Missione compiuta», la delegazione italiana nella gabbia della Striscia

Maurizio Musolino
www.ilmanifesto.it

Mis­sione com­piuta! Stan­chi, ma sod­di­sfatti. È que­sto lo stato d’animo della dele­ga­zione che nei giorni scorsi è riu­scita ad entrare a Gaza con il Comi­tato «Per non dimen­ti­care… il diritto al ritorno». Tutto era ini­ziato con la volontà di raf­for­zare il lavoro sui diritti dei rifu­giati pale­sti­nesi, ad ini­ziare da quello a poter tor­nare nelle pro­prie terre di ori­gini. L’idea era quella di allac­ciare il filo rosso fra i pale­sti­nesi che vivono nei campi rifu­giati a Gaza e quelli che vivono in Libano.

Non è stato facile arri­vare a Gaza. La situa­zione in Egitto rende l’ingresso nella pic­cola stri­scia di terra dif­fi­ci­lis­simo. Ai motivi di sicu­rezza — in molte aree del Sinai si com­batte una vera e pro­pria guerra — si somma una sorta di ven­detta verso Hamas, con­si­de­rata una costola di quel net­work inter­na­zio­nale chia­mato Fra­tel­lanza musul­mana e quindi stret­ta­mente legata al par­tito dell‘ex pre­mier Morsi, oggi messo al bando.

Arri­vati il 26 dicem­bre al Cairo per ripar­tire il giorno dopo verso Gaza vede­vamo i giorni tra­scor­rere senza rice­vere l’agognato nulla osta delle auto­rità egi­ziane. Poi, pro­prio la notte di Capo­danno, è arri­vata una tele­fo­nata dall’ambasciata ita­liana: «Avete il per­messo»; alle sei del mat­tino era­vamo pronti a par­tire per la Pale­stina. Ci siamo accorti durante il tra­gitto come oggi l’Egitto sia un sus­se­guirsi di posti di blocco, spesso scol­le­gati fra loro, che ren­dono dif­fi­cile qual­siasi spo­sta­mento: nel nome della sicu­rezza nazio­nale tro­viamo ponti chiusi e mili­tari che ci fer­mano per ore e ci riman­dano indie­tro. Ci sono voluti due giorni per rag­giun­gere Rafah, porta d’ingresso per Gaza.

Pas­sato il con­fine l’accoglienza in Pale­stina è stata straor­di­na­ria. Siamo la prima dele­ga­zione che entra a Gaza nel 2014, anno inter­na­zio­nale della soli­da­rietà con il popolo pale­sti­nese. Ci accor­giamo subito quanto sia sen­tito il tema del diritto al ritorno in que­sto lembo di terra. Fin dai primi incon­tri sco­priamo che c’è un altro tema che va a brac­cetto con il diritto al ritorno: la neces­sità di una ricon­ci­lia­zione nazio­nale fra Hamas e Fatah che metta fine «alla ver­go­gna della divi­sione fra Gaza e Cisgior­da­nia». Ce lo ripe­tono in ogni incon­tro, pre­gan­doci di farci por­ta­voce su que­sto con i due mag­giori par­titi. Ci riu­sci­remo solo con i rap­pre­sen­tanti di Fatah (almeno a Gaza ben dispo­sti a supe­rare le divi­sioni), Hamas invece non ci incon­trerà, con la moti­va­zione dell’ «agenda affol­lata» dei suoi leader.

Attra­ver­sando Gaza sono ancora evi­denti i segni dell’alluvione che ha mar­to­riato la Stri­scia appena un mese fa: strade dis­se­state, fango qua e là, mobi­lia distrutta dalle acque, panni e mate­rassi stesi ad asciu­gare e case ancora ina­bi­ta­bili…. Bastano poche ore di per­ma­nenza a Gaza per capire cosa vuol dire vivere in una pri­gione a cielo aperto. La prima sen­sa­zione che si prova è quella di essere in una isola, poi man mano si acqui­sta coscienza di essere in gab­bia. La man­canza di car­bu­ranti e di ener­gia ha messo in ginoc­chio la pic­cola e fra­gile eco­no­mia di Gaza. Con il calare del sole i negozi sono costretti a chiu­dere, le strade buie si riem­piono di pic­coli capan­nelli di uomini che par­lano intorno ad improv­vi­sati falò, le case sono fredde per la man­canza del gaso­lio per i riscal­da­menti, gli ascen­sori bloc­cati e l’elenco potrebbe pro­se­guire lunghissimo.

Ma l’occupazione israe­liana ha risvolti ben più vio­lenti. Ogni mat­tina dalle fine­stre del nostro hotel, sul lun­go­mare di Gaza — nell’area che secondo i pro­getti dell’Anp doveva diven­tare il fiore all’occhiello del turi­smo pale­sti­nese — assi­stiamo a scene di «ordi­na­ria pira­te­ria» da parte delle moto­ve­dette israe­liane che a poche miglia dalla riva impe­di­scono ai pesca­tori di lavo­rare spa­ran­do­gli con­tro. Inol­tre non passa giorno senza che Israele com­pia bom­bar­da­menti «mirati» su Gaza, distrug­gendo case e ucci­dendo donne e uomini, spesso gio­va­nis­simi, col­pe­voli solo di voler lavo­rare la pro­pria terra.

Le dif­fi­coltà ad uscire infine hanno rap­pre­sen­tato per noi solo una pic­co­lis­sima parte di quanto il popolo pale­sti­nese subi­sce quo­ti­dia­na­mente. (…) La dele­ga­zione «Per non dimen­ti­care.. il diritto al ritorno» ha anche por­tato aiuti mate­riali all’ospedale Al Awda che assi­ste a Gaza la popo­la­zione civile stre­mata da un asse­dio cri­mi­nale e illegale.