fa in fretta a diventare squadrismo.
L’odio diffuso contro Cécile Kyenge — se non verrà rintuzzato al più presto — piuttosto che beneficiare i suoi propalatori leghisti è più facile che generi fenomeni marginali ma devastanti di militarizzazione. L’exploit greco di Alba Dorata sta lì a dimostrarlo.

Il ritornello che già si sente ripetere perfino dai megafoni televisivi, è un’accusa dal sapore beffardo: l’aver nominato ministro una donna con la pelle nera viene additato come episodio di un non meglio precisato «razzismo all’incontrario». Anche Buonanno, il deputato che si è tinto la faccia a Montecitorio, ha adoperato questa espressione che non significa nulla, «razzismo all’incontrario». Quasi che la ovvia parità di diritti naturalmente assegnata dalla cittadinanza italiana fosse un privilegio insopportabile, un torto inflitto alla maggioranza dei “bianchi”.

Il razzismo ipocrita della Lega non è dissimile, nelle sue modalità espressive, dall’antisemitismo del comico francese Dieudonné. Fermiamoli finché siamo in tempo.